giovedì 17 novembre 2011

Ferri e Finzioni: un libro e/o ci dice perché gli editori sono ancora necessari, anche in tempi di democrazia letteraria

L’editore e/o ha di recente pubblicato I ferri dell’editore, un volume distribuito su canale misto, disponibile in formato elettronico al costo di 0,79 euro e tra poco sulla buona vecchia carta, scritto da Sandro Ferri, l’editore medesimo.
Il libri affronta con grande chiarezza la questione del ruolo dell’editore ai tempi nostri (con ampi e affettuosi squarci sull’editrice Sandra Ozzola, ché la e/o, come ci spiega Ferri, è una casa editrice di coppia). La voce dell’autore si leva autorevole a rappresentare il contrario dialettico rispetto alla tendenza che vorrebbe e propugna il “potere assoluto del lettore” riguardo alla scelta, alla disponibilità e alla modalità di consumo dei testi: una posizione che tende a eliminare qualsiasi filtro tra il lettore e l’opera, mettendo così fortemente in discussione il ruolo di mediazione tra l’autore e il mercato tradizionalmente prerogativa dell’editore.
Strenui sostenitori di una larga democrazia delle lettere sono gli autori del sito Finzioni, i quali hanno sistematizzato le proprie posizioni in un Libretto rosa, prelevabile qui, nove punti programmatici a favore della lettura militante: nelle loro parole, “la lettura come fatto sociale, la letteratura come dialogo tra lettori, l’identità tra lettura e scrittura” (il corsivo è mio. Mi intrometto nel dialogo a distanza tra Ferri e Finzioni e sottolineo che la lettura come fatto sociale non mi convince: la lettura, credo, è un’attività eminentemente individuale, così come la soddisfazione del lettore è eminentemente solipsistica).
La funzione di cambiamento delle cose auspicata da Finzioni attraverso l’esercizio della lettura sociale – “attraverso […] la pratica della lettura sociale noi siamo in grado di immaginare mondi alternativi, realtà parallele, soluzioni differenti. Siamo cioè capaci di non adattarci allo stato di cose presenti” – è per me un [eventuale] processo personale lento e coltivato, appunto, in sé stessi, che forse può dare luogo a un cambiamento “pubblico” generato dalla somma e dalla sintesi dei cambiamenti privati. Anche qui, tuttavia, il dubbio è legittimo: la lettura, l’assorbimento delle parole altrui intraprendono spesso vie misteriose, vie sfuggenti.
Dice Ferri, a proposito degli e-book – un termine di confronto ormai ineludibile – e dell’infinita libertà che l’autopubblicazione concederebbe ad autori e lettori: “L’editore sa che la stragrande maggioranza delle opere che vengono scritte non valgono molto e che non sono in grado di soddisfare neppure l’esigenza di un singolo lettore. […] Per quanto si estenda e si diversifichi il concetto di ‘buon libro’, non cambia il fatto che solo una minoranza di autori riesce a creare un’opera che in qualche modo soddisfi anche solo una minoranza di lettori. L’editore sa che la letteratura non è il terreno della democrazia. […] È questo il vero motivo per cui l’utopia dell’e-book che cancella gli ostacoli, il sogno della società senza editori, non potranno avverarsi se non nella forma dell’incubo della moltiplicazione della mediocrità, della confusione, della rinuncia a leggere.”
Alla luce della definizione che Ferri ci dà del ruolo dell’editore, può dunque esistere l’identità tra lettura e scrittura? No, ci risponde l’autore, poiché “un romanzo è un’opera compiuta, complessa e articolata, che ha richiesto un lungo, faticoso lavoro da parte del suo autore, un professionista, uno che dedica la vita alla scrittura, che ha sentito come una vocazione, che ha un talento speciale, una necessità, una forza espressiva, una voce originale, che è compito dell’editore trovare e premiare con la pubblicazione, con la ‘presentazione in società’, con la ‘sponsorizzazione’.” Il fatto che l’editore avochi a sé la responsabilità ultima della selezione e della pubblicazione, comunque, non esclude affatto il confronto con i lettori. Ferri parla di “promessa implicita” contenuta nel progetto che l’editore va sviluppando mentre compone il suo parco titoli: io, editore, mi impegno con te, lettore, che hai dimostrato di apprezzare il mio operato, a mantenermi coerente nei criteri che mi sono dato e che hanno sollecitato il tuo gradimento.
Una delle cose più gradevoli di questo utile libro è il disvelamento della casa editrice vista dall’interno: Ferri ci dice come è nata, come e con chi è stata condotta, ma soprattutto come si attuano quei criteri che informano il progetto dell’editore, parlandoci diffusamente del meccanismo di selezione dei titoli (che non esclude qualche personale tic). Sono le parti più avvincenti, quelle in cui l’autore racconta il lavoro sui manoscritti, i differenti modi di leggere delle diverse figure coinvolte nella valutazione di un testo: l’editore, diversamente dall’editor, “deve quindi leggere molto velocemente, deve leggere parzialmente (saltando interi capitoli), deve leggere a tutte le ore e deve leggere, soprattutto, per selezionare, per eliminare.” Talvolta, però, il lettore disinteressato prende il sopravvento sull’editore: […] il libro mi sta piacendo molto, mi tappo la bocca per non farmi scappare rumorose risate che sveglierebbero mia moglie e mia figlia o anche lo stesso cane, il quale potrebbe pensare che è arrivata mattina e che ha diritto a mangiare. Mi viene voglia di alzarmi (e perdere tempo prezioso) per cercare sul vocabolario spagnolo il significato di una parola sconosciuta, sono infastidito perché vorrei essere sdraiato in vacanza con tanto tempo a disposizione a godermi ogni singola scena, riga, personaggio di questo bel romanzo. Invece dovrò leggerne solo un terzo, altrimenti dopodomani non sarò in grado di prendere la mia decisione. Ma quale terzo leggere? Mi ribello all’idea di una lettura a campione, non ce la faccio a interrompermi a metà non dico di un capitolo ma neppure di una parte, di un’azione. E se il romanzo corre dritto senza possibili interruzioni, come farò? Posso seguire le avventure di un personaggio per cinquanta pagine e poi lasciarlo continuare da solo senza sapere come gli sono andate le cose? Posso capire il ritmo di un’opera senza valutarla nella sua interezza?”.
I ferri dell’editore è un libro che si deve leggere perché racconta la storia di una casa editrice che ha fatto dell’assoluta indipendenza uno dei valori cardine della propria ricerca (“[…] in cosa consiste allora il nostro progetto, questa identità di cui siamo tanto fieri anche quando gli altri non la vedono? Penso che consista semplicemente nella coerenza di pubblicare solo i libri che ci piacciono.”); perché argomenta in maniera molto convincente i motivi per cui, in un momento in cui Amazon si va proponendo agli autori come editore in grado di saltare i tradizionali passaggi della filiera editoriale e perciò stesso in grado di assicurare agli scrittori guadagni ben più consistenti – fino al settanta per cento degli incassi contro l’attuali dieci per cento –, un editore è più che mai necessario (“[…] non potremo mai appiattirci sulle richieste dei lettori e continueremo a rivendicare senza ottusità ma con orgoglio i motivi delle nostre scelte.”); perché parla senza involuzioni e con appassionato realismo di un mestiere in divenire.

Nessun commento: