solo questo, nell'attesa di settembre.
Questa mattina ho letto una recensione su “Liberi di
scrivere”. Il libro è La scorciatoia di P.G. Sturges, pubblicato in Revolver,
la collana noir dell’editore BD diretta da Matteo Strukul. Così ne dava conto
“Affari italiani” al suo esordio (erano gli inizi di quest’anno): “Il prossimo 9 febbraio sarà in libreria per edizioni BD la nuova collana di
crime fiction Revolver, diretta da Matteo Strukul. Il marchio di fumetti, dunque,
apre alla narrativa, con una collana contraddistinta dalle trame ad alto
tasso di adrenalina e dalle copertine
d’artista firmate da Davide Furnò.
Undici
romanzi all’anno, per contrassegnare uno spazio letterario nuovo, fatto di
qualità narrativa, agilità di lettura, ritmo sincopato e parossismo visivo. Storie nere ma sgargianti nei colori,
pronte a danzare sul confine sottile che corre tra romanzo, fumetto,
sceneggiatura e storyboard.”
“Qualità narrativa”: una qualità che
deriva prima di tutto dalla necessità, dalla bellezza e dalla sostanza del
testo e poi, se questa si rivela necessaria, dalla sua cura.
Già, la cura. Una cura da dispiegare in tutte le
manifestazioni della comunicazione editoriale, dall’oggetto principe, il libro,
alla più fugace recensione.
Quello che segue è l’incipit del testo a cui mi
riferisco:
“La Scorciatoia (The Shortcut Man, 2011)
esordio narrativo di P.G Sturges, figlio del celebre regista, sceneggiatore e
produttore cinematografico Preston Sturges, traduzione di Fabrizio Fulio
Bragoni, nuova scoperta di quella fucina di grandi talenti che si sta rivelando
essere la collana Revolver di edizioni BD diretta da Matteo Strukul, che per
fiuto e istinto si sta confermando uno dei più interessanti talent scout in
circolazione, è un classico hardboiled vecchia scuola, con tutti i personaggi
classici del genere al loro posto: l’investigatore o quasi sfigato ma
fondamentalmente con una morale, la femme fatale che divora tutti gli uomini su
cui riesce a mettere le mani, il miliardario con qualche problemino da
risolvere, il filippino braccio destro infido che questa volta caso vuole sia
pure innamorato.” Questa è la conclusione: “Dick Henry sarà così alle prese con
un frenetico gioco degli equivoci che lo porterà ad inventarsi un cadavere fino
all’esilarante scena delle Onoranze Funebri, che mi ha fatto ridere con le
lacrime agli occhi. Anche Lynette ha i suoi piani comunque e Dick Henry si
troverà costretto a cercare di uscirne almeno vivo. Capitoli brevissimi,
talento visionario e cinematografico, umorismo sopra le righe, sesso e amore
alternati con gusto per il paradosso, susseguirsi incessante di colpi di scena
ne fanno una storia che scorre veloce verso un finale tragico ma nello stesso
tempo inevitabile. Niente paura comunque è già uscito negli Stati Uniti il
seguito Tribulations of the Shortcut Man non ci resta che aspettare
che venga tradotto anche in Italia. Chissà magari Fabrizio Fulio Bragoni è già
al lavoro.”
Frequento solo sporadicamente il noir, ma mi pare di
capire che chi ha scritto il pezzo sappia quello che dice. Ciò che mi lascia
perplessa è “come” lo dice. Lo dice con un ritmo irrespirabile che non è
calibrata distribuzione della punteggiatura allo scopo di ottenere un dato
effetto, bensì frutto di dimenticanza, di frettolosità, forse di una qualche
inconsapevolezza. Il recensore trascura le virgole, la sintassi e la revisione.
Peccato. Una scrittura sciatta, agli occhi di un lettore minimamente avveduto,
rende un cattivo servizio anche all'oggetto della recensione. Uno si sente meno
invogliato a occuparsene, per così dire.
La forma, massimamente se si scrive per gli altri, è ciò
che fa la differenza tra un prodotto curato e piacevole e uno faticoso da
leggere. Pure un volantino di Euronics, dico. Anche il foie gras, prima di
essere confezionato in quelle eleganti scatolette, è il risultato un po'
raccapricciante dell'ipernutrizione di un animale da cortile, no? Diventa ciò
che conosciamo dopo il lavoro di chi lo confeziona.
Qui desidero ricollegarmi a ciò che ha scritto sul
finire del 2011 Sandro Ferri delle edizioni E/O nel suo I ferri dell’editore.
Vi si parla del ruolo dell’editore al tempo della democrazia letteraria di
internet e non nello specifico di recensioni, ma è un brano illuminante a
proposito del concetto di cura editoriale in genere: “L’editore sa che la stragrande maggioranza delle opere
che vengono scritte non valgono molto e che non sono in grado di soddisfare
neppure l’esigenza di un singolo lettore. […] Per quanto si estenda e si
diversifichi il concetto di ‘buon libro’, non cambia il fatto che solo una
minoranza di autori riesce a creare un’opera che in qualche modo soddisfi anche
solo una minoranza di lettori. L’editore sa che la letteratura non è il terreno
della democrazia. […] È questo il vero motivo per cui l’utopia dell’e-book che
cancella gli ostacoli, il sogno della società senza editori, non potranno
avverarsi se non nella forma dell’incubo della moltiplicazione della
mediocrità, della confusione, della rinuncia a leggere.”
Siamo dunque nella felice condizione di essere liberi di
scrivere. È una condizione che implica un’enorme responsabilità, che è quella
di dover valutare, filtrare, rivedere, sorvegliare i propri lavori da sé
medesimi. Chi scrive una recensione fa un servizio molto utile al lettore: a
patto che valuti, filtri, riveda, sorvegli i suoi testi. La rete è piena di
volenterosi. Chi se ne vuole distinguere professionalmente ha a disposizione
diversi strumenti gratuiti: la lettura, il confronto con scriventi più esperti,
la curiosità, la disponibilità alla ricerca, l’esercizio costante. Qualcuno
potrebbe obiettare, e mi è già capitato di sentirmelo dire, che molti “ragazzi”
sono armati di molta buona volontà e perdipiù non sono pagati per quello che
fanno. Non è questa la sede per discutere dei molti in malafede, quelli che reclutano
i “ragazzi” comunicando loro che, certo, la collaborazione è a titolo gratuito
ma la visibilità è assicurata. Certi risultati della visibilità sarebbe meglio
non vederli, poiché nella migliore delle ipotesi non aggiungono nulla alla
massa dei testi e nella peggiore sono un coacervo di sgrammaticate sciocchezze.
Cosa ancora peggiore, la crescita professionale è impossibile perché non c’è
nessuno che si occupi della qualità e della forma dei testi: già il fatto che
non siano pagati è grasso che cola. Ecco, per eliminare il grasso e cibarsi di
buona sostanziosa carne, per non rappresentare inguardate scorie internettiane
bisogna prepararsi molto bene, studiare, guardare più lontano.