sabato 7 maggio 2011

dimenticare maurizio cattelan

Antoine-Laurent-Thomas Vaudoyer
(Parigi, 1756-1846)
Dito colossale in marmo, 1785
penna, inchiostro, matita, acquarello, 205 x 194 mm
Roma, collezione W. Apolloni
Iscrizioni: in alto a sinistra “Doigt colossal en marbre/ porté par huit hommes/ au museum à Rome”; in alto a destra “1785 MUNIFICENTIA/ PIO VI PONT MAX”
(sul basamento)

Questo foglio è opera dell’architetto francese Antoine-Laurent-Thomas Vaudoyer, pensionnaire di architettura dell’Accademia di Francia a Roma tra il 1784 e il 1788. […] Come informa la dettagliata iscrizione a matita, il disegno raffigura il trasporto di un dito colossale in marmo al “Museo”, effettuato con una portantina in legno da otto uomini, diretti da una figura che possiamo identificare con un architetto o un impresario. La data 1785 e l’iscrizione posta sulla base del dito stesso, montato su di essa come fosse una colonna, mettono subito in connessione il dito e il suo trasporto con la figura di Pio VI, il grande pontefice protettore delle belle arti e delle antichità, a cui si deve la nascita e lo sviluppo di una delle realtà museali più importanti dell’Europa settecentesca, il museo Pio-Clementino in Vaticano. Dopo aver contribuito in misura decisiva, sotto il pontificato del suo predecessore Clemente XIV, alla fondazione del Clementino, primo vero museo di scultura antica in Vaticano, Pio VI, divenuto papa nel 1775, ampliò questa istituzione in un museo di grandiosa e innovativa concezione, il Pio-Clementino appunto, destinato immediatamente a divenire il fiore all’occhiello dell’offerta espositiva della capitale pontificia, luogo privilegiato di raccolta della moltitudine di sculture e di reperti che venivano ogni giorno alla luce nel corso delle attività di scavo sostenute dal pontefice stesso e dai numerosi impresari privati, locali e forestieri, dentro e fuori le mura di Roma. Non stupisce dunque che il pensionnaire Vaudoyer rappresentasse in disegno quella che doveva essere una realtà ricorrente nella Roma di Pio VI, vale a dire il trasporto al museo di statue e antichità acquistate dal pontefice, o acquisite grazie al meccanismo che consentiva allo Stato di incamerare un terzo di quanto scavato dai privati, o rinvenute nel corso degli scavi finanziati direttamente dalla Camera Apostolica.
Purtroppo, ed è davvero singolare, questo dito dalle dimensioni straordinarie sembra non aver lasciato nessun altro indizio di sé, oltre a questo disegno: non figura nel museo Pio-Clementino né nei depositi, né di esso si trova alcuna traccia nella pur vasta messe di documenti d’archivio, epistolari, guide, saggi, articoli e cataloghi che nel Settecento accompagnarono il ritrovamento, il restauro, il commercio dei reperti archeologici, nonché la loro acquisizione nei musei pubblici romani.
Ciò stupisce ancor più se si considerano le sue dimensioni davvero eccezionali (a giudicare dalle proporzioni con le figure dei portatori, circa due metri) […] Il dito doveva dunque appartenere a una statua veramente unica per grandezza, e lascia stupiti che un ritrovamento tanto fuori dal comune non sia stato materia di discussione tra gli eruditissimi antiquari del tempo.
Che debba essere allora considerato, il disegno di Vaudoyer, un divertissement ispirato, come molti altri, da quella mania dell’antico che pervadeva la cultura romana e contagiava di sé tutta l’Europa? Un’allusione satirica alla dedizione collezionistica del pontefice e alla magnificenza del trattamento riservato ai reperti antichi nel rinnovato museo vaticano? Un dito che diventa colonna, con tanto di basamento con iscrizione dedicatoria, un frammento che richiede otto uomini per essere trasportato, quasi fosse la statua di un santo portata in processione: per quanto realistica, è un’immagine che suscita immediata ironia. Nonostante la precisione dell’annotazione a matita sembri ricondurre all’osservazione diretta di un fatto reale, l’apparente assenza di sforzo dei portatori, la mancanza di elementi che circoscrivano uno spazio urbano o uno sfondo reale, la rigida frontalità del dito sono dati che a mio avviso confermano invece l’ipotesi che si tratti di un disegno d’invenzione. Per di più di rara sottigliezza: bersaglio della garbata canzonatura non sarebbe in questo caso semplicemente la mania antiquaria, ma, con maggiore finezza, la sontuosa accoglienza che la munificenza pontificia riservava alle reliquie dell’antico.

Federica Giacomini

Scheda in Carolina Brook, Valter Curzi, Roma e l’antico, catalogo della mostra (Roma, Fondazione Roma), Milano 2010.


3 commenti:

Emanuele Secco ha detto...

Ti dico solo che hai ricevuto un premi :-) passa pure da me ^^

E.

Renato ha detto...

Off Topic.

Nientepopodimeno che l'Ecole Nationale Supérieure de Création Industrielle: pfui, ne abbiamo scoperte noi di cose sul blog di aa, senza aspettare sti francesi!

Un altro link interessante nei commenti alla pagina (quello di Lorenzo Soccavo).

aa ha detto...

génial, merci. mi sono autosegnalata e sono stata molto fiera di me.