giovedì 27 gennaio 2011

non scritti per la storia

Da sinistra, Michele Sarfatti, Marco Palmieri, Mario Avagliano

L'attore Renato Sarti legge alcuni brani dal libro
Lo storico Michele Sarfatti, direttore del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano e autore della prefazione del libro

Ieri sera, in un'anteprima della Giornata della memoria, presso la Feltrinelli Express della Stazione centrale di Milano si è tenuta la presentazione degli Ebrei sotto la persecuzione in Italia, di Mario Avagliano e Marco Palmieri. Nelle strette vicinanze del Binario 21, dove sorgerà il Museo della Shoah, nella bella sala allestita dalla Feltrinelli al terzo piano, Renato Sarti ha letto, in apertura e chiusura, alcuni brani dal libro: lettere e diari di persone che da un momento all'altro hanno visto la propria vita mutare radicalmente, che improvvisamente non sono stati più italiani ma solo ebrei. Nei loro scritti, più che l'angoscia, si registra uno stupito smarrimento; dato che sono redatti "in tempo reale", in essi non esiste la prospettiva della morte ma solo la restituzione del contesto. Avagliano e Palmieri ricostruiscono, attraverso le voci degli anonimi – meccanici, casalinghe, professori, studenti frastornati per l'improvviso divieto di frequentare la scuola  –, il percorso della persecuzione italiana degli ebrei dagli inizi della propaganda, nel 1937, alle leggi razziali del 1938, fino alla deportazione e ai pochi ritorni. Sono prevalentemente voci di persone comuni, di vittime non ancora pienamente consapevoli; i loro scritti non sono viziati né mediati, poiché non sono scritti per la storia.
Terminata la presentazione, mentre mi avviavo all'ascensore, una signora dall'aria un po' depressa, con strofinaccio arafatiano al collo, mi consegna un volantino dal titolo "Storie dal Medio Oriente - i conflitti e le loro radici", in cui mi si informa che da gennaio a giugno, presso Chiamamilano, si svolgerà una serie di incontri a cura di Parallelo Palestina. Per inciso, questa inquietante presenza all'uscita mi appare come la rappresentante di una sorta di controgiornata della memoria, il messaggio mi suona come "Sì, certo, abbiamo parlato degli ebrei, ma adesso pensiamo ai palestinesi" – come una sorta di arrogante memorandum. E insomma poi vado nel sito di questi adoratori del rap palestinese, della pita e dell'hummus – li propongono implacabilmente tutti e tre alla fine di ogni incontro da Chiamamilano, apprendo dal volantino –, clicco su "Chi siamo" e invece di leggere biografie e vedere volti trovo un asciutto indirizzo mail. Clicco su "Partecipa" e trovo "50 modi per agire". Incuriosita e desiderosa di partecipare, leggo e apprendo che PP, nel quadro della sua volontà di "parlare di diritti umani e di pace basandosi sul rispetto del diritto internazionale", propone, tra le altre cose, di "Educare se stessi, visitando la Palestina e scrivendone"; e poi: "Avvia un tuo gruppo o unisciti a un'organizzazione già esistente che funzilavora per la giustizia. Basta cercare su google la tua città con la parola Palestina per identificarne una" – "funzilavora"? ma non è Parallelo Palestina, è l'Oulipo; "Sviluppa stretti rapporti di lavoro con i partiti e i gruppi progressisti nel tuo paese" – questo mi dice che basta cercare un gruppo progressista e tutto va a posto da sé; "Collabora o avvia una campagna di boicottaggio culturale e accademico": massì, contestiamo qualche professore israeliano, o buttiamo dalla finestra i libri, non so, di Saul Bellow o di Allan Bloom; "Srotola uno striscione da un ponte stradale o da qualsiasi altro punto pubblicamente visibile" – qui riconosco la creatività ma non posso fare a meno di chiedermi: sullo striscione devo scrivere qualcosa o basta srotolarlo dal ponte stradale in un impeto suicida?; "Organizza una cena con cibo arabo e mostra alla gente il ricco patrimonio culturale tradizionale come gli abiti ricamati che risalgono all'epoca Cananitica" – anche qui apprezzo la valorizzazione delle arti applicate di Canaan e mi chiedo: l'abito ricamato che dovrei portare ad esempio del ricco patrimonio culturale, dove lo trovo?
E comunque i signori di Parallelo Palestina sono tutto sommato consapevoli dei loro limiti, se in testa ai cinquanta modi per agire ci dicono: "Shhh!...  Abbiamo bisogno di aiuto per tradurre testi  e video. Contattateci!". In effetti un buon traduttore professionista, al sito, servirebbe.

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