mercoledì 7 marzo 2012

inferni ginnici_abercrombie & fitch

una notiziola sul corriere.it di oggi mi dà lo spunto per riproporre un mio antico post in cui descrivevo la mia esperienza nell'antro cavernoso del negozio abercrombie a milano. a conferma del fatto che i commessi abercrombie sono adolescenti maltrattati.

let's dance - esiguità dell'abbondanza

chi possiede figli adolescenti sa senz'altro che, a meno di non di diventare seguaci di simeone lo stilita, di tanto in tanto è d'uopo sottoporsi ad alcuni ineludibili riti di massa. così, sabato scorso ai riti si è sottoposta anche chi scrive, accompagnando l'adolescentina nel nuovo tempio degli adolescenti, il negozio di abercrombie & fitch (forse c'era simeone lo stilista, ma non l'ho incontrato), in corso matteotti a milano.
abercrombie & fitch è un inferno di felpa, dominato dalla presenza costante di musica disco ad altissimo volume, omnipervasiva, alla quale non esiste possibilità alcuna di sfuggire. vige nel luogo la luce artificiale dalla mattina alla sera e un'atmosfera tra un night club e un museo di storia naturale chiuso per la notte, impressione quest'ultima accentuata dalla presenza di teste di alci infisse nel muro. ragazze snelle e giulive sono pagate (quanto?) per ballare sui pianerottoli o dietro i banconi; altri ragazzi e ragazze (ma perché sono tutti in ciabatte?) incessantemente ripiegano ciò che la folla ha esaminato e abbandonato ovunque. da abercrombie & fitch si sorride molto e tutti ti dicono "hi", tanto che sulle prime a uno viene di rispondere "hi there", salvo poi rendersi conto che l'avvenente salutatore viene da cremona. alcuni altri ti dicono "ciao" anche se hai cinquant'anni. appena entri nel negozio, se lo desideri, puoi farti fotografare con un commesso/modello che per l'occasione si slaccia la camicia mettendo in mostra gli addominali tartarugati. nonostante l'apparente abbondanza, da abercrombie in realtà non c'è niente se non tre o quattro modelli di felpe e magliette declinate in una moltitudine di colori e loro sfumature. nel corso dell'accompagnamento, stremata dalla festa continua, individuo un provvidenziale salottino dove intendo rifugiarmi a leggere in santa pace il mio "tuttolibri"(munita di pila, poiché non si vedeva un tubo). davanti alla poltrona c'è un coffee table corredato di pile di coffee table books. sono tutti uguali, libri cartonati infilati in un cofanetto decorato con una specie di affresco – nello stesso stile di quelli che adornano le pareti del negozio – che raffigura un gran numero di ragazzi seminudi impegnati in diverse attività fisiche su uno sfondo, mi pare, fluviale (questo volume mi pare un ottimo candidato a ingrossare il novero delle cosiddette icone gay, insieme con raffaella carrà e ymca). il libro costa 120 euros, recita l'etichetta sul cellophane che lo avvolge. il titolo non è scritto da nessuna parte, pertanto non riesco a capire di cosa parli. intanto, mentre nella mia mente prostrata si materializzano l'immagine di una tazza rossa con la scritta nescafé e l'aristocratica silhouette del volto di edgar allan, commesse pallide mi appaiono come tante ligeia, berenice, morella, creature spettrali in un antro di stoffa oscura, meccanicamente intente alla loro danse macabre.

9 commenti:

pa ha detto...

sai che non ci sono mai stata? ma considerato che io mi vesto spesso con le felpe, ci trovo qualcosa anche per me? mi sa che hanno tutte quell'orrida enorme scritta e costano carissime, eh?

aa ha detto...

la cosa incredibile è che a tutte le ore del giorno bisogna fare la fila per entrare. vale l'esperienza, ma i prezzi sono veramente sproporzionati rispetto ai vestiti. e poi vi aleggia un puzzo del loro profumo che ti uccide.

Renato ha detto...

Insomma, mi sembra piu' pericoloso lo store di A&F della fitta boscaglia attorno a Martina Franca nel 1821 * (tra i due, io compro il post su A&F).

aa ha detto...

cioè, compri le mie parole e non quelle di un autore che ha già autorevolmente pubblicato?

pa ha detto...

allora faccio così: ci vado, non compro nulla, e ci scrivo sopra un post anch'io (che schifo però la puzza di profumo! già mi immagino i modelli depilati e lampadati)

aa ha detto...

tu saprai senz'altro cavarne un post giustamente critico ma estremamente glamorous.

Renato ha detto...

Ah si, io compro certamente il post: per di piu' e' senza maiuscole, costera' anche di meno (*).
L'abstract del manoscritto non mi ha molto intrigato, ma forse perchè è un testo "tecnico" indirizzato all'editore.
Sullo sfondo mi nasce spontanea una domanda: come si presenta un manoscritto a un editore? C'è differenza, ad esempio, con un testo che ha uguale finalità ma indirizzato al lettore?

* il minuscolo si diffonde, ho trovato almeno un altro blog emulo di cosedalibri

aa ha detto...

in effetti era un testo indirizzato a un editore. per quanto concerne la presentazione allo stesso, ti copio ciò che ho scritto in un commento al post: "l'autore manda il manoscritto all'agenzia; l'agenzia me lo dà per valutarlo; io scrivo una scheda diversa da quella di cui stiamo parlando, segnalando gli interventi a mio giudizio necessari; l'agenzia ritiene che io abbia ragione e mi affida il manoscritto perché io pratichi gli interventi; intanto cerca l'editore adatto. eccetera eccetera."
invece non ho capito: chi presenta al lettore? parli, ad esempio, di una quarta di copertina?

per quanto attiene al minuscolo: quello, molto prima di me, l'ha inventato e.e. cummings.

Renato (M) ha detto...

grazie per la segnalazione su e.e. cummings, che naturalmente non conoscevo. sulle poesie non mi pronucio: mi interessa molto pero' questa linea di contatto tra il testo la sua rappresentazione, che è in qualche modo l'inizio del "libro d'artista". conosci testi che ne parlino in maniera specifica? se si, ci faccia sapere.

altro argomento: si, mi riferivo alla quarta di copertina e ai criteri con cui si presenta un testo per destare l'attenzione del lettore, in un caso, dell'editore, in un altro.