sabato 17 settembre 2011

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Il signor Mabeuf aveva come opinione politica l’amore appassionato per le piante e soprattutto per i libri. Aveva, come tutti, la sua desinenza in ista, senza la quale nessuno avrebbe potuto vivere a quel tempo, ma non era né realista, né bonapartista, né cartista, né orleanista, né individualista, era collezionista. Non capiva come gli uomini potessero perder tempo a odiarsi per futilità come la Carta, la democrazia, la legittimità, la monarchia, la repubblica eccetera, quando in questo mondo c’erano ogni sorta di muschi, di erbe o di arbusti da guardare e mucchi di in-folio e anche di in-trentaduesimo da sfogliare. Si guardava bene dall’essere ozioso; avere libri non gli impediva di leggere e l’essere botanico non gli impediva di essere giardiniere. […] Andava a messa per dolcezza piuttosto che per devozione, perché amando i volti degli uomini, ma detestandone il baccano, soltanto in chiesa li trovava riuniti e silenziosi. Sentiva che bisognava essere qualcosa nello Stato e aveva scelto la carriera di fabbriciere. Per il resto non era mai riuscito ad amare una donna quanto un bulbo di tulipano e un uomo quanto un elzeviro. Aveva passato da molto i sessant’anni quando, un giorno, qualcuno gli chiese: “Non vi siete mai sposato?”. “Me ne sono scordato”, rispose. E se talvolta gli capitava di dire (a chi non capita?) “Oh, se fossi ricco!”, non era adocchiando una ragazza come Gillenormand padre, ma contemplando un incunabolo. Viveva solo, con una vecchia governante. Soffriva di gotta alle mani e, quando dormiva, le sue vecchie dita, anchilosate dal reumatismo, si inarcavano tra le pieghe delle lenzuola. Aveva scritto e pubblicato una Flora dei dintorni di Cauteretz con tavole a colori, un’opera abbastanza stimata, della quale possedeva ancora le lastre in rame, e che lui stesso vendeva. Per acquistarla suonavano due o tre volte al giorno alla sua abitazione di rue Mézières. Ne ricavava ben duemila franchi all’anno, che costituivano quasi tutta la sua fortuna. Benché povero, aveva avuto la bravura di farsi, a forza di pazienza, di privazioni e di tempo, una preziosa collezione di esemplari rari di tutti i generi. Non usciva mai senza un libro sotto braccio e spesso rientrava con due. Le sole decorazioni delle quattro stanze a pianterreno che, con un piccolo giardino, costituivano tutta la sua dimora, erano alcuni erbari incorniciati e alcune incisioni di vecchi maestri. La vista d’una sciabola o d’un fucile lo agghiacciava. Non si era mai avvicinato, in tutta la sua vita, a un cannone, neppure a Les Invalides. Aveva uno stomaco passabile, un fratello curato, i capelli completamente bianchi, niente più denti, né in bocca né nello spirito, un tremito in tutto il corpo, l’accento piccardo, un riso infantile, lo spavento facile, e l’aspetto di un vecchio caprone. Con ciò non aveva altra amicizia o altra consuetudine, tra i viventi, se non un vecchio libraio di porta Saint-Jacques chiamato Royol.


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