venerdì 28 settembre 2012

autorelli

dal cattivissimo editor in maniototo, un'esilarante poesia dedicata agli autorucoli.

giovedì 27 settembre 2012

addobba'... decora'...: imperdibile reportage di cosimo grieco dalla città dei due mari

di cosimo grieco da taranto, che ringrazio per avermi concesso la pubblicazione del suo materiale di parole e immagini, abbiamo già parlato qui. a lui quest'anno spetta la chiusura ufficiale della bella stagione con il ritratto di un commerciante tarantino localmente molto conosciuto e soprattutto con le immagini strepitose, quanto mai estive,  pubblicate sui muri della città in occasione del matrimonio di sua figlia tamara.
ai tarantini autentici, schiera della quale mi pregio di far parte, il senso dell'umorismo non verrà mai meno.
di seguito il ritratto di alfondo, commerciante olistico, e poi, come prelibatezza finale, le immagini degli sposi. il mercato cui si allude è quello di piazza fadini.

 
alfonso da taranto

alto, massiccio, sulla quarantacinquina, lineamenti mediterranei, alfonso porta i capelli ricci, lunghi sul collo. fino a qualche tempo fa girava sempre scalzo. con una voce cavernosa grida e impartisce  ordini ai suoi uomini, come a una ciurma. collane e bracciali d’oro spiccano sul corpo villoso, mentre a ogni passo un crocifisso pendente vibra da uno dei due orecchini. è un commerciante di larghe vedute, possiede alcuni locali nei pressi del mercato ed espone la sua merce sulla strada occupando abusivamente due vie di un intero isolato. la tabella merceologica è un concetto e non un precetto: a seconda del periodo  alfredo espone mobili, poltrone, divani, sedie, sdraio, piccoli elettrodomestici, ombrelloni, giocattoli per il mare, barbecue, carbonella, tutto per la scuola, orologi, canarini, complementi d’arredo, quadri, statue di san pio in tutte le grandezze compresa quella naturale, alberi di natale, addobbi, luci, ombrelli, presepi, bandiere di club, bandiere della nazionale (pure in occasione dell’anniversario dell’unità), uova di pasqua, peluche, cioccolato molto surrogato, lampadari. qualche anno fa fu arrestato perché in occasione delle feste di natale aveva stipato in un vicino sottoscala-deposito una quantità tale di materiale pirotecnico sufficiente a ripetere lo scherzetto di nagasaki. in seguito, quando fu mandato ai domiciliari, siccome abita al secondo piano del palazzo di fronte, si mise a dirigere l’attività dal balcone, da dove godeva di una visuale più ampia. alfonso è instancabile, spesso lavora anche di domenica spostandosi al mercato delle pulci in un altro quartiere della città. durante la mattinata, tra le altre cose, invita i passanti a comprare biglietti di una riffa organizzata da lui, così, tanto per diversificare; al prezzo di uno o due euro si può rischiare la vincita di uno dei suoi articoli. al servizio di alfonso lavorano cinque o sei ceffi che sembrano usciti da un film di pirati, lui li incita a gridare, sorvegliare e a imbonire senza sosta  il pubblico, a natale uno di loro strepita di continuo per ore: “ADDOBBA’… DECORA’… ADDOBBA’…. DECORA’” (trad.: addobbate, decorate, please).
il diciotto agosto duemiladodici tamara, la figlia di alfonso, si è sposata con alessandro. per l’occasione papà ha fatto attaccare uno striscione di auguri tra due palazzi e sul muro alcuni manifestini con la foto dei due colombi. avrei dato molto per essere uno degli invitati. 











pasticciacci (finti)

carlo emilio, dove sei?
gustoso massimiliano parente, sempre su ostuni/carofiglio. una sola citazione, in apparenza qualunquistica ma oh quanto illustra bene: "i letterati italiani perfino quando hanno ragione sulla carta riescono a avere torto facendosi vedere." enjoy.

mercoledì 26 settembre 2012

sintetico, preciso, niente sbrodolature

l'opinione di valter binaghi sulla noiosa querelle carofiglio-ostuni.

pubblicità dedicata agli autori

la pagina facebook di anna albano dedicata all'editing.

dove luciano cerca una definizione per l'intellettuale ma alla fine lascia perdere

Che cosa significa, per cominciare, la parola “intellettuale”? Un autore che in questo dopoguerra ebbe particolare e meritata fortuna fra i lettori di sinistra affermò che per intellettuale deve intendersi chiunque non eserciti un lavoro manuale. Una definizione generosa, abbondante e perciò poco attillata, che andava larga: dal prete al portalettere, su su fino a Benedetto Croce, tutti quanti cadevano nel cestone della intellettualità. Rinunciamo subito a questa definizione e rivolgiamoci al dizionario. Ne esistono molti a buon prezzo, e del resto li possiamo consultare gratuitamente nelle biblioteche.
È intellettuale, dice l’uno, chi vive nel mondo degli studi e dell’intelligenza. Vive, d’accordo, ma cosa ci fa, in quel mondo? Uomo, dice l’altro, di cultura e giudizio elevato. Oppure: persona colta, con l’animo aperto ai godimenti dello spirito. Una definizione, come si vede, molto vaga e anche viziosa, perché si morde la coda: persona colta è un modo di dire molto approssimativo, riferibile anche a chi abbia terminato la scuola dell’obbligo; anima e spirito sono pressappoco la stessa cosa, sicché dovremmo concludere che l’anima dell’intellettuale si apre al godimento di se medesima, e cioè a una forma di vizio solitario, sconsigliato dai medici del passato, e non raccomandato mai da nessuno. E allora?
Sarà meglio lasciare tutto nel vago, non tentare neanche una definizione precisa.

Luciano Bianciardi, Non leggete i libri, fateveli raccontare, Stampa Alternativa, Roma 2008, pp. 9-10

l'editing di faccio testo: mounir fatmi, leonardo da vinci e una pecora marocchina


“sento di funzionare come un’ambulanza, che interviene dove c’è stato un incidente. sono incapace di fare qualunque cosa se non sento un senso di urgenza.”
mounir fatmi

mounir fatmi è nato a tangeri nel 1970, nei pressi di un mercato delle pulci, casabarata, dove ha comprato la sua prima yashica. sempre a casabarata, ci dice il testo di lillian davies a introduzione della monografia di prossima pubblicazione sull’artista, ha luogo l’incontro di fatmi con il rinascimento italiano: una copiaccia della gioconda, collocata a testa in giù, nelle poco rinascimentali fauci di una pecora, che andava tentando di mangiarsela. in un’intervista concessa nell’aprile di quest’anno l’artista dichiarerà che “non c’è un’unica storia dell’arte”, ma piuttosto “la storia dell’oggetto originale e delle sue copie”.

il volume, parte di una collana di arte contemporanea curata da brahim alaoui, ex direttore dell’institut du monde arabe di parigi, in edizione bilingue inglese/francese, è in preparazione presso skira editore, che ne ha affidato l’editing a faccio testo. la selezione delle immagini è totalmente arbitraria, l’unico filo conduttore essendo la presenza di libri nelle opere che pubblichiamo. 

dalla mostra "attempt to exhaust an african place", santa monica art center, barcellona, 2008

a sinistra: connections - the three books,
series cominciata nel 2006; a destra: connection 02: the language, 2003–2009

french theory, 2010

connections, serie cominciata nel 2006

 evolution or death, 2004. si notino andré gide, les caves du vatican, 1914, e guy de maupassant, boule de suif, 1880.

save manhattan 01, 2004. pubblicata dopo l'11 settembre 2001

sabato 22 settembre 2012

non è un video per precari

Ladies and Gentlemen, Gangnam Style: non si può vivere senza.


mercoledì 19 settembre 2012

non è un profumo per precari

--> l’amica chiara tulli mi mette a parte dell’avvento di un nuovo musthave: il profumo Paper Passion di Karl Lagerfeld, “ispirato dalla dichiarazione di Gerhard Steidl che ha affermato di preferire su qualunque altro profumo quello di un libro appena stampato. Insieme al naso Geza Schoen dunque il libro fresco di stampa è stato praticamente imbottigliato. […] la bottiglia è contenuta all’interno di un vero libro appositamente ritagliato, anzi si potrebbe dire creato intorno al profumo stesso, che contiene scritti di Günter Grass, del direttore di ‘Wallpaper’ Tomy Chambers e naturalmente di Karl Lagerfeld stesso” (qui l’articoletto completo di vanities.it: aggiungo solo che il profumo è stato commissionato a geza schoen da “Wallpaper” per essere presentato alla mostra del periodico a milano, nell’ambito del salone del mobile).  



Paper Passion sembra proprio il profumo ideale per lavoratori dell’editoria (forse i precari no: costa 85 euro o, a piacere, 68 sterline o 98 dollari, perciò se lo sanno i TQ [movimento di lavoratori e lavoratrici della conoscenza trenta-quarantenni] organizzano l’occupazione di un teatro per protestare contro l’ingiustizia sociale di questa cifra folle), dunque corro a comprarlo anch’io.
epperò, il packaging. karl non è del tutto originale con la sua scatola-libro, che esiste da tempo per contenere Eight&Bob, il profumo di john fitzgerald kennedy: i libri scavati furono lo stratagemma che durante la guerra consentì di spedire le boccette di profumo dall’europa all’america. se ne legga la storia qui.  



Eight&Bob è stato ripubblicato di recente dall’intertrade di celso fadelli. ah, e neanche questo è un profumo per tq: cento millilitri costano la bellezza di centoventicinque euro.

martedì 18 settembre 2012

innaturalezze

 la semplice, perfetta verità di peter cameron sul matrimonio.

lunedì 17 settembre 2012

leggero, veloce e ben scritto_ la scelta del detective marvin hanson

Joe R. Lansdale. Courtesy kingsroad.it
"Riempì d'acqua il bicchiere e lo mise nel lavello accanto alla ciotola, poi infilò la forchetta nel bicchiere e ripose pane e latte, rimpiangendo troppo tardi di non avere infilato una fetta di formaggio nel panino. Spense la luce in cucina e andò in salotto. Era una stanza pannellata in mogano rossiccio, per quel poco che c'era da vedere. Quasi tutte le pareti erano coperte da librerie. Forse era nato e cresciuto povero, forse aveva vissuto nel ghetto, ma il nonno gli aveva insegnato a leggere e ad amare i libri. Da bambino Marvin Hanson aveva un tesoro più prezioso degli altri, la tessera della biblioteca. Era un inferno andarci, ma quando ce la faceva prendeva sempre il massimo dei volumi concessi al prestito. D'estate praticamente viveva dietro uno di quei lunghi tavoloni di legno, un mondo ben serrato tra le dita, un mondo di carta, inchiostro e immaginazione.
Suo fratello Evan non sapeva nemmeno leggere e scrivere il proprio nome. Aveva fatto il pugile, con poca fortuna. Non era un brocco, ma nemmeno bravo, solo uno di seconda categoria. Dovevo fare il pugile, pensò, avevo le mani, il mento e il cuore adatti. Suo fratello solo quello aveva, il cuore. Un cuore da stallone.
In un vicoletto poco lontano da dove avevano trovato Bella, un delinquentello imbottito di neve aveva ficcato un serramanico in quel cuore da stallone per 3 dollari e 47 cent. Fine della recita per Bubba 'The Kid' Hanson. Un altro negro morto stecchito con una lama nel miocardio.
Morte. Ce l'aveva proprio in testa stasera, come se di colpo la calotta cranica si fosse riempita di tutta la morte che poteva contenere e adesso traboccasse come un cesso intasato. Venti anni nel corpo di polizia, e stasera si sentiva alla canna del gas.
Forse erano stati tutti quegli anni passati a credersi un eroe che arrestava la feccia e il giorno dopo la vedeva a piede libero grazie a qualche avvocato da sbarco con gli scrupoli di un agente della Gestapo. Sì, forse era per quello, e forse doveva mandare tutto affanculo.
Almeno per il momento era esattamente quel che stava per fare. Vaffanculo tutto quanto.
S'aggirò nella stanza passando le dita sul dorso dei libri. Cosa leggere? Ci voleva qualcosa di leggero, qualcosa che risucchiasse l'autolesionismo, qualcosa di riposante. Sfiorò Il grande sonno di Chandler. No, troppo reale per oggi. Poi i polpastrelli carezzarono The Glory of the Hummingbird di Peter De Vries. Ci siamo. Leggero, veloce e ben scritto. Scelse la poltrona di pelle accanto alla finestra, apri leggermente le tende prima di sedersi e poi reggendo il libro alla luce vivida iniziò a leggere. Lesse fino a quando le parole iniziarono a giocare a cavalluccio e il volume cadde dalla sua grande mano inerte."

Joe R. Lansdale, Atto d’amore, Fanucci, Roma 2004

domenica 16 settembre 2012

concetti che chiedono espressione e vita

quest’anno ricorrono i settant’anni dalla morte di annie vivanti*, scrittrice nomade angloitaliana della prima parte del nostro novecento. Nei suoi Divoratori si narra la storia di un’inane scrittrice che non riesce a portare a termine il proprio romanzo.

courtesy sauvage27.blogspot.com
Quando l'inglese tornò per portarle il numero della “Fortnightly” contenente il suo articolo, “Una poetessa italiana”, trovò che Nancy non aveva lavorato affatto. Era là, sorridente e soave; e oziosa come prima; e la sala era piena di gente.
Egli venne presentato alla madre, che trovò mite e gentile; e alla vigorosa zia Carlotta, dalla squillante voce milanese.
“Temo, mamma mia”, disse Nancy, poggiando la chioma ondeggiante al braccio di Valeria e alzando al nuovo amico gli occhi d'aurora, “temo che il signor Kingsley pensi che sono una persona senza carattere.
“Alla tua età”, intervenne la zia Carlotta, “non si deve aver carattere. Basta avere una bella carnagione e un buon appetito.”
E Valeria rise e disse:
“È vero! Una ragazza italiana non deve avere una individualità propria fin che non si marita; allora il marito può formarle il carattere a seconda del suo gusto.
Il signor Kingsley sorrise. Poi chiese a Nancy:
“Perché devo credere che ella è senza carattere?”
Nancy sospirò.
“Perché mi ha detto di lavorare, e io l'ho promesso. E non l'ho fatto.”
“Come? Non ha fatto proprio niente da che venni l'ultima volta?”
Nancy crollò il capo.
“E non ha pensieri, imagini, concetti che la incalzano, che le chiedono espressione e vita?”
“Oh! sì!”, disse Nancy, col piccolo gesto rapido della mano sulla fronte, che da bimba le era così familiare. “Pensieri e imagini sbocciano e ondeggiano nella mia mente come fiori in un giardino; ma tutte queste visite...”, e Nancy si guardò attorno nella sala piena del mormorio e del riso di gente estranea, “ahimè! ora di sera il mio giardino è spoglio, perché ho colto tutti i miei fiori e li ho regalati via!”
L'inglese dimenticò di essere inglese, e disse quello che pensava.
“Vorrei portarvi via, e rinchiudervi per un anno in una stanza con dei libri, una tavola, un calamaio e niente altro”, disse.
“Oh, come lo vorrei anch'io!”, esclamò Nancy. “Neanche un'anima mi dovrebbe parlare! E quando avessi fame mi fareste passare del plum-cake per la finestra.
L'inglese rise, del riso breve e subitaneo di chi ride poco.
“E io starei di fuori con un fucile”, disse, “a camminare su e giù.”
Nancy lo guardò, e un pensiero timido e rapido – come un uccelletto che entri a volo in una finestra aperta – si affacciò un istante alla sua mente. Forse sarebbe dolce di avere, fra lei ed il mondo, questa severa ed energica sentinella; dolce, forse, di sentire la fermezza del suo tocco sulla sua spalla, obbligarla al lavoro, a quel lavoro che essa amava tanto e che pure era pronta a trascurare per rispondere all'appello di ogni voce passante.

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qui, annie vivanti su wikipedia.
per qualche notizia sulla relazione tra una giovanissima annie e un anziano carducci si faccia riferimento all’articolo di silvio ramat  L’Orco e la fata. Giosue Carducci e Annie Vivanti,  nel quale sono pubblicate anche alcune lettere intercorse tra il poeta e la bambina.
 

sabato 15 settembre 2012

un posto pulito, illuminato bene_della variazione degli odori urbani

San Francesco di Sales, patrono degli scrittori e dei giornalisti
  -->

Alain Corbin, Storia sociale degli odori, Bruno Mondadori, Milano 2005

perciò uno pratica il displacement perché non giudica sufficientemente letterario il condominio nel quale ha vissuto per gli ultimi anni. questo condominio, dal luogo tranquillo che era – e nell’appartamento si godeva di una vista impareggiabile sui binari della stazione centrale e di una luce magnifica in tutte le stanze –, si è trasformato progressivamente in una sorta di babele, popolato di persone di nazionalità diversa, tra cui prevaleva un gruppo di adoratori della cipolla fritta, preparata a tutte le ore compresa la mattina presto, con contorno di spezie indicibili, inodorabili, inignorabili. per chi scrive i primi momenti del mattino sono sacri: in casa si deve sentire il fruscio delle pagine del giornale o del libro e l’aroma del nescafé, non c’è melting pot che tenga: se voglio mangiare indiano vado al ristorante, dopodiché dovrò al massimo portare i vestiti in lavanderia per eliminare gli odori.

perciò uno poi si trasferisce in una zona di milano rimasta prevalentemente come era, con la sua teoria di negozi di artigiani, el tapesè il corniciaio l’aggiustatore di biciclette. dopo il trasloco si fa un giro di piacere, oppure si cerca una lavanderia e si scopre di avere tutto molto vicino, soprattutto le cose essenziali. l’edicola è sul marciapiede di fronte: ad avere un cestino con la corda, di quelli che si usavano decenni fa nelle case senza ascensore per trasportare gli oggetti, ci si potrebbe far mettere il giornale dentro e tirare fino al balcone. la libreria è girato l’angolo: la centofiori, che vanta l’immenso merito di non essere popolata da commessi implacabili che ti chiedono “posso aiutarla?”. i supermercati sono girato l’angolo, girato l’angolo, girato l’angolo. c’è persino, nei pressi, il supermercato della natura, per la gioia di quella piccola snob dell’adolescentina, che lì va a comprare cose normali a prezzi speciali. i bar sono ovunque: un bistrot dal flavour parigino con proprietari, camerieri e clienti indistinguibili tra loro – proprietari di cani, di biciclette, di bambini, di orribili sandali birkenstock, di pezzette al collo; onesti bar di quartiere gestiti da meridionali, come si diceva un tempo, di antichissima immigrazione; locali contemporanei con foto d’autore alle pareti; luoghi di passaggio per impiegati in pausa pranzo. c’è una scuola di danza con sede in un bellissimo edificio, con la facciata ornata di minuscole luci che ardono giorno e notte in un christmas party permanente, una signora che fabbrica bijoux neanche troppo brutti, un micronegozio di abbigliamento per bambole taglia quaranta, un paio di parrucchieri, una copisteria.
ma la conferma che questa via aspettava proprio chi scrive è un po’ oltre il negozio di minivestiti: là si palesa su strada una di quelle targhe della cui venustà e utilità turistica ha parlato anche andrea kerbaker in un recente articolo sul “corriere della sera”. questa targa ci dice che il pittore boccioni dimorò dal 1907 al 1910 nell’edificio su cui fa bella mostra. 

perciò l’arte, nel nuovo contesto abitativo, è assicurata, e questo è già un eccellente inizio. poi uno rientra perché in casa c’è molto da fare, con tutti quegli scatoloni di libri da sistemare, libri un po’ perplessi poiché nella furia dell’inscatolamento si è dato che Bouvard e Pécuchet si trovassero accanto alla Tentazione di esistere di Cioran, di cui i due bravi pasticcioni faticavano a comprendere il nichilismo, tutti compresi nella loro smania di fare. e sotto casa la portinaia ci informa che dovremo firmare una delega per il ritiro di eventuali pacchetti, e quando si pronuncia distrattamente “casa editrice” la signora ci guarda con rinnovato interesse e là si scopre che la nostra interlocutrice è una poetessa, assiduo membro del sito “Scrivere” e assegnataria di ben due premi che ci mostra con orgoglio e allora il nostro cuore si espande con gratitudine mentre il nostro pensiero va al dio delle parole, che ringraziamo con fervore per averci diretto in questa zona, in questa via, in questo condominio, in questo appartamento, in cui ci ripromettiamo di fare grandi cose.

traslochi_dalla realtà alla carta (e viceversa)


chi scrive ha traslocato di recente, con tutte le implicazioni del caso. qui di seguito un brano di claudio magris su viaggi e traslochi che le è parso assai attinente. per quanto riguarda l'ambito specifico delle prefazioni, segnalo infine un ameno articolo di massimiliano parente sul "giornale", qui.


1. Le prefazioni sono sempre sospette; inutili se il libro che esse introducono non le richiede o indizi della sua insufficienza se esso ne ha bisogno, rischiano pure di guastare la lettura, come la spiegazione di una barzelletta o l’anticipazione del suo finale. Ma forse il prologo si addice a una raccolta di pagine di viaggio, perché il viaggio – nel mondo e sulla carta – è di per sé un continuo preambolo, un preludio a qualcosa che deve sempre ancora venire e sta sempre ancora dietro l’angolo; partire, fermarsi, tornare indietro, fare e disfare le valigie, annotare sul taccuino il paesaggio che, mentre lo si attraversa, fugge, si sfalda e si ricompone come una sequenza cinematografica, con le sue dissolvenze e riassestamenti, o come un volto che muta nel tempo.
La prefazione è una specie di valigia, un nécessaire, e quest’ultimo fa parte del viaggio; alla partenza, quando ci si mette dentro le poche cose prevedibilmente indispensabili, dimenticando sempre qualcosa d’essenziale; durante il cammino, quando si raccoglie ciò che si vuole portare a casa; al ritorno, quando si apre il bagaglio e non si trovano le cose che erano sembrate più importanti, mentre saltano fuori oggetti che non ci si ricorda di aver messo dentro. Così accade con la scrittura; qualcosa che, mentre si viaggiava e si viveva, pareva fondamentale è svanito, sulla carta non c’è più, mentre prende imperiosamente forma e si impone come essenziale qualcosa che nella vita – nel viaggio della vita – avevamo appena notato.
Il viaggio sempre ricomincia, ha sempre da ricominciare, come l’esistenza, e ogni sua annotazione è un prologo; se il percorso nel mondo si trasferisce nella scrittura, esso si prolunga nel trasloco dalla realtà alla carta – scrivere appunti, ritoccarli, cancellarli parzialmente, riscriverli, spostarli, variarne la disposizione. Montaggio delle parole e delle immagini, colte dal finestrino del treno o attraversando a piedi una strada e girando l’angolo. Solo con la morte, ricorda Karl Rahner, grande teologo in cammino, cessa lo status viatoris dell’uomo, la sua condizione esistenziale di viaggiatore.
Viaggiare dunque ha a che fare con la morte, come ben sapevano Baudelaire o Gadda, ma è anche un differire la morte; rimandare il più possibile l’arrivo, l’incontro con l’essenziale, come la prefazione differisce la vera e propria lettura, il momento del bilancio definitivo e del giudizio.
Viaggiare non per arrivare ma per viaggiare, per arrivare più tardi possibile, per non arrivare possibilmente mai.
2. Il viaggio dunque come persuasione. Forse è soprattutto nei viaggi che ho conosciuto la persuasione, nel senso dato a questa parola da Carlo Michelstaedter; quella vita autosufficiente, libera e appagata che Enrico, il personaggio del mio romanzo Un altro mare, insegue con autodistruttivo e vano accanimento. La persuasione: il possesso presente della propria vita, la capacità di vivere l’attimo, ogni attimo e non solo quelli privilegiati ed eccezionali, senza sacrificarlo al futuro, senza annientarlo nei progetti e nei programmi, senza considerarlo semplicemente un momento da far passare presto per raggiungere qualcosa d’altro. Quasi sempre, nella propria esistenza, si hanno troppe ragioni per sperare che essa passi il più rapidamente possibile, che il presente diventi quanto più velocemente futuro, che il domani arrivi quanto prima, perché si attende con ansia il responso del medico, l’inizio delle vacanze, il compimento di un libro, il risultato di un’attività o di un’iniziativa e così si vive non per vivere ma per avere già vissuto, per essere più vicini alla morte, per morire.

Cludio Magris, L’infinito viaggiare, Mondadori, Milano 2005

autopromozione -----> dedicato a chi scrive



 
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In tutti questi casi e in molti altri la revisione e i suggerimenti di un editor distingueranno il tuo testo dall'infinita quantità di parole che ci sollecitano quotidianamente nel mare magnum dell'iperinformazione.

Anna Albano lavora in ambito editoriale dal 1990. Ha cominciato nel 1995 il suo lavoro di lettrice e poi di editor esterno per l’agenzia letteraria milanese Grandi&Associati. Collabora con gli autori che desiderano migliorare i loro manoscritti per presentarli agli editori e con chi è orientato al self publishing. Opera sull’equilibrio complessivo della struttura, sull’efficacia di ogni parte del testo, tagliando e riscrivendo di concerto con l’autore dove è necessario. È l’autrice di Milano città di libri - Guida alle librerie e ai librai indipendenti di Milano, nonché di una serie di apprezzate quarte di copertina. Pratica anche, in gran segreto, il copywriting politico.
Lavora, tra gli altri, sui testi di Skira editore, NLP Italy, Regione Lombardia, Provincia di Milano, Bulgari, Brunello Cucinelli, Massimo Osti Studio, Grandi&Associati, Germano Celant e di una serie di autori che hanno la gentilezza di rivolgersi a lei privatamente.

Sulla pagina Facebook di Anna dedicata all'editing gli autori troveranno le informazioni utili per i contatti, per ragionare attorno alle singole necessità.

a casa

e dunque sì, ben ritrovati.

mi compiaccio di riprendere i contatti su questo blog segnalando una mostra che promette di essere deliziosa: presso la biblioteca braidense, il 27 settembre prossimo, si inaugura "Piccoli, piccolissimi, anzi grandissimi. Libri di piccolo formato e libri d'artista", in occasione del ventinovesimo anniversario dell'Archivio Libri d'Artista.


chi scrive ha una passione inestinguibile per i libri di minuscolo formato, pertanto il 27 sarà in biblioteca, in prima fila, in tenuta da assalto, e oltrepasserà incurante persino la tavola imbandita traboccante di prosecco e canapè.



immagini
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