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sabato 3 novembre 2012

mi raccomando, colin

“La pubblicazione, naturalmente, non dipende dal gusto individuale dell’editore. È un dovere che deriva dalla sua professione, che lo obbliga a portare alla luce un lavoro che nel giudizio del mondo letterario è significativo per il suo valore letterario ed è una critica pertinente alla civiltà del suo tempo.”
Queste parole sono contenute nella risposta dell’editor Maxwell Perkins a un lettore che criticava la decisione della Scribner di pubblicare Fiesta – Il sole sorgerà ancora di Ernest Hemingway. 
La fonte è Max Perkins: Editor of Genius, la biografia di Perkins scritta da Andrew Scott Berg e ancora non tradotta in italiano (almeno che mi consti). Tra le parole di Perkins scelgo “valore” e “pertinente”. 

Quello che volevo dire, però, è che bolle in pentola il film tratto dal libro. 
La sceneggiatura si concentra sul rapporto tra Perkins e lo scrittore Thomas Wolfe (a suo modo anche una storia di potere, con il malcapitato Wolfe tagliato a destra e a mancina dal soave Maxwell). Il regista è Michael Grandage e lo sceneggiatore John Logan; Thomas Wolfe è impersonato da Michael Fassbender. Ma la cosa più importante è che chi interpreta Perkins è Sua Maestà Colin Firth.

martedì 30 ottobre 2012

storie di editing_autori che forse non vogliono pubblicare

Greg Gladman, Digital author. Courtesy newscientist.com
Desidero pubblicare la lettera di un autore che si è rivolto a me tramite Everybody needs an editor perché ho trovato la sua lettera particolarmente rinfrescante e perché la sua opinione sul mondo editoriale, sui criteri e limiti della pubblicazione, nonché su uno dei modi possibili di fare editing, potrebbe aprire un'interessante discussione.


“Gentile Anna,

la ho trovata sia su “Everybody needs an editor” che su Linkedin. Ho avuto modo pure di leggere dei suoi post e (divertendomi) le polemiche che qualcuno di questi ha generato.

Premetto che il mio intento non è necessariamente la pubblicazione; scrivo per hobby, ho già pubblicato e detto sinceramente il mondo dell’editoria non mi appassiona (intendo il sistema). Sono convinto che siamo in troppi a scrivere e che sia giusto che emergano pochi ma bravi. A questo punto si chiederà perché mi rivolgo a lei. Semplice, voglio ottenere il massimo possibile dal mio romanzo, in termini di perfezionamento. A distanza di tempo dal termine della stesura vedo molti difetti, per me difficili da correggere:

1. Lo stile è troppo didascalico e poco originale.
2. Mi piacerebbe alleggerire l’intreccio giallo con un tocco di ironia
3. Lavorare meglio sulla costruzione dei protagonisti che, per quanto credibili, trovo che non siano abbastanza “forti”
4. Varie ed eventuali: vale a dire interventi su tutto ciò che a me ancora sfugge ma che all’occhio attento di un editor può apparire evidente.

Come vede quello che richiedo è un po’ particolare, come particolare è la mia visione dell’editor. Ben venga un editor che porti al mio lavoro originalità e solidità modificando anche registro e stile, laddove fosse necessario. Contrariamente al pensiero comune a me piace anche l’editing definito (malamente) invasivo, nel caso in cui ce ne sia bisogno. Considero l’intervento sul testo da parte dell’editor elemento imprescindibile.  La cosa importante è avere chiari gli obiettivi comuni.

Saluti cordiali” eccetera.

Cosa ne pensate, a parte l’adorabilità della persona in sé?

È legittimo il concetto di “editing invasivo” così come lo intende questo autore?

Come lavorano, con i propri autori, gli editor all’ascolto?

Cosa pensano invece gli scrittori, soprattutto gli aspiranti tali, all’ascolto?

domenica 28 ottobre 2012

domeniche gotiche_dove horace incontra george

sono quelle domeniche come questa, lievemente inzuppate nel jetlag, quando al breakfast segue un second breakfast, sempre a base di caffè e biscotti al pomposo aroma di fave di cacao. si fa una sosta davanti alla finestra,

ciò che si vede dal soggiorno di aa
contenti di sperimentare quella minuscola canon che amazon ci ha portato a domicilio per pochi euro, ma che ha ben sedici megapixel, qualunque cosa questo voglia dire.
e mentre si lavora al testo di un amico, che è sempre una cosa bella perché poi, finito l'editing, non si consegnerà semplicemente il file ma se ne discuterà a cena, tra una notizia personale e l'altra, in quell'appagantissima miscela di cui è fatta la libera professione editoriale, nel corso della quale può capitare che mentre si legge per lavoro si tenda ogni tanto il naso al sugo che cuoce, e che brucerebbe se non si fosse trasportato dalla cucina alla scrivania il provvidenzialissimo maiale contaminuti.


maiale antincendio
perché poi l'autunno milanese c'è solo a milano, e invita al gotico, incidentalmente attuale argomento di studio dell'adolescentina, che alle mie spalle legge walpole sul kindle.


horace walpole (1717-1797)

"Horace Walpole (1717-1797), figlio del più noto statista Robert Walpole, si è meritato una poco lusinghiera fama di ozioso dilettante. Favorito dal destino per situazione economica e sociale, si dedicò solo alle proprie passioni: il collezionismo, l'antiquariato, la realizzazione di una casa a Richmond, Strawberry Hill, che è un castellino tutto falso gotico e vero kitsch. Letterato a tempo perso, scrisse, oltre al citato The Castle of Otranto una tragedia mai rappresentata su una passione incestuosa (The Mysterious Mother, 1768), due discorsi sulla pittura inglese e sui giardini e lettere bellissime.
Sempre come dilettante aveva anche organizzato una piccola tipografia a Strawberry Hill (1757), che chiamò Officina Arbuteana; il primo testo colà stampato è Odes di Thomas Gray. Si dice vestisse quasi sempre color lavanda, con fibbie dorate sulle scarpe e cravatte di pizzo. Non era semplicemente alto, bensì lungo ed eccessivamente magro, in particolare le mani, di un pallore innaturale. Di Horace Walpole si innamorò perdutamente Marie Anne de Vichy Charmond, marchesa du Deffand, la M.me du Deffand dei salotti illuministi parigini, quando lei aveva già sessantotto anni e Walpole quarantotto."

(il testo è tratto da qui.)

ah, l'ozioso dilettante! e il castellino, il color lavanda, il senile amore di madame du deffand! e la domenica gotica nel nuovo appartamento che ancora non finisce di stupirci, vissuta da una della camere con vista. 
what else?


giovedì 28 giugno 2012

l'editing di faccio testo_david lachapelle

Apre oggi al Lucca Center for Contemporary Art la mostra su David LaChapelle, curata dal direttore del centro Maurizio Vanni che è anche autore del saggio principale del catalogo, edito da Skira. L'editing del volume, in italiano e in inglese, è stato affidato a Faccio Testo. LaChapelle è il fotografo dell'allegra decadenza del corpo: nel senso che fotografa corpi di persone ben decise a ignorare gli effetti del tempo sulla carne mortale, che "non hanno un reale rapporto con sé stesse e con il proprio corpo, ma amano la propria immagine e, di conseguenza, si trasformano in microcosmi indipendenti e autoreferenziali che non sanno amare neppure gli altri", come scrive Vanni nel suo saggio.
David LaChapelle, Amanda as Warhol's Liz in Red, 2007. C-print, 127 x 127 cm
L'artista è una sorta di sopravvissuto: a diciannove anni assiste alla morte del suo compagno per Aids e comincia una vita di angoscia che si conclude agli inizi degli anni novanta, quando scopre di non essere sieropositivo e nella sua vita professionale esplode il colore: “Cominciai a usare il colore nello stesso momento in cui mi resi conto che sarei sopravvissuto. Mi sentivo come le mie foto. Penso che il mio scopo fosse di offrire una specie di via d’uscita alla pesantezza dell’epoca in cui vivevo” (Sara Apostoli, “Se dovessi fare una foto al papa lo ritrarrei mentre si lava i denti”, in “ConAltriMezzi”, 20 luglio 2011, articolo online qui).
 
In mostra sono esposte cinquantatré fotografie strepitose, compreso un Elton John con due belle uova al tegamino al posto degli occhiali.

David LaChapelle, Elton John: Egg on His Face, 1999. C-print, 152,4 x 127 cm

martedì 26 giugno 2012

il lavoro sui testi_l'editor come architetto (anche di interni)

 
“[…] E tuttavia molti rimangono all’oscuro in merito al vero lavoro di Shipton, o di qualunque altro editor. Specializzata in non-fiction, Shipton riconosce che il rapporto tra autori e editor è misterioso, e mai lo stesso da un libro all’altro. […] Shipton si è impegnata in tutte le forme di editing e le ha insegnate tutte. Paragona l’editing sostanziale all’architettura, nel senso che a volte è necessario abbattere i ‘muri’ di un libro per poi ricostruirli completamente. L’editing che si concentra più sullo stile, invece, somiglia in qualche modo al design d’interni. I muri possono essere robusti, ma ai mobili, o allo stile della prosa, servono cura e manutenzione. […]
In un mondo in cui i contenuti non sottoposti a editing sono decisamente in ascesa, sotto forma di blog o commenti nell’internet, Shipton afferma con passione l’importanza del lavoro che fa per vivere.
‘Dietro gli autori di successo c’è spesso un editor’, dice. ‘Se lanciamo nel web testi privi di qualunque revisione editoriale finiremo per avere molti più manoscritti scadenti o mediocri.’”

Cynthia MacDonald, Building great books. The architectural, editorial talents of Rosemary Shipton, in “Trinity”, vol. 49, I, inverno 2012, trimestrale pubblicato dal Trinity College, University of Toronto. La traduzione dell’estratto è di chi scrive; l’articolo intero si può leggere qui.
Ditemi se Rosemary Shipton non somiglia a una di quelle provinciali colpevoli in una puntata della Signora in giallo: adorabile
Rosemary Shipton ha lavorato come senior editor per la Canadian Encyclopedia a metà degli anni ottanta. È stata cofondatrice del publishing program della Ryerson University, Toronto, presso la quale insegna tuttora, ed è partner dello studio di consulenza editoriale Shipton, McDougall Maude Associates di Toronto.

lunedì 25 giugno 2012

l'editing di faccio testo_piccoli incontri

Piccoli incontri con grandi architetti, uscito da qualche mese, raccoglie quindici anni di colloqui che enrico arosio, storico giornalista dell'"espresso", ha intrattenuto con architetti italiani e stranieri sul senso della loro disciplina. il volume è pubblicato da Skira editore; l'editing è stato affidato a Faccio Testo. 
è un bel libro non illustrato che parla dell'architettura come manifestazione della politica e parla molto della città, una passione per il costruito che chi scrive condivide molto con l'autore. le parole di arosio:

“[…] ho sempre pensato, e questo libro vuole ribadirlo, che l’architettura è, per natura sua, un grande fatto politico. Perché la città postindustriale è il luogo dei conflitti, della densificazione, degli incroci etnici, ma anche della formazione dei giovani, e dunque del futuro. E perché ripropone il senso originario della polis ateniese. È dai tempi di Pausania, in viaggio per le città greche nel II secolo dopo Cristo, che risuona l’ammonizione: dove la città versa in degrado è in degrado l’intera civiltà che l’aveva espressa. ‘Ammesso che si possa chiamare città’, chiosa Pausania di fronte alla decadenza, “un posto senza un municipio, senza un ginnasio, senza un teatro o una piazza del mercato, senza neanche una fonte pubblica in cui scorra l’acqua’. […]  Scriveva lo scrittore satirico viennese Karl Kraus nei suoi Detti e contraddetti: ‘Si può vivere più comodamente sull’isola di Robinson che a Berlino: ma soltanto finché Berlino non esiste’. Perché riporto questa frase illuminante? Per dire che senza città noi creature del Novecento, ‘carpet crawlers’ tra drammi, scempi e sogni del moderno, non potremmo essere. La città siamo noi. Alle trasformazioni delle città italiane, ed europee, ho dedicato una certa quantità di inchieste e reportage per il mio giornale. Da Milano a Rotterdam, da Parigi ad Amburgo, da Londra a Venezia. In questo libro non compare nulla, di tutto ciò, eppure questo mio impegno affiora, io credo, a ogni angolo. Perché ho voluto scrivere, oltre a un racconto a puntate intorno a personalità creative e fascinose, un omaggio a noi uomini e donne di città, alle nostre comuni passioni. Io sono un milanese: cultura urbana pura. Rumori, luci, etnie, tamburi nella notte e notti senza stelle. E il tema città mi ha toccato il cuore sin dai miei studi universitari, da quando con le settimane per studenti stranieri organizzate dal Daad, Deutscher akademischer Austauschdienst, scoprii Berlino, nella primavera 1977, con l’angosciante stazione Friedrichstrassse, il Muro, l’arroganza dei Vopos, il muto splendore neoclassico di Schinkel, le nottate di cool jazz nell’ombroso Quasimodo, e i liberi amori di quei tempi dolci. E c’era sempre un indomani, una mattinata di sole. E, tanto per dirne uno, Bruno Taut, con le sue Siedlungen, Onkel Tom’s Hutte e la Carl Legien, mi conquistò da subito. Come la Schaubühne nell’edificio di Erich Mendelsohn. E poi ad Amburgo la Chile-Haus. A Barcellona il padiglione di Mies. E Mackintosh a Glasgow. E Terragni a Como. E Loos contro Wagner a Vienna. E la Borsa di Berlage ad Amsterdam. E i meravigliosi grattacieli déco intorno al Loop di Chicago. E il cinematografico Chrysler Building a Manhattan. E la Triennale di Muzio nella mia Milano. E qui mi fermo, ma si sarà capito: chi scrive è un novecentista mai pentito. Mi fermo perché i vecchi amori, a elencarli, diventano, insieme, noiosi e irrazionali, e partendo dalla Repubblica di Weimar potremmo precipitare, di ricordo in ricordo, fino ai templi khmer di Angkor Wat, dove edifici millenari sopravvivono alla forza divorante della giungla. O magari alla Villa imperiale di Katsura nel lontanissimo Giappone, dove finiremmo storditi dal tambureggiare della pioggia sulle foglie.”

ed ecco, tratta dall’intervista a rem koolhaas, la descrizione della casa ideale da parte di un signore che aveva capito tutto dei rapporti di convivenza:

“Un giorno venne da noi un signore che voleva una nuova casa in Olanda. A due condizioni: odiava il disordine, per cui chiedeva molto spazio per immagazzinare, nascondere; e odiava il casino familiare, quindi ciascuno doveva poter stare separato dagli altri e solo se necessario incontrarli in una zona comune.”

lunedì 2 aprile 2012

Faccio Testo: servizi per gli autori

Faccio Testo lavora con gli autori che desiderano migliorare i loro manoscritti per presentarli agli editori. Opera sull'equilibrio complessivo della struttura, sull'efficacia di ogni parte del testo, tagliando e riscrivendo di concerto con l'autore dove è necessario.

Contatti: mail.albano@gmail.com

mercoledì 7 marzo 2012

Faccio Testo: servizi per gli autori

Faccio Testo lavora con gli autori che desiderano migliorare i loro manoscritti per presentarli agli editori. Opera sull'equilibrio complessivo della struttura, sull'efficacia di ogni parte del testo, tagliando e riscrivendo di concerto con l'autore dove è necessario.

Contatti: mail.albano@gmail.com

sondaggio letterario

courtesy assregcavallomurgese.it
quello che segue è l'abstract di un manoscritto. è un romanzo storico sul quale chi scrive ha praticato un editing finalizzato alla presentazione a un editore: comprereste questo libro? (a me è piaciuto: sa di cavalli murgesi al galoppo, orecchiette fumanti, pomodori spaccati e messi a seccare al sole della polverosa campagna martinese, fanciulle timide ma intraprendenti, sangue sui panni degli uccisi, riunioni di giovani gaudenti martinesi).


Manoscritto ancora senza titolo

Martina Franca, 1821: nei pressi della porta del Carmine giace il cadavere del carbonaro M. R., il capo e il busto coperti da un mantello nero.
Spetta a don M. M., trentacinquenne medico e botanico appartenente all’opposto partito dei Borboni, identificare e constatare il decesso dell’uomo che aveva ammirato sin da ragazzo come simbolo di coraggio e di spavalderia. Lo stesso M. sarà incaricato dall’intendente di polizia di condurre le indagini sull’omicidio del gentiluomo martinese, il quale si rivela post mortem in tutta la sua ambiguità: il dottore scoprirà infatti che era stato protettore del brigante C. A., ex sacerdote, maestro di canto gregoriano e repubblicano a capo della setta dei Decisi. Amministra una parte delle proprietà di M. R. il suo figlio illegittimo F. P., che ne prosegue l’attività rivoluzionaria e ne ricalca ossessivamente la personalità, giungendo a una identificazione quasi totale con il padre scomparso. A capo di una banda di cospiratori, P. insegue un sogno di potere che travalica l’attività politica. In Puglia vige un’anarchia intrisa di sangue: il confine tra brigantaggio e lotta antiborbonica si definisce a fatica e gli omicidi politici di esponenti delle sette in conflitto si mescolano a delitti comuni, perpetrati per amore o per vendetta. La fitta boscaglia attorno a Martina occulta le attività delle bande; le masserie nella campagna sono nascondigli per le riunioni carbonare, teatro di battaglie tra briganti e autorità costituita e tombe all’aperto perfette per vittime trucidate sotto i cieli stellati delle Murge.
Ferdinando I invia in questo Meridione d’Italia dilaniato tra la nostalgia del vecchio e l’impetuoso avanzare di correnti repubblicane il generale Richard Church, a capo della sesta divisione militare in terra d’Otranto, ospitato a palazzo R. e testimone diretto della complessa ambivalenza del carbonaro M., dei suoi rapporti poco limpidi col bandito A.
La moglie di R., che al tempo del loro precoce matrimonio lo aveva ammirato come si fa con gli eroi, intrattiene da anni una relazione con G. C., gaudente e scanzonato avvocato repubblicano, amico d’infanzia del borbonico M.. La loro scandalosa vicenda amorosa indurrà più di una volta il dottore a sospettare ora dell’uno ora dell’altra: il movente di C., rivale in amore di M. R., è robusto e capace di far vacillare la fiducia dell’amico. Nel corso dell’indagine si rivelerà fondamentale l’apporto di A., che più di una volta influenzerà decisivamente suo marito con i suoi consigli e le sue intuizioni: la chiave per interpretare la personalità dell’assassino emergerà nelle ultime battute dal dialogo ideale tra i coniugi M. e Giulio Cesare. Un dénouement tuttavia obliquo, poiché il suicidio dell’assassino, e la conseguente impossibilità di verificare i fatti attraverso la sua voce, lascia sulla vicenda lo sgradevole sapore dell’ambivalenza.

lunedì 20 febbraio 2012

coglionate e puttanate

chi scrive sta conducendo l'editing di un manoscritto la cui vicenda si svolge nel meridione d'italia intorno al 1820, tra carbonari e borbonici. nel testo compaiono a un certo punto le espressioni "coglione" e "porca puttana". mi chiedo se al tempo fossero invalse. sono quasi certa per "coglione", ma brancolo nel buio per "porca puttana". allora scrivo a un collega molto competente, il quale mi conferma ciò che mi aspettavo a proposito di "coglione", citandomi (dato che è uno storico dell'arte) il caso di Caravaggio e Baglione: "[Caravaggio] Lo riteneva, e lo diceva fuori dai denti, un coglione e non aspettava che l'occasione giusta per diffondere questa sacrosanta verità. Lo irritava, di Baglione, la capacità di sapersi ingraziare i potenti, a forza di inchini, smancerie, baciamani quando c'era di mezzo una tonaca cardinalizia. 'Leccate di culo' le bollava al solito senza peli sulla lingua". Giuliano Capecelatro, Tutti i miei peccati sono mortali. Vita e amori di Caravaggio, Il Saggiatore, Milano 2003.
Per quanto concerne il "porca puttana", il collega fa riferimento alla seguente ottava dell'Orlando innamorato:

La damigella ch' ivi era guardiana,
Incontro sopra 'l ponte loro è gita;
E con vista piacevole ed umana
A ber del fiume tutti tre gì' invita.
Astolfo le gridò: porca, puttana,
La malvagia arte tua pur è finita:
Morir convienti, renditene certa:
Ch' ormai la fraude vostra s' è scoperta.


precisando "tra il porca e la puttana però in effetti c'è una virgola... perplessità". è una perplessità che condivido, perciò il dubbio rimane.
qualche lettore all'ascolto può contribuire a scioglierlo?




immagine courtesy hscc.carr.org
 

martedì 24 gennaio 2012

sempre di editor, editing, aspiranti scrittori e agenzie letterarie

il parere molto interessante e ben documentato dell'autrice rita charbonnier, qui. leggete anche la seconda parte.

immagine courtesy wlwritersagency.com

lunedì 23 gennaio 2012

quel che resta dell'editing

Gordon "Captain Fiction" Lish, l'editor di Raymond Carver
 “Facendo seguito a […], premesso che
[…] c) L’Editor è un revisore letterario, libero professionista, lavoratore autonomo ed è in possesso della competenza, formazione letteraria, capacità e obiettività di valutazione, esperienza e sensibilità creativa necessarie per la prestazione dell’attività di revisione editoriale e di editing dell’opera sotto indicata.

Dall’articolo 1
Oggetto del contratto
1.1. Il Committente conferisce all’Editor l’incarico di eseguire la revisione editoriale e l’editing dell’Opera TITOLO. […] L’incarico di revisione editoriale e di editing dovrà intendersi comprensivo delle seguenti attività:

[…]
- revisione e adattamento della trama, valutando la struttura, i dialoghi, l’ambientazione, il linguaggio, lo sviluppo narrativo, individuando e intervenendo sulle parti prive di coerenza, sull’ordine delle sequenze, sulla caratterizzazione e tenuta dei personaggi, sulla motivazione delle azioni, operando direttamente quegli interventi di modifica, soppressione e riscrittura di brani e pagine, nel rispetto degli accordi convenuti con il committente.

Dall’articolo 2
Modalità di svolgimento dell’incarico
2.1. L’Editing dovrà essere eseguito nel rispetto del pensiero dell’autore dell’Opera, in sintonia creativa con il testo letto e con accortezza nei suggerimenti e negli interventi di adattamento e di modifica da apportare per aumentare la fluidità e la qualità stilistica e strutturale dell’Opera.
[…]
2.3. L’Editing dovrà essere svolto dall’Editor personalmente e in piena autonomia, al di fuori di qualsiasi vincolo di subordinazione con il committente o coordinamento con la sua organizzazione, conservando autonomia di decisione riguardo all’esecuzione dell’attività […]

Dall’articolo 6
Citazione del nome dell’Editor
Le parti concordano che il nome dell’Editor non figurerà nelle pagine interne dell’Opera Revisionata."
                                                                 
                                                                    °°°°°°°°°°

chi scrive ha estrapolato quello che si legge sopra dall'ultimo contratto firmato per un incarico di editing su un manoscritto da parte di un'agenzia letteraria milanese. la parte sottolineata spiega molto bene in cosa consista il lavoro di un editor (quello che lavora sui testi, non l'editor/scout che i testi valuta, sceglie e propone) e quali siano le possibilità e i limiti concessi quando si opera sul testo di un autore. 

e così riccardo e suzie (nomi di fantasia – mia), i personaggi principali  del protoromanzo di cui mi sono occupata negli ultimi due mesi, sono usciti dalla mia vita, nella quale erano rimasti così intensamente per oltre sessanta giorni. e pazienza se riccardo era un nobile smidollato e suzie, l'oggetto del suo desiderio imperituro, una slavata ragazzotta della pennsylvania. per tutti quei giorni ho riempito seicentonovantadue fogli di appunti, note, cancellature, ho riscritto interi paragrafi e immaginato soluzioni nuove cercando di capire cosa volesse dire l'autore, come si sentisse il personaggio e come fargli esprimere al meglio, senza tradirne la personalità, ciò che voleva esprimere. è stato appassionante doversi mettere nella condizione di pensare, agire, reagire come il tale o il talaltro. e passi se ho dovuto tagliare quasi la metà del manoscritto, se ho dovuto cercare un'unica frase in grado di sintetizzare pagine e pagine di ripetizioni alla ricerca delle tre o quattro parole nuove che avrebbero aggiunto qualcosa all'economia complessiva del testo.
riccardo, dopo che suzie l'ha lasciato per un panamense, ha navigato per i mari del globo terracqueo senza mai potersela togliere dalla testa; suzie ha fattto due o tre bambini, tutti dopo gravidanze difficili, la stolta. riccardo è dovuto finire in un ashram in india, per cercare di capire il senso della vita, e un po' pensa di averlo trovato nelle parole di un vecchio saggio; di suzie non si sa più nulla, forse fa marmellate a beneficio del comitato locale per i giovani orfani. in ogni caso suzie, ricky, ragazzi, mi mancherete.

martedì 20 dicembre 2011

dottori dei libri

[…] Ma sotto le mani medicamentose di un bravo redattore, quasi tutto può essere sistemato e nobilitato al rango di limpida e scintillante letteratura.
Torgny Lindgren, Per non sapere né leggere né scrivere, Iperborea, Milano 2007.

martedì 13 dicembre 2011

alta chirurgia editoriale

perché poi c’è penna e penna; e quando stai facendo un editing su un testo che hai fatto stampare a interlinea doppia e ampi margini ci vuole uno strumento affilato quanto un bisturi, per penetrare con precisione tra riga e riga, sbarrando chirurgicamente il testo sottostante in modo da lasciare spazio per la riscrittura, che dovrà giovarsi di una grafia contenuta e compatta, da usare anche sui margini, in verticale per interventi brevi e in orizzontale, avendo praticato un asterisco nel testo e avendolo riportato sul bianco a lato, per riscrivere intere parti.
niente di meglio, per queste ardite operazioni di accuratezza, delle penne colorate 0.5 mm di muji, l’orrendo produttore di non-design, di cui mi noja non poco il minimalismo esasperato, quelle plastiche bianche che se in casa non si ha la domestica addetta alla loro manutenzione cominciano a marezzarsi di grigio sin dal terzo giorno e rimandano una sgradevole sensazione di fragile e provvisorio. perché come si fa a vivere in un mondo albino e inesorabilmente squadrato, come si fa a comprare degli amplificatori di cartone? gli oggetti muji si collocano, appena acquistati, sull’orlo di una discarica. le penne 0.5 no. funzionano imperturbate fino all’ultima goccia di gel o inchiostro che sia, e fanno la mia gioia.

giovedì 24 novembre 2011

editori per caso_chi controlla lo stageur?

il sito di ur editore segnala l'uscita novembrina dello Strano caso del falso Sherlock Holmes. la copertina è agghiacciante ma insomma, l'autore, luca martinelli, è il direttore dello Strand Magazine e qualcosa vorrà pur dire. il testo della scheda del volume è passabile (diciamo sei meno). poi si arriva alla biografia dell'autore, dove si legge che "Nel 2009 ha pubblicato il bestseller Il Palio di Sherlock Holmes, tradotto in Francia dai tipi della Gallimard". leggendo questa riga io mi immagino l'estensore del testo a parigi, nei corridoi della gallimard, che saluta festosamente quel bel tipo di monsieur dupont. ma era proprio il caso di mettere in piazza i propri rapporti privilegiati con gli editori francesi?

mercoledì 2 novembre 2011

l'editing di faccio testo_georges de la tour

nell'ambito della ormai tradizionale mostra da-novembre-a-natale patrocinata e finanziata da eni a milano (palazzo marino, sala alessi, 26 novembre - 28 dicembre 2011) arrivano dal Louvre due opere di Georges de La Tour (1593-1652), l'Adorazione dei pastori e San Giuseppe falegname. i quadri sono splendidi, la mostra è gratuita (prevedonsi lunghe file) e l'editing del catalogo in italiano, francese e inglese, in preparazione presso skira editore, è stato affidato a faccio testo. 
di seguito, un gustoso branetto in anteprima da un saggio nel volume, La caccia in Francia nel XVII secolo, di Paolo Galloni.
"La caccia nobile presumeva la raffinatezza e i cerimoniali. I trattati seicenteschi descrivono con cura dei particolari l’abbigliamento più consono al cacciatore. Le battute di caccia parlavano tanto il linguaggio della foresta quanto quello della corte: la veste doveva essere di tessuto rosso del Berry, resistente all’acqua, il corno di media grandezza con l’imboccatura d’argento per i nobili e d’oro per il re, la spada corta e, culmine della raffinatezza e della compenetrazione tra caccia e allusioni erotiche, il cacciatore doveva ornare il cappello, a falde larghe, con una corda fatta dei capelli intrecciati della sua dama e con la seta del colore da lei prediletto."
Georges de La Tour, San Giuseppe falegname, 1640
Georges de La Tour, Adorazione dei pastori, 1644

lunedì 10 ottobre 2011

diritti espressivi per tutti

[la sottolineatura è dell’autore della mail. un signore piuttosto conosciuto per essere l’editor di un supplemento culturale]
Revisione testo editato
nomecognome@libero.it < nomecognome @libero.it> 21 settembre 2011 12:03
Rispondi a: "nomecognome@libero.it"
A: aa@gmail.com
Gentile AA,
come da accordi telefonici aggiungo all'ultima versione corretta del mio testo un paio di osservazioni in vista della composizione:
1) L'esergo, e i testi delle poesie incolonnate dentro il saggio, vanno in corpo minore
2) La nota n. 42 va sistemata così: [seguono istruzioni]
3) Problema virgolette. Capisco l'esigenza delle norme tipografiche dell'editore, però l'eliminazione delle virgolette semplici alte, o apici ( ' ...'), che lei mi ha sistematicamente cambiato in doppie ("...") toglie non poco al senso del mio discorso, specie in alcuni casi: passi per la normalizzazione delle virgole basse nelle citazioni («...»), ma quelle alte semplici ( '...' ) rispondono oltretutto a precisi criteri scientifici adottati e condivisi in tutto il mondo dai latinisti. E questo è un testo che parla anche a loro.
Si può fare qualcosa in proposito? Si tratta di una decina di casi, che non altererebbero affatto il sistema di base adottato dall'editore, semmai lo integrerebbero. Credo si tratti di un diritto espressivo che dovrebbe essere garantito all'autore del saggio.
Grazie per la disponibilità,
Nome Cognome

sabato 8 ottobre 2011

l'editing di faccio testo_malick sidibé

Malick Sidibé
Malick Sidibé è un fotografo maliano eccezionalmente dotato per i ritratti, che in Mali è nato e in Mali da sempre risiede, nel suo laboratorio di Bamako. A breve su Malick sarà pubblicato un libro con testi di Sabrina Zannier, Laura Serani e Laura Incardona, per i tipi di Skira editore. Il volume sarà presentato a Venezia il 26 novembre, presso la Fondazione Claudio Buziol. L'editing del libro, in italiano, inglese e francese, è stato affidato a Faccio Testo.

Dice Laura Serani: " La fotografia africana – per quanto, considerate le tante realtà del continente, sia difficile generalizzare – si è ... sviluppata in molte altre direzioni, dalla fotografia documentaria a quella creativa, con una presenza crescente sulla scena africana e internazionale, grazie a varie iniziative tra le quali, manifestazione più importante di tutte, i “Rencontres de Bamako”, la biennale africana dell’immagine creata nel 1994. 

...
Memoria visiva del Mali, Sidibé ha ritratto senza sosta la società maliana a partire dai primi anni sessanta.

Facciamo un passo indietro.

1960: la maggioranza dei paesi africani, dopo il Ghana nel 1957, ottiene l’uno dopo l’altro l’Indipendenza. Il 22 settembre il Mali, ex Sudan francese, proclama l’indipendenza, rompe con la Francia e si orienta verso i paesi socialisti.

Come in tutto il continente africano, la libertà conquistata alimenta grandi speranze di sviluppo economico e progetti di unione panafricane. L’avvenire è tutto da costruire.

La gioventù è in prima linea, il sentimento di libertà invade la sfera privata, dai grin1 di quartiere nascono i club, la musica europea e americana fa da colonna sonora alla trasformazione della società. Si balla notte e giorno, nei surprise parties, le surpat’, nei cortili delle case, all’aperto nei bals poussière, o in occasione dei pic-nic domenicali organizzati sulle rive del Niger, al ritmo dei 33 giri importati, della chitarra di Kar Kar o del suo famoso Mali twist diffuso da Radio Mali, la radio dell’indipendenza.
Una Venere ska di Malick Sidibé, fotografata di spalle


Allora giovane reporter, Sidibé diventa il fotografo della gioventù dell’indipendenza e un testimone attento del cambiamento.

Nel corso degli anni, nel suo studio è passata tutta Bamako; non c’è festa a cui Malick non sia invitato. “Prière de nous honorer de votre présence”: dalla sua presenza, come da quella del suo amico Garrincha, grande collezionista di dischi e disc jockey ante litteram, ne dipende la riuscita. Troppo timido per ballare ma impareggiabile nel rendere twist, slow e rock and roll in immagini, Malick Sidibé segnala il suo arrivo con un colpo di flash e alterna snapshot e ritratti in posa, seguendo il ritmo delle serate." 

Ditemi voi se l'allure di questi ritratti non restituisce un inequivocabile, intenso profumo di ska.

 

giovedì 6 ottobre 2011

lunedì 26 settembre 2011

cultura e natura_classicisti in famiglia

si sa, talvolta i libri si devono confezionare anche se gli autori non sono disponibili in loco e allora talvolta è necessario parlarsi al telefono. così oggi mi sono messa a mio agio e mi sono preparata a una telefonata che si preannunciava lunga, con un autore che ha scritto un testo complesso, denso di rimandi e di riferimenti variegati. l'uomo è una persona seria, che scrive cose quali "Che l’io lirico delle Fleurs rinviasse a questo struggente episodio dell’Eneide richiamato come una epifania transmentale, non interessa soltanto i francesisti e gli interpreti di Baudelaire". e abbiamo discusso, talvolta impercettibilmente scontrandoci, su molte questioni di merito e di forma (alcune di lana caprina). a un certo punto, da roma, si è sentito il suono di un citofono, e dopo pochi minuti ha fatto il suo ingresso nella dimora dell'autore emendante una bambina presumibilmente di pochi anni, che per qualche motivo continuava a piangere, in compagnia di una mamma o di una tata un pochino spazientita. l'autore si è scusato e, mentre chi scrive attendeva al telefono, è andato a sedare la piccina con un po' di praticissima tele. la nostra conversazione è ripresa con profitto fino a che, verso la fine, il mio facondo interlocutore mi ha pregata una seconda volta di aspettarlo un momento, perché, ha detto, "devo accendere l'acqua sotto la bambina". e queste cinque o sei parole hanno rivelato la fragilità della patina intellettuale che ricopre il mai sedato istinto primordiale dell'assassino.