quando uno propone un libro agli editori, esiste normalmente quel periodo di vacatio in cui nessuno risponde, oppure qualcuno risponde dicendo no grazie perché il tuo prodotto non venderà, insomma esistono tutte le possibilità di coltivare, negli interstizi del tempo che trascorre, una variegata palette di stati d'animo. dopo un po' predomina il sollievo di quando ti dici "massì, forse è meglio così, in fondo eccetera". dopodiché, maligno, si palesa l'editore interessato, a rimescolare le carte e rimetterti sul cuscino di spine. e insomma bisogna che il libro esca a novembre perché poi il natale. e tu senti di non avere scampo e che adesso devi metterti a lavorare davvero.
così questa mattina ho indossato il mio abito migliore e sfoderato il mio sorriso più affascinante. l'editore è arrivato in ritardo ma ha incaricato un suo sottoposto di (al telefono ha detto proprio così) intrattenermi. quale non è stato il mio sollievo nel verificare che l'intrattenimento consisteva in una pudica tazza di caffè (quel ragazzo era decisamente troppo giovane per altri intrattenimenti da somministrare alla sottoscritta) e in una specie di imbarazzata cortesia. l'editore era in ritardo. giunto, l'editore mi ha calorosamente abbracciata e baciata sebbene non ci fossimo mai incontrati prima di stamattina. e dopo due decenni di redazione editoriale io ho provato l'inebriante sensazione di stare dalla parte dell'autore, di quello che volendo può pure scassare l'anima con qualche puntiglio che dovesse figgerglisi in capo. definiti i dettagli, dopo la firma del contratto, l'editore mi ha fissata con serietà e mi ha detto "dimmi se ti serve un anticipo, dimmi se prevedi di avere delle spese". lì per un momento mi sono sentita davvero raymond carver.
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