lunedì 4 maggio 2009

professioni oscure - il redattore editoriale

ricevo dalla collega Amanda Robinson, editor della Pyramid Books, e pubblico volentieri.

L’amorevole cura


Questa cura della bellezza esteriore che mi rimproverate è per me un metodo. Quando trovo una brutta assonanza o una ripetizione in una delle mie frasi, sono sicuro che sto sguazzando nel falso.
Gustave Flaubert


Il lavoro editoriale è attualmente svolto con tempi e criteri che si adattano faticosamente alla sua natura. Ciò che dovrebbe lentamente maturare e altrettanto lentamente sedimentare, essere ponderato, sottoposto alla lettura e alla visione altrui perché ne siano individuati i punti di debolezza viene in genere letteralmente scaraventato in un computer perché sia lavorato e prodotto e stampato nel più breve tempo possibile.
Nei casi, sempre più frequenti, in cui è obbligato a licenziare un volume che riconosce come manchevole, un sentimento di grande frustrazione assale il redattore coscienzioso. Sempre più spesso il tempo per un controllo accurato è veramente ridotto. Nonostante la fallace impressione di efficienza prodotta dai mezzi tecnologici, il computer fa miracoli solo quando si tratta di cambiare il tipo di virgolette o di correggere la grafia di un nome che compare costantemente errato nel testo: ma i suoi magici poteri si fermano qui, pertanto la fase della cura e del controllo umano rimane imprescindibile.
Chi realizza libri, e lo fa seriamente, ha una notevole responsabilità nei confronti del pubblico al quale il libro che ha curato si rivolge. Non si occupa solo di maiuscole e minuscole (tuttavia conosce l’importanza di un corsivo).
Questo professionista ha il dovere del dubbio: il suo compito è, ove sia necessario, impartire un ordine, il cui scopo è la chiarezza. È (dovrebbe essere) in qualche modo la vestale del libro: custode attivo, però, che deve risvegliare dubbi, individuare possibili mende, riesplorare instancabilmente quanto è destinato al lettore. Un’idea, il ricordo di un’omissione, la soluzione di un problema di stile possono accompagnarlo anche al momento di appoggiare la testa sul cuscino.
Il redattore deve perlopiù ritagliare all’interno dei folli tempi tecnici quelli del controllo sul testo. Per tentare di conservare la propria lucidità e di assicurare un livello qualitativo almeno medio – ma si tenda all’alto, ove possibile –, perciò, è necessario acquistare la capacità di porsi allo stesso tempo, con qualche stratagemma, all’interno e all’esterno dell’ingranaggio editoriale.
Nel corso della produzione di un libro esiste un periodo di sospensione tra il momento in cui si riceve il materiale su cui lavorare e quello in cui si è invitati a fornire uno schema dei tempi. Una volta stabilita la data in cui si dovrà consegnare il volume pronto per la stampa, l’opera della produzione si riduce normalmente a una serie di frammenti d'intervento inseriti qua e là, quasi di soppiatto, nel corso delle ultime fasi della lavorazione. Quando un libro è in stampa, in quel periodo di vacatio che precede l’inizio del lavoro successivo, nell’animo di chi lo ha realizzato permane un senso di serpeggiante, colpevole insoddisfazione: si sarebbe potuto eseguire controlli più accurati, rileggere le bozze collazionate, comunicare all’autore qualche dubbio in più.

A forza d'interpolazioni Shakespeare è giunto sino a noi: però...
È desolante constatare come, addirittura anche in libri dedicati agli scrittori e alla scrittura – di cui sarebbe facile riportare vari esempi anche recenti – si rilevino errori nella grafia dei nomi propri, costruzioni sciatte, in una parola contraddizioni grottesche. I recensori lamentano spesso, dalle rubriche dedicate ai libri dei settimanali o dagli inserti culturali dei quotidiani, la sciattezza formale dei testi pubblicati: questa scarsa cura è dovuta in gran parte al fatto che prima i manoscritti e poi le bozze sono spesso letti in maniera troppo affrettata, e da una sola persona.
È arrivato ora il momento di spezzare una lancia in favore di una preziosissima categoria che va purtroppo scomparendo, quella dei correttori di bozze. Un'inesplicabile politica degli editori demanda sempre più spesso il compito un tempo appannaggio dei correttori al redattore stesso; il quale, privato di questo fondamentale “terzo occhio”, non riesce quasi mai, dal punto di vista dei refusi, a licenziare un volume che ne sia privo.

Motivi per l’esistenza del redattore
Un redattore accorto deve naturalmente avere sempre presente la fonte (sensibilità nei confronti dell’autore e della sua parola) e la destinazione (sensibilità nei confronti del lettore) della pagina su cui si accinge a lavorare.

L’autore può sbagliare
Non è sempre detto che l’autore di uno scritto, soprattutto quando il testo è d’occasione (ad esempio in concomitanza con l’apertura di una mostra, sul relativo catalogo), o comunque quando non ha avuto la possibilità di una opportuna sedimentazione, riesca subito ad avere una visione d’insieme del suo lavoro: non è sempre detto che l’autore abbia posto sufficiente attenzione alla grafia dei nomi; una data o una citazione possono essere imprecise o sbagliate. L’autore non è necessariamente capace di rilevare le eventuali incongruenze in ciò che ha scritto: alla fine della complessa opera di architettura rappresentata dalla costruzione di un testo, perciò, il redattore è come l’ingegnere capo che verifica la stabilità delle fondamenta, l’armonia delle proporzioni, l’impatto finale su chi abiterà o utilizzerà l’edificio.
La pausa, la rimeditazione hanno un valore decisivo riguardo al contenuto e allo stile, quindi all’efficacia della pagina. Ecco allora che si chiarisce l’assoluta necessità di una collaborazione strettissima tra autore e redattore, il cui unico scopo deve essere la cura del testo, la sua rifinitura in tutti gli aspetti. Il redattore è stato all’esterno della genesi del testo, non ha partecipato alla fatica di chi lo ha elaborato: è l’osservatore critico intermedio che sta tra la scrittura e la pubblicazione.
Nel novero degli autori con i quali si ha l’occasione di collaborare, esiste una serie di categorie di cui dà conto nella seguente, sia pur grossolana, tripartizione.

L’autore flessibile
È quello che ha più vivo il senso della perfettibilità del testo; dotato di elasticità e senso dell’autocritica, accoglie di buon grado, spesso modificando la sua parola, dubbi e proposte del redattore. È una persona preziosa, dalla quale il redattore impara invariabilmente qualcosa e che riempie di senso il suo mestiere.

L’autore semirigido
Un celebre storico dell’arte consegnava i suoi testi in casa editrice corredati in testa dalla dicitura “ne varietur”. Terrore della redazione, il suddetto storico, adeguatamente sollecitato, si rivelò uomo disponibile alla discussione e disposto, quando era il caso, a modificare il suo testo.

L’autore rigido
Si irrita oltremodo quando gli viene fatta notare qualche incongruenza o inesattezza. In moltissimi casi, dopo l’intervento del redattore, ripristina il suo testo esattamente com’era, polemizzando persino sulle virgolette e rifiutando qualunque confronto con il suo interlocutore.
In quest’ultimo caso le modalità e i limiti dell’intervento a carico della casa editrice saranno discussi di volta in volta, a seconda di valutazioni d’opportunità.

Attenzione: il primo impaginato di un volume – in particolare di un libro illustrato, quando testo e immagini sono stati collocati nelle loro giuste sedi – rimanda l’ingannevole impressione di un lavoro ormai concluso. È in questa fase che l’attenzione tende a calare, che soprattutto il redattore è indotto a considerare il suo impegno quasi terminato.
Ciò che sa di definitivo è, al contrario, ancora del tutto perfettibile: a voi.

titolo originale: In Praise of the Copyeditor; la traduzione è mia.

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