lunedì 12 novembre 2012

l'editor dimissionato della gallimard

[…] Ed è dunque razzista, agli occhi dei nostri devoti, chi osa interrogarsi, con Lévi-Strauss, sulla soglia di tolleranza da non superare quanto al numero di stranieri che si stabiliscono in un paese, soprattutto se lo fanno con il proposi
to di non assimilarsi alla popolazione locale, dato che il verbo “integrarsi” non dice che in maniera imperfetta il divenire “francese” dello straniero, e che l’assimilazione presuppone una rinuncia a ciò che si è stati: un modo di convertirsi, tutto il contrario del comunitarismo che devasta l’Europa e il Nordamerica. […]
Pensare, più in generale, che io non mi riconosco più in una Francia multirazziale e multiculturale nella quale l’immigrato non saprebbe nutrirsi di Montaigne, Bossuet, Voltaire, Chateaubriand, Proust, Claude Simon, di Charpentier, Debussy, Fauré, Dutilleux, né di Philippe de Champagne, Chardin, Corot, Manet, Balthus, e ancora meno dello straordinario gesto delle Crociate o dei costruttori di cattedrali, questo ha a che fare con delle patologie ideologiche?
Richard Millet, De l'antiracisme comme terreur littéraire, Pierre-Guillaume de Roux Editions, Paris 2012

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