domenica 13 maggio 2012

il senso del sabato

Il letto di Richard Avedon, costruito su disegno del fotografo. Courtesy apartmenttherapy.com
Il senso del sabato di chi scrive è stato scandito dai bar, dai libri e dal suo giaciglio. Con grande soddisfazione ho avuto il mio breakfast da Cova, che avevo raggiunto a piedi e presso il quale ho bevuto un eccellente caffè e mangiato un autentico croissant. Dopodiché, tornata a casa e non intendendo fare nulla che potesse distrarmi dalla mia tensione libresca, ho agguantato Niente, più niente al mondo di Massimo Carlotto (e/o, Roma 2011). Lei fa le pulizie e vede le vite agiate dgli altri; il marito è stato licenziato e si arrangia come può; sua figlia non ne vuole sapere di acquisire l’utile mentalità televisiva che la traghetterebbe verso il miglioramento sociale che la madre auspica per lei. Carlotto costruisce un monologo di poco più di settanta pagine, che si interrompe solo quando lei si attacca alla bottiglia, e fa così:

“Sono nata nella famiglia sbagliata e da allora ho sempre sbagliato tutto. Me la sono meritata questa vita da discount che ti costringe a giornate tutte uguali, imprigionate nel grigiore di non poterti permettere nulla di diverso.
Il giorno peggiore è il sabato. Durante la settimana ti ammazzi di fatica e non pensi, ma il sabato pomeriggio si esce a fare un giro in centro. A guardare le vetrine di negozi in cui non abbiamo mai messo piede. […] Dopo un po’ mi viene da piangere ma ho sempre fatto finta di nulla perché è giusto che io, Arturo e la bambina ci rendiamo conto di quello che non abbiamo e soprattutto di quello che siamo.
Così la bambina capisce – mi dico sempre – ma lei è distratta, si annoia, si attacca al telefonino. A volte mi viene voglia di sbatterle la faccia contro quelle vetrine. […]
Quando torniamo a casa mi chiudo in cucina e bevo il vermouth dalla bottiglia, bevo fino a quando non ce ne sta più nella gola e quasi mi soffoca. Una, due, tre volte. […]
Una volta mi piaceva ballare. Arturo e io eravamo bravi. Andavamo nei locali e nelle feste dell’Unità. Adesso due volte al mese un pullman fa il giro del quartiere, fa il pieno di coppie della nostra età e ci porta in provincia dove c’è un capannone enorme dove ci sta un mare di gente e queste orchestre che non smettono mai di suonare. Paghiamo 15 euro a testa con la consumazione e balliamo fino alle due del mattino.
Con i balli a due va tutto bene ma quando ci sono quelli di gruppo mi torna la tristezza delle vetrine del pomeriggio. Siamo solo degli estranei che ballano insieme perché è sabato e ci dobbiamo divertire per forza altrimenti saremmo tutti a casa a fissare il televisore. […]
E quando la musica finisce rimontiamo sul pullman e ce ne torniamo a casa in silenzio perché nessuno di noi è più capace di conoscere gli altri, di fare amicizia. Gli altri sono solo un problema, una rottura di balle e devi mostrare i denti per ogni cosa sennò se ne approfittano e ti mettono i piedi in testa. Per il parcheggio, per il condominio, per la fila dal fruttivendolo o all’ufficio postale” (pp. 51-54)

Courtesy wilsonkelsydesign.com
A Carlotto è seguita Grazia Cherchi (che dello scrittore padovano è stata scopritrice), che è bene torni spesso dai suoi anni ottanta e novanta, dai suoi scompartimenti per lettori, a parlarci di come dovrebbero essere fatte delle oneste recensioni (anzi, delle recensioni oneste):

“Prendo spunto da un pezzo di Geno Pampaloni […] apparso sul mensile ‘L’Indice’ dello scorso febbraio. Cito dalla conclusione: ‘L’arma segreta di cui dispone il cronista, o se si vuole l’arte del recensore, è la scelta delle citazioni… Un recensore si valuta, a mio parere, dalla scelta, dal florilegio, dal prelievo delle citazioni attraverso le quali il cronista dà conto della sua lettura. E al tempo stesso mette il lettore nella condizione di giudicare egli stesso se l’interpretazione del cronista è convincente o arbitrariamente personale’.  Giustissimo.
E oltre alle citazioni, a me sembra altrettanto indispensabile informare sinteticamente (lo spazio è quello che è) sul contenuto del libro, trama o plot che dir si voglia […] Cui seguirà, ma già dovrebbe emergere dalla trama inframmezzata di citazioni, il giudizio, che sarà, inevitabilmente, impressionistico, dettato dall’intuito, dal gusto e dall’esperienza: cos’altro mai potrebbe essere? […] Il tutto scritto in modo chiaro, non certo da addetti ai lavori che ammiccano tra loro per l’infelicità dei più. La recensione ispirata a questi criteri sarà un po’ vecchiotta, di stampo decisamente tradizionale, ma mi pare sia l’unica che renda un servizio al lettore, fornendogli i motivi per andarsi a leggere il libro o per evitare di farlo” (pp. 30-31).

courtesy favim.con
E a parlarci di stile, Grazia, esprimendo con onestà anche giudizi poco lusinghieri nei confronti di scrittori acclamati:
  
Ah, les françaises! [sic] Si sono fatti fuori quasi un milione di copie dell’ultima Duras […]. Sull’onda, noi italiani non abbiamo voluto essere da meno: ed ecco L’amante restare per settimane in testa alle classifiche dei libri più venduti. La critica è stata all’altezza della sua fama, non lesinando inni al romanzetto: è stato, ad esempio, elogiato per ‘la sovrana misura dello stile? (Bugliolo su ‘Tuttolibri’) […]
Ahinoi! Tutt’al più è la storia, che Marguerite Duras ci racconta, ad essere tutt’altro che male […]. Ma lo stile, signori! La Duras […] inghirlanda tutto, soffoca tutto tra trine e merletti. Che cascata di cascami letterari! Una lingua tutta esclamativa, enfatica e pretenziosa, che ci sciorina l’ineffabile a piene mani, fastidiosissima” (pp. 62-63)


Giovane scrittore creativo. Courtesy christinemareebell.wordpress.com
Dopo questo bel riassaggio di Cherchi, è stata la volta del Manuale del giovane scrittore creativo di Bianca Pitzorno (compratelo ai vostri bambini, se possedete dei bambini; se il vostro nome finirà con voi, compratelo per voi), aperto dopo la trasferta dalla seggiola al letto. Ecco una parte della lezione numero 13:

Poiché le poesie in rima sono le più difficili e allenano a una costante ricerca di parole nuove, vi sarà spiegato solo come comporre queste ultime. […] Quando sarete ben allenati a scrivere versi in rima, potrete scatenarvi a scrivere anche tutte le poesie senza rima che la vostra ispirazione vi suggerirà. […]”

E tra gli esempi:

Dante Alighieri
non ti sa dir cosa ha fatto ieri.
Alighieri Dante
ha la memoria un po’ zoppicante

Gianni Rodari
è il più irrequieto tra gli scolari.
Rodari Gianni
ha un conto aperto col battipanni.

Carolina Invernizio
ruba le mummie al museo Egizio.
Invernizio Carolina
nasconde scheletri laggiù in cantina.
(p. 80)

Courtesy babyfreebies.co.uk
La seduta/distesa libresca durava da un po’ e si sa, o almeno lo dicono in molti, uno di sabato dovrebbe occuparsi di tutte quelle cose che non ha fatto durante gli alti giorni della settimana, il bucato la spesa e tutto il resto. Però sul mio letto-scrivania c’è anche il manoscritto di Daniel, la storia che non ho ancora finito, e ho proprio desiderio di leggerne un’altra parte, di tornare a Odessa, nel 1910, da Yakov, Klara, Yudit, quando le vicende dell’Unione operaia dei lavoratori ebrei si intrecciavano con quelle dei socialdemocratici russi. Sui testi che seguono non è stato ancora eseguito l’editing.

“Yakov notò un bambino di una decina d’anni buttato su un mucchio di stracci ai piedi di una macchina. […] Altri ragazzini vestiti di stracci si rotolavano nello sporco. Una donna, seduta su un mucchio di fibre, allattava un neonato avvolto in panni sporchi. […]
‘Non ho mai visto niente del genere’, disse Yakov, istintivamente tenendo basso il tono della voce.
‘Tu non conosci il proletariato’, gli rispose Ariel […], ‘quello vero, voglio dire: nelle grandi fabbriche, quelle più nuove, le condizioni sono molto diverse. Molti di quelli che lavorano lì, noi li chiamiamo aristocrazia operaia. Ma la grande massa degli operai lavora in fabbriche come questa: dormono, mangiano, si accoppiano e muoiono così, accanto alle macchine”.
[…]
[Yakov] studiò letteratura, lesse tutti gli autori russi classici, lesse Ibsen, lesse ancora Gorky. […] Soprattutto però lo appassionavano le opere di pedagogia […] Era sempre più convinto che un grande rivolgimento sociale fosse necessario e inevitabile, ma pensava anche che, se non fossero cambiati gli uomini, la nuova società avrebbe ricreato in forma diversa le stesse ingiustizie, riprodotto gli stessi errori. Per creare uomini nuovi occorreva partire dai giovani e dalla loro educazione. […] Era convinto che ci sarebbe stata una rivoluzione e che sarebbe stata violenta. […] le masse premevano e lo zar non avrebbe certo abbandonato il paese senza reagire con la forza delle armi.
Yakov però non vedeva se stesso nelle vesti di capo politico. Altri, non lui, avrebbero guidato centinaia di migliaia di uomini nella lotta per creare una nuova società più giusta. Lui invece avrebbe lavorato sui giovani e sui giovanissimi per creare qualche uomo migliore”.

Mentre leggo questo inedito continuo a sentire quella leggera eccitazione che ti coglie davanti a una buona storia. Le altre attività del sabato possono aspettare.

Nessun commento: