lunedì 30 marzo 2009

se fossi più giovane o meno rimbambita

forse riuscirei a eliminare quegli orrori che da qualche giorno deturpano la fine di ogni mio post con delle specie di inviti a passare alla versione professionale di non so quale programma. devo trovare qualche adepto che sappia utilizzare la piattaforma blogger (si dirà così?) e che mi faccia la cortesia di cancellarli.

giovedì 26 marzo 2009

reading party - un amore di divano

ho avuto la ventura, sabato scorso, di assistere alla fase aurorale dell'inaugurazione di una mostra che esponeva due soli oggetti: un divano a otto posti e uno gemello a sedici, dico se-di-ci. si occupavano dell'installazione dei pezzi, sul marciapiede davanti al numero 44 di corso garibaldi, due avvenenti ragazzi in maglione blu, fabio e daniele. il funzionale, bellissimo, ecologico oggetto – fatto di carta riciclata e scarti di legno – è frutto dell'ingegno del designer taiwanese chishen chiu: si tratta in sostanza di una lunga fisarmonica racchiusa tra due dorsi di legno che, richiusa, occupa pochissimo spazio e si può riporre con facilità. metti, non so, che uno inviti sedici amici per un reading party: dove li metti, se non sul flexible love? questo accogliente serpentone riunisce in sé tutti gli stilemi della contemporaneità: è robusto ma tutto sommato precario, la sua apparenza è più liquida che solida; è utile ma temporaneo; è una presenza che con pochi gesti si trasforma in assenza, insomma non è per sempre. mi sono subito innamorata di questo ultramobile, e così è accaduto anche a fabio e daniele i quali, avvistatolo negli stati uniti, hanno immediatamente deciso di portarlo in italia e, detto fatto, ne hanno spedito in patria un certo numero di pezzi, hanno affittato un temporary shop per una settimana e allestito la presentazione. domenica 29 marzo, sempre in corso garibaldi 44, daniele, fabio e il divano taiwanese ci salutano con un aperitivo, dalle 18 in poi: io ci vado, e mi porto pure un libro da leggere sul flexible.

la cura

io non so se fosse una forsythia o una ginestra (odorata ginestra), quella che ho incontrato questa mattina in piazza cavour. fatto sta che era una pianta con didascalia, e la didascalia la qualificava come pianta pensante ed era pure firmata da un signor lorusso e recitava così: "pensiero della PIANTA - grazie della cura - Lorusso".

martedì 24 marzo 2009

se telefonando

milano, corso di porta nuova, ospedale fatebenefratelli e oftalmico, cappella dei santi giovanni di dio e vincenzo de' paoli.

lunedì 23 marzo 2009

giornate della lettura milanesi – giorno due, 21 marzo 2009

il libro che ha cambiato la mia vita è… - teatro strehler

a partire dalle 10 si susseguono, al teatro strehler, i raccontatori di libri miliari. si apprende che un diciassettenne armando torno ha avuto la vita cambiata dall’incontro con il Qoeleth tradotto da guido ceronetti per einaudi, nelle parole di torno “uno svegliarino attraverso un libro”, “un basso continuo nella vita”, con quel vanitas vanitatum reso da ceronetti con “un infinito vuoto, un infinito niente”. conclude, torno, le sue parole quiete e appassionate con la menzione della carne che sfiorisce mentre si fanno libri e libri senza fine: Qoeleth è contraddizione continua, dice, come la vita stessa.
giulio giorello, elegantemente disheveled, esordisce un po’ gigione, dicendo che il primo libro che ha letto è stato la divina commedia, ma quella nella versione a fumetti di walt disney. poi dice di Ulysses e del suo viaggio di un giorno nella dublino del 1904, restituendo magnificamente l’atmosfera delle strade e dei pub.
franca nuti ha letto molto e molto durante l’infanzia: libri, dice, che “bussano anche dopo molto tempo”. “quale libro ha cambiato la mia vita? non ho patria, in questo senso”, si chiede e si risponde l'attrice, decidendo di non scegliere.
dopo franca, piccolo colpo di scena dovuto al ritardo di luca doninelli, con qualche minuto riempito da sergio escobar (il direttore dello strehler), il quale racconta che la sua vita è stata cambiata da una persona, un supplente che al liceo conquistò una platea di facinorosi parlando di logos. solo anni dopo escobar scoprì che il supplente in questione era il filosofo adriano bausola.
finalmente doninelli arriva, con i Colloqui con Stravinskij di Robert Craft sotto il braccio. luca parla della coincidenza in stravinskij tra pensare e fare e della teoria che viene dopo la pratica; “l’occidente”, dice, “indulgendo nella non operatività ha reso l’umanesimo una malattia”.

fine della prima parte, pausa pranzo, ma prima, alla mia domanda “a quando il salone del libro a milano?”, l’assessore risponde che il comune ci sta lavorando, che una delle questioni è l’individuazione dello spazio, dice, “per stare tutti insieme”. quest’ultima parte della risposta a me che, si sa, sono un pochino emotiva, è piaciuta molto. l’assessore alla cultura del comune di milano ha una stretta di mano salda e piena e ti guarda in faccia mentre parla. sì, certo, come si diceva è un tantino fighetto, ma alla fine dei conti, nel corso di un intermezzo tra un intervento e l’altro, mi ha citato eliot, più o meno così: “dov’è la conoscenza che abbiamo perso con l’informazione?” proprio non volevo uscire dall’utero caldo e confortevole della scatola magica del teatro strehler, proprio non volevo sfumare la sensazione di milano città di libri.

giornate della lettura milanesi – giorno uno, 20 marzo 2009


il giorno uno delle giornate della lettura istituite dal benemerito assessore f.f. vede, tra le varie iniziative, l’apertura al pubblico della sala campanella della biblioteca di via senato, quella che ospita parte del fondo antico: raccolte di edizioni bodoniane, di libri dedicati alla bibliografia, di letteratura italiana, insomma un paradiso in terra. annette pozzo, la competente responsabile del fondo antico, tiene una breve introduzione al suo reame. purtroppo il pubblico è composto da appena una decina di persone e da una sola ragazzina, forse tredicenne, accompagnata da sua madre. mentre annette ci illustra le diverse tecniche di rilegatura e ci fa poco più che annusare un’edizione di erasmo da rotterdam censurata, con tanto di riga nera tirata sul nome dell’autore, la ragazzina si accoccola per terra, prende un libro da uno scaffale e si mette a leggere per conto suo.
la visita alla biblioteca prosegue nella sala di consultazione, al numero 14 di via senato (la sala campanella è al 12), dove un’appassionata responsabile dell’ufficio stampa ci parla delle attività della biblioteca, annunciandoci l’imminente acquisizione del fondo malaparte, e ci presenta il primo numero del mensile della biblioteca – pubblicato in occasione dell’ultima mostra del libro antico alla permanente –, contenente un inedito di d’annunzio, una ventina di lettere del vate all’editore angelo sommaruga. tra il selezionato pubblico c’è una signora che, ascoltate le lamentazioni dell’ufficio stampa a proposito della riduzione di fondi operata quest’anno causa crisi, prende la parola per affermare che, nell’economia generale delle cose, i fondi per i libri sono sistematicamente cacciati all’ultimo posto, anche nel bilancio della regione lombardia: è ornella foglieni, intrepida soprintendente ai beni librari, che si occupa della tutela e dell’archivio del deposito legale regionale, in sostanza la vestale dei libri lombardi. racconta che una parte del suo lavoro, per ciò che riguarda i rapporti con i privati come via senato, consiste nell’assicurasi che i libri siano messi a disposizione del pubblico, in particolare degli studiosi che hanno necessità di consultarli. è il mio idolo.
fine dell’incontro: faccio la strada di ritorno sul tram numero con un professore in pensione, anch’egli reduce dalla biblioteca, che parla come l’aristogitone di arboriana memoria e mi racconta di aver insegnato in una scuola tecnica di qualche paese della provincia qua intorno e che soleva dire ai suoi studenti: “ma cosa state a fare qui, a perdere tempo?” agent provocateur.

p.s. 1: non sono riuscita a vedere la mostra sull’editoria 1968-1977, ma conto di visitarla, meglio ancora, il 25 marzo, alle 19, quando ci sarà l’“happy hour nel ‘68”, tour guidato + aperitivo. siamo decisamente a milano.
p.s. 2: dalla tasca della giacca del signore che si vede di spalle sul tram (quello che ho preso all'andata) spuntava Il lamento di Portnoy di philip roth.

giovedì 19 marzo 2009

barflies*





vorrei sottoporre alla categoria degli scrittori da bar, alla quale mi onoro di appartenere (anche se devo ancora trovare il bar giusto a milano e colgo l’occasione per sollecitare qualche segnalazione), la campagna “Think” della School of Visual Art di new york, curata da KNARF, nata, nelle parole dei promotori, per “incoraggiare le persone a pensare ovunque, fornendo loro un supporto per annotare le idee”. diciamo che l’idea non è rivoluzionaria, ma questi tovagliolini e queste bustine mi sono proprio piaciuti. quasi un’evoluzione depurata della carta da macellaio di felliniana memoria, o un richiamo al café de flore.

*in caso di lettori non ostinatamente anglofili, un barfly è un pervicace frequentatore di bar.

milano città di libri - signori, si legge

il nostro assessore alla cultura è un signore dal doppio cognome un po’ esotico. al centro della prima pagina del suo sito campeggia una foto gigantesca, in cui massimiliano compare in atteggiamento un po’ pensoso un po’ gabbana senza dolce, mento leggermente appoggiato sulla mano, occhio ceruleo perduto in lontananza, jeans a vita giusta e maglioncino blu né troppo stretto né troppo largo. sullo sfondo, un ubertoso pendio (lombardo?). ebbene, nonostante queste premesse agghiaccianti l’assessore ha proposto quest’anno, per il 20, 21 e 22 marzo, le giornate della lettura (il claim è lo stesso dell’associazione della biblioteca la conca, “alza il volume” – vedi post del 9 marzo –, ma il logo è diverso: non so se si siano parlati). il programma delle tre giornate si trova qui. io andrò a vedere la mostra “Passare il segno” alla biblioteca di via senato, sull’editoria 1968-1977, venerdì; sabato andrò al teatro strehler per “il libro che ha cambiato la mia vita è…”, con, tra gli altri, giulio giorello, antonio scurati, elisabetta sgarbi; concluderò in bellezza domenica con la “lettura in vettura” sul tram numero 31.
come si dice dalle mie parti, have a nice weekend.

p.s.: io però il volume lo vorrei alzare molto, molto di più. a milano voglio una festa (permanente) del libro, un salone del libro, uguale, diverso, fratello, interdipendente, complementare a quello di torino.

immagini: a sinistra, l’assessore (che non me ne vorrà se ho preso la foto dal suo sito); a destra, Marina Camargo, Letters in Perspective, 2002, courtesy bookpatrol

giovedì 12 marzo 2009

trendsetting 8 – arte contemporanea al capolinea

ho già parlato diverse volte della sensazione di privilegio che avverto nel constatare di vivere in una zona della città autenticamente trendy, dove se vai al bar puoi imbatterti in umberto galimberti, se vai all’esselunga incontri una delle figlie di celentano, d’estate ti addormenti cullato dal brusio dei frequentatori del tempio del metal rock milanese e se prendi il tram il tuo dirimpettaio legge la recherche (credo di avere trascurato il recente incontro, in fila al dìperdì, con elena santarelli, a proposito della quale ho uno scoop planetario: compra piselli surgelati e peperoncino in polvere, aspetta un maschio e parla volentieri con le cassiere).
e sempre a proposito di tram della mia zona, chi si fosse recato ieri al capolinea del numero due si sarebbe imbattuto in un’installazione di alex schiavi: su un carrello della spesa l’artista ha attaccato dei fogli gialli con la seguente scritta: “ARTE POVERISSIMA – ARTE DELLA NON SPESA – IL CARRELLO È VUOTO, COME LE TASCHE DI 15.000.000 DI ITALIANI – ARTE SOCIALE DI ALEX SCHIAVI”. in due giorni di permanenza dell’opera tanto il carrello quanto i fogli sono rimasti al loro posto, intatti: nessuna scritta sulla carta, nessun tentativo di uso del carrello per il suo legittimo scopo. non sono sicura che tutti abbiano individuato in filigrana il faccione di germano celant, ma sembra proprio che nel nostro quartiere l’arte sia grandemente apprezzata.
devo aggiungere che schiavi, con la sua apocalittica didascalia, si colloca in posizione fortemente anti-mcsweeney (vedi post “pubblicità progresso”), nonché anti-presidente del consiglio. però alex un qualche invito alla salvezza del mondo, con tanta carta a disposizione, avrebbe pure potuto farlo.
a chi scrive, da ultimo, rimane un dubbio: ma il maestro, il carrello della spesa, dove se l’è procurato?

pubblicità progresso

sentite con quanta grazia il copy della gloriosa mcsweeney’s invita a contrastare il pessimismo indotto dalla crisi economica planetaria, parlando attraverso la newsletter della casa editrice:


È TEMPO DI RICCHEZZA
Se questa mail vi raggiunge in qualche luogo della terra conosciuta, di recente potreste aver sentito parlare di sciagure e foschi eventi. Noi di Mcsweeney’s non siamo d’accordo. Amiamo Paul Krugman come tutti – a chi non piace un buon pacchetto di stimolo? –, ma tutto questo concentrarsi sulla parte negativa potrebbe essere controproducente. Guardatevi attorno! C’è un mondo ancora pieno di meraviglie, e tra queste meraviglie ci sono libri magnifici, alcuni dei quali fatti da noi qui alla Mcsweeney’s.
Vogliamo aiutarvi a ricordare che queste meraviglie sono facili da ottenere. E allora: questa settimana tutti i libri sul nostro sito costano 15 dollari. Aspettate, non tutti: alcuni ne costano 5. Ancora troppo cari? Bene, alcuni costano 1 dollaro.
Coraggio! Riempitene una borsa e aiutateci a diffondere la gioia.
Aiutateci a salvare l’America!

mercoledì 11 marzo 2009

massimo rispetto

prima di entrare in argomento devo dichiarare la mia predilezione per il pop, che sia espressione visiva, letteraria, musicale. e per pop non intendo solo quello nobilitato e santificato dai libri su questa rivoluzionaria avanguardia degli anni sessanta, le marilyn replicate eccetera. intendo il pop pre-intellettuale, quello non ancora cosciente della sua codificazione.
per farla breve, ho adorato la canzone che i gemelli diversi hanno portato a sanremo.
normalmente mi verrebbe da sottolineare qualche lieve sgrammaticatura, censurerei la retorica e la melassa, sosterrei che il rap/hip hop/qualunque cosa sia italiano è una scopiazzatura bella e buona, ma com’è, come non è, questi gemelli diversi mi sono “arrivati”, come usano dire i discografici invitati a dispensare i loro giudizi ai talent show.
al confronto, poniamo, con quelle di marracash – un altro giovinastro rapper italiano, contemplatore del suo ombelico – che, si spera, cesserà presto di raccontarci quanto è stato duro crescere alla barona e di narrarci particolari su qualche equivoco scambio di bustine vicino a casa sua, la canzone di Strano, Grido, Thema e THG gode di un respiro ecumenico, spazia tra pianure più ampie. i nostri non mancano di citare, accanto al barbone affamato morto in un prato, il nonno del cantante, di cui si dice che ha disertato il duce; molte madri in difetto organizzativo, poi, si riconosceranno in quella attaccata alla bottiglia del verso tredicesimo. in questa preghiera rap in cui è costante, come mi fa notare una collega filosofa, il riferimento alla teodicea, si parla di molti e molto degli ultimi (ma non solo di quelli che sono nati in qualche quartiere depresso e firmano sui muri).
dal punto di vista della coreografia ho apprezzato molto anche il didascalico medio levato in alto in sincronia con il vaffa all’indirizzo del datore di lavoro (verso sesto dopo il primo ritornello), nonché lo chignon di stile giapponese del gemello che intona “ce l’hai un attimo per me?”, completato da un bel paio di grossi orecchini di perle. e mi piace anche l’effetto metallico conferito al ritornello, a temperare ciò che in altra forma potrebbe apparire come la petulante richiesta di aiuto emessa con voce standard da qualche mendicante di professione.
e insomma sì, cedo un pochino al sentimentalismo e dico che Vivi per un miracolo mi piace, mi piace proprio, perché mi fa pensare a mio nonno antifascista e a mio padre sindacalista (poi la tessera l’ha strappata, ma questa è un’altra storia) – non dirò in questa sede se mia madre si attaccasse alla bottiglia.
ho messo la canzone nell’ipod, e quando la canto a squarciagola con mia figlia, alla mia bella età, mi scappa pure il corno rap.

martedì 10 marzo 2009

milano città di libri 6 - libreria del corso

davide lagiannella è il giovane libraio proprietario della recentemente trasferita libreria del corso, che dall’inizio del 2008 novembre abita in corso buenos aires 49. in questa grande libreria di varia, in cui prevalgono numericamente i volumi di narrativa, lavorano otto persone tra cui, oltre alla direttrice, una signora che vende libri da quarant’anni e una giovane responsabile della sezione ragazzi, che ha fatto un gran bel lavoro nell’ampio spazio dedicato alle giovani generazioni di lettori.

1. perché lei fa il libraio?
Faccio il libraio per una sorta di destino di famiglia e come sbocco naturale del mio percorso di studi classici; è peraltro un destino che condivido e che si unisce alla mia passione per i libri e al mio amore per la lettura. A questo piacere per la parola scritta si aggiunge, da un punto di vista più prosaico, il piacere commerciale dei conti che tornano. Quella dei conti è una parte importante della nostra attività: Milano è una città operosa, e in quanto tale popolata da persone che non indugiano in libreria per molto tempo, perciò è necessario mettere in atto strategie sempre nuove per attirare clienti.

2. qual è la parte del suo lavoro che le procura maggiore soddisfazione?
Senz’altro il rapporto con i clienti, al quale dedico molto spazio. Dato che sono ufficialmente libraio da soli sette anni (ho cominciato l’11 settembre del 2001 e per due settimane pareva che il mondo dovesse finire; di fatto questa è la prima libreria di cui ho assunto la piena gestione: da studente avevo sempre dato una mano nei fine settimana, ma nulla di più), bado a costruire buone relazioni con il pubblico: ho cominciato da qualche tempo a essere riconosciuto in quanto figura di riferimento e vado avanti con profitto. Capita anche, con diversi clienti, di arrivare a rapporti personali, che esulano dalla relazione commerciale. In questo particolare momento della mia vita professionale vivo una grossa gratificazione per il lavoro ricompensato dopo mesi di pianificazione per il cambiamento di sede; è piacevole seguire personalmente la crescita della struttura.

3. quanto conta il consiglio del libraio per chi frequenta la sua libreria?
La libreria è strutturata e umanamente attrezzata proprio per favorire il rapporto di chi desidera consiglio e orientamento. i nostri collaboratori sono tutti preparati e godono di un’alta anzianità lavorativa a garanzia della loro competenza. Nel negozio i libri sono ordinati per editore, e questo facilita la ricerca di chi vuole muoversi autonomamente. Il settore ragazzi è quasi una libreria nella libreria, uno spazio autonomo pensato con grande attenzione perché i piccoli si possano muovere a proprio agio tra i volumi.

4. quali sono le iniziative che lei mette in atto o conta di intraprendere per coltivare, aumentare, consolidare il numero di lettori che si rivolge a lei?
La nostra attività di promozione avviene per il momento attraverso comunicazioni periodiche alla nostra mailing list di clienti; è in fase di allestimento il sito web della libreria e utilizziamo le vetrine su strada per pubblicizzare presentazioni e altre attività. Un altro strumento di attrazione è il nostro periodico trenta per cento di sconto su tutti i libri, che pratichiamo normalmente nella prima quindicina di agosto e poi a febbraio [su questo temo che altri librai avrebbero qualcosa da eccepire, chi lo desidera può commentare, n.d.a.].

5. qual è la sua proposta (o il suo sogno) per rendere Milano una “città di libri”?
Puntare sui più giovani: sogno di vedere meno ipod alle orecchie dei ragazzini e più libri nelle loro mani; favorire la lettura a tutti i livelli, anche attraverso iniziative comune, che superino diffidenza, rivalità e invidie tra quelli che fanno il mio stesso mestiere. E comunque ho molta fiducia: anche della mia generazione [lagiannella ha trentatré anni, n.d.a.] si diceva che avesse valori deboli, e intanto eccomi qua.

Davide Lagiannella

lunedì 9 marzo 2009

mangalemmi 32

petulco: di animale, specialmente di capretto, che cozza con le corna.

irrequieto, aggressivo.

biblioterapia 4 – biblioteca la conca e my tube

nella giornata di ieri si è svolta, presso il negozio civico ChiAmaMilano di largo corsia dei servi (quello di milly, la cognata buona di letizia moratti, per intenderci), “Alziamo il volume”, un’iniziativa benefica a favore dei progetti di integrazione sociale nell’ambito della salute mentale. L’associazione “Alziamo il volume” (hanno un logo stupendo: tre omini neri lunghi lunghi che sollevano un enorme libro giallo – voglio assolutamente sapere chi l’ha disegnato) ha preso vita dal gruppo di lavoro della biblioteca La Conca, che ha fisicamente sede all’interno del dipartimento di salute mentale dell’Azienda ospedaliera San Paolo, a Milano in via Conca del naviglio 45 (tel. 02.81.84.33.04, biblioteca_laconca@libero.it). La giornata è stata dedicata al libro e al piacere della lettura, con aperitivo e bookcrossing. Per l’occasione è approdata a milano l’installazione dei campani “a design project”, da un’idea di Antonio Giarletta, Antonio Prigiobbo, Fausto Tarantino e Vincenzo Varriale: My Tube*, una struttura realizzata con materiali di riciclo, bellissima, su ogni pezzo di tubo arancione (quelli che si usano per le grondaie, credo) un libro in attesa (io ho lasciato L'ozio come stile di vita di Tom Hodgkinson e ho preso Dentro la foresta di Roddy Doyle). Del coordinamento dell’iniziativa (così come di quello delle attività della biblioteca) sono responsabili Barbara Bortolini e Claudia Giangregorio, due dipendenti dell’azienda ospedaliera, educatrici professionali, che dedicano alcune ore del proprio lavoro a questa esperienza. Nel dépliant di presentazione la biblioteca è descritta come “un servizio alla cittadinanza; uno spazio di aiuto alle persone che cercano di recuperare un proprio equilibrio e benessere”. Presso la struttura trovano spazio come tirocinanti le persone con problemi di inserimento o reinserimento sociale, che imparano a catalogare libri e audiovisivi, a gestire i prestiti e la posta elettronica, a occuparsi del bookcrossing e della creazione di eventi; è aperta anche agli utenti esterni e svolge un comodo servizio di quartiere, dato che la biblioteca più vicina (via conca del naviglio sta al confine tra la zona 1 e la zona 5) è quella del Sempione. La Conca svolge anche un servizio di prestito interbibliotecario in collegamento con le biblioteche Tibaldi, Chiesa Rossa, Fra Cristoforo e Sant’Ambrogio.

* un caloroso ringraziamento per le immagini di My Tube va a Francesca Palermo della Banca del Tempo Centro storico.

venerdì 6 marzo 2009

vecchi bizzosi e lesbiche eschimesi

mi sono molto divertita a leggere un articolo di alessandra farkas sul "corriere della sera" di ieri, un'intervista a harold bloom in cui, tra l'altro, l'impavido afferma:

"[…] se un lavoro non possiede splendore estetico, forza cognitiva e autentica originalità, non vale la pena leggerlo. La letteratura è un’epifania individuale e non deve avere alcuna valenza di riscatto socio-politico. […] [Il Sessantotto] ha distrutto l’estetica, introducendo una finta controcultura politically correct in base alla quale basta essere un’esquimese lesbica per valere di più come scrittore".

sono tornata con la mente a un libriccino del 1992*, anch'esso piuttosto divertente, in cui si leggono cose come

"Inuit. Termine corretto per i canadesi di ascendenza cosiddetta 'eschimese'. Il termine 'eschimese' è considerato offensivo, in parte perché gli inuit hanno creduto per lungo tempo che significasse 'mangiatore di carne cruda'.

oppure

"Condimenti per insalata francesi, russi e italiani. Nell'edizione riveduta di Afrocentricity, Molefi Kete Asante argomenta in modo convincente che rispondendo 'francese', 'russo' o 'italiano' alla domanda 'Quale condimento preferisci per l'insalata?' gli afroamericani 'partecipano in maniera inconscia alla messa in scena europea'. Comunque, osserva Asante, dalla pubblicazione della prima edizione del suo libro si sono verificati alcuni positivi sviluppi: 'Ora abbiamo condimenti con nomi quali ghanese, nigeriano, senegalese e tanzaniano', scrive l'autore. 'L'idea è che l'afrocentrico rifiuta di essere sommerso da una realtà simbolica che ne nega l'esistenza'.

e poi

"Libro = carcassa d'albero trasformata";
"Illetterato = diversamente scolarizzato";
"Vecchio porco = individuo cronologicamente dotato concentrato sul sesso";
"Senzatetto = involontariamente privo di domicilio";
"Brutto = cosmeticamente diverso".

di recente una spiritosa giornalista con cui avevo comunicato solo per mail, alla mia domanda "quanti anni hai?" ha risposto "diciamo che sono diversamente giovane".

* Henry Beard, Christopher Cerf, The Official Politically Correct Dictionary and Handbook, Villard Books, New York 1992. La traduzione è di chi scrive perché, che mi risulti, il libro non è mai stato pubblicato in italiano.

giovedì 5 marzo 2009

immigrazione

"Sta sbarcando un gommone gremito di metafore e ricercatori e ossimori. Tutti illesi, tranne un dottorando e una sineddoche".

Alberto Arbasino, La vita bassa, Adelphi, Milano 2008

immagine courtesy www.whiteandsmalls.co.uk

l’inesistenza di spinoza e la biblioteca di jeeves

bertie wooster è un adorabile scioperato che abita una serie di storie raccontate in altrettanti libri dall’ineffabile pelham grenville wodehouse.
di nobile famiglia, ignorante come una capra ma protagonista irresistibile di avventure farraginosissime che si concludono immancabilmente con un suo scampato matrimonio, bertie conduce la sua britannica esistenza in un dorato mondo edoardiano totalmente alieno da brutture, in cui il massimo dell’azione criminosa consiste nella somministrazione di un mickey finn, e il massimo dell’imprecazione si risolve in qualche robusto “tally ho!” ululato dalla zia dahlia, indomita cacciatrice di volpi.
bertie è tiranneggiato con discrezione da reginald jeeves detto jeeves, il suo coltissimo maggiordomo/consigliere/balia, nonché custode del suo decoro, l’uomo da cui la vita di bertie non può prescindere (sì, in un libro della serie c’è un pallido tentativo di ribellione da parte di bertie, quando reagisce a muso duro di fronte alle dimissioni di jeeves, causate dal fatto che il nostro smidollato aristocratico ha deciso di farsi crescere la barba, ma dura poco).
il giovane wooster è sempre circondato da ragazze bellissime, alquanto eccentriche, una delle quali è l’aspirante romanziera florence craye, così descritta da bertie:

“Florence Craye […] è una di quelle ragazze intellettuali […] e un annetto fa […] ha scritto questo romanzo che l’intellighenzia, notoriamente portata ad apprezzare le più spaventose idiozie, ha accolto favorevolmente".

e a proposito del romanzo di florence, ecco il colloquio tra bertie e jeeves, nel corso del quale il primo si rivolge al secondo dalla vasca da bagno e del secondo si manifesta un inequivocabile talento da editore:

[…] “Hai mai letto Lungo viaggio?”, domandai, recuperando il sapone.
“Vi ho dato una scorsa, sir”.
“Che te ne è parso? Coraggio, Jeeves, non fare il riservato. La parola comincia per m”.
“Ebbene, sir, non arriverei al punto di qualificarlo col termine al quale immagino che lei si riferisca, ma mi è parso un lavoro un po’ immaturo, carente nella forma espressiva. I miei gusti personali mi spingono piuttosto verso Dostoevskij e i grandi russi. Nondimeno, l’intreccio non era del tutto privo di interesse ed è molto probabile che eserciti un richiamo sul pubblico.”

un successivo dialogo tra bertie e florence ci mostra una tipica situazione woosteriana, in cui l’equivoco influenza inesorabilmente il corso degli eventi; dalle parole di bertie, poi, comprendiamo appieno la statura culturale di jeeves:

[…] in te c’è molto di più di quanto la gente sospetti. L’ho capito quel giorno che ti ho sorpreso in quella libreria mentre compravi Lungo viaggio. Te ne ricordi?”
Non avevo dimenticato l’incidente. Tutta la faccenda era stata uno sfortunato equivoco. Avevo promesso a Jeeves di comprargli le opere di un certo merlo di nome Spinoza – una specie di filosofo o qualcosa del genere, a quanto ho capito – e il tizio nella libreria, esprimendo l’opinione che non esistesse nessuno Spinoza, mi aveva rifilato Lungo viaggio, nella persuasione che probabilmente era proprio quello che cercavo, e io l’avevo appena afferrato, quand’era entrata Florence. Presumere che l’avevo comprato e scriverci sopra il suo autografo con la penna stilografica empita d’inchiostro verde fu tutt’uno”.

quel commesso di libreria mi pare di averlo già incontrato.

in ogni caso, in questo periodo dell’anno tendo sempre all’edoardiano di wodehouse. lì vado a rifugiarmi nell’inutile tentativo di contrastare la primavera incipiente: dietro agli spessi tendaggi del drones club, sprofondata nella mia poltrona di cuoio di russia e avvolta da un’aromatica nube di tabacco, mentre gli altri soci discutono di golf, dovrei riuscire a prolungare l’inverno ancora per un po’.

p.s.: forse non tutti sanno che il doctor house, prima di essere gregory house, è stato bertie, insieme con stephen fry/jeeves, nella premiata serie della bbc Jeeves and Wooster.