E dunque venerdì chi scrive ha spento il telefono e chiuso qualunque altro canale di comunicazione che potesse consentire agli importuni di disturbare e ha trascorso una magnifica giornata di seminario formativo alla Biblioteca Trivulziana. I relatori hanno declinato ciascuno la propria visione del valore del libro, di cui si è parlato molto in termini di valore, proprio monetario.
Da sinistra, Ornella Foglieni, Paolo Chiesa, Gabriele Mazzotta |
Isabella Fiorentini, dell’Archivio della Biblioteca, ha addirittura dichiarato che, in una assurda ipotesi di vendita della biblioteca (e gli acquirenti, dice, non mancherebbero), ciascun volume non varrebbe meno di nove milioni di euro. E tutto questo nonostante la perdita di valore simbolico e di utilità sociale di questo oggetto, cui non può evidentemente sopperire il solo interesse degli specialisti: esiste, dice Fiorentini, un pericolo di musealizzazione delle biblioteche come la Trivulziana, il pericolo che i libri siano percepiti come oggetti d’arte bastanti a sé stessi. I tre ingredienti proposti da Isabella per condurre una biblioteca sono 1. idee; 2. salda consapevolezza professionale; 3. impegno morale.
Maria Antonietta Grignani durante la pausa pranzo del seminario: un venditore ambulante cerca di venderle dei libri, in via Dante |
Grignani fuma con gusto, da autentica bad girl |
E in qualche modo di ambito morale ha parlato anche Maria Antonietta Grignani – direttore del Fondo manoscritti del Centro di Ricerca sulla Tradizione Manoscritta di Autori Moderni e Contemporanei, Università degli Studi di Pavia (dove è conservato l’archivio Manganelli, per intenderci) – quando ha narrato, con sapida ironia, di certi eredi che vendono le carte dei propri avi scrittori invece che donarle. Grignani stava una spanna sopra gli altri relatori per un’eccezionale capacità di catturare i suoi ascoltatori, un’autentica allure da popstar consumata. Alcuni, dice, raccontano fanfaluche (sì, proprio fanfaluche ha detto) minacciando di andare a vendere i documenti in America. Ed è proprio per evitare siffatti ricatti che questi beni dovrebbero essere tutelati dalla legge, dichiarati inesportabili. Chi vende, dice Maria Antonietta, fa un danno enorme alla memoria del proprio paese.
Mario Scognamiglio con Annette Popel Pozzo della Biblioteca di via Senato |
Insieme con Grignani l’idolo assoluto della giornata è stato Mario Scognamiglio dell’Aldus Club (notizie di servizio qui, datate ma valide ai nostri fini informativi), un ottantacinquenne ragazzo pieno di entusiasmo che ha parlato di Aldo Manuzio e del suo protocatalogo editoriale pubblicato nel 1498, nonché del sogno aldino di rigenerare l’umanità attraverso la cultura, e delle librerie antiquarie come nobili botteghe (lui, di queste nobili botteghe, ne conduce una a Milano, in via Rovello, che è anche la sede dell’Aldus). “Tutti dobbiamo fare questo sforzo di promozione del libro”, dice Mario (il quale, civettuolo, dopo la relazione e dovendo tornare in ufficio, ha chiesto a chi scrive “Me la sono cavata?”. “Egregiamente, come sempre”, ho risposto, e non avrei più voluto lasciargli la mano, felice come un’adolescente al primo autografo del suo cantante preferito), “poiché alla fine vinceremo: la cultura paga!”. La folla era in delirio, io pure, e a stento ci si è ripresi per ascoltare Cristiano Collari, un esperto del mercato antiquario dal cui discorso ho appreso l’esistenza di una Compendiosa bibliografia di edizioni bodoniane di Hugh C. Brooks. Le slides con cui lo accompagnava, poi, mi hanno dato un temporaneo, pixellatissimo accesso a qualche pagina di una meravigliosa copia illustrata dei Sonetti lussuriosi di Pietro Aretino, venduti all’asta a Parigi qualche anno fa per trecentocinquantamila euro.
E insomma, a stare lì, in quel loco ameno, tra ameni parlari, con le parole di Grignani che ancora mi risuonavano in capo (la signora è una studiosa vera, eccentrica come solo certe competentissime signore possono essere: sentirla parlare di manoscritti e varianti dava la voglia di non tornare mai più a casa), mi sono tornate in mente certe cose che avevo letto giorni prima sul sito di “Finzioni”, una sorta di manifesto sul diritto dei lettori:
“Il valore di un libro può essere solo ed esclusivamente determinato dal giudizio che i lettori ne danno nel corso del tempo. Se ciò era più difficile fino a qualche tempo fa, perché i lettori non avevano una voce pubblica – o questa non trovava una via di espressione adeguata – ora l’aggregazione è resa più semplice dai progressi tecnologici: come effetto, emerge più forte e articolato quel discorso pubblico che i lettori sviluppano intorno a un libro. La Repubblica dei Lettori ha schiarito la sua voce e ora sta parlando”; il lettore dovrebbe esigere incondizionatamente “che editor, redattori, grafici, stagisti e qualsiasi altra figura professionale dell’editoria lavori nel rispetto dei diritti, della legge, della dignità umana e professionale, con la certezza di un salario giusto e commisurato alle proprie capacità – i lettori sono cittadini consapevoli, informati, battaglieri”; e la conclusione (qui il testo integrale): “Queste sono le nostre richieste, e la lista non è certo esaustiva. Ciascun lettore può e deve arricchirla, integrarla, approfondirla. La Repubblica dei Lettori decide collettivamente cosa vuole e come lo vuole”.
Io, alla mia bella età, sono stata molto felice di imparare qualcosa dalla signora Grignani, l’altro giorno. Mi sentivo moderatamente consapevole, moderatamente informata e per nulla battagliera. Più che altro ero contenta. Pur lavorando in editoria, quando prendo in mano un libro non mi preoccupo affatto di quanto abbia guadagnato lo stageur o l’editor: questa parte la lascio volentieri ai sindacalisti. Caldeggio l’esistenza dell’auctoritas per evitare la mediocritas (ché tutta questa democrazia della rete, queste valutazioni dal basso possono essere molto rischiose). Grignani e Scognamiglio forever.
La sala Weil Weiss della Trivulziana vista dal basso |
1 commento:
Bellissima lettura! Complimenti, e poi quando si parla di prof che conosco in pri) ma persona, fa sempre un certo effetto (positivo, s'intende) scoprire che certe abitudini che non cambiano mai...
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