giovedì 31 maggio 2012

cose da libretti: perlina numero due

È arrivata la seconda Perlina, da prelevare e gustare qui: un piccolo racconto di Paolo Ferrucci da leggere una prima e una seconda volta per appropriarsene a fondo.
A proposito delle Perline Raffaella Valsecchi, che le illustra e ne cura il progetto grafico, e io abbiamo ricevuto alcuni commenti di amici che esprimevano disapprovazione o disagio per la gratuità di queste pubblicazioni. È vero che le cose belle hanno un prezzo, e altrettanto vero che vogliamo essere pagate per il nostro lavoro, tuttavia si possono verificare eccezioni. Senza contare che a volte, di fronte alla prospettiva “inventa la collana/ /proponi all’editore/attendi la risposta dell’editore/prendi atto del fatto che l’editore non ti ha risposto/tieni in dispensa quel progetto perché l’editore non lo pubblica” uno ha bisogno di aria, e allora mette fuori quel che ha senza elucubrare troppo. Qui sotto pubblico una breve nota di Raffaella Valsecchi sull’argomento.

"Le cose belle costano. Tutte le volte che, con lo sguardo, si sceglie qualcosa in una vetrina, chissà perché – uffa – è quella che costa di più. 
Ecco allora la sorpresa e, perché no, il sollievo e la genuina e infantile gioia, nello scovare ogni tanto qualcosa di bello e allegramente gratuito. Le Perline sono un dono lieve: non occupano spazio, non prendono polvere, si possono dimenticare, custodite da memorie più capaci della nostra, sono piccole qualche migliaio di bit e, virtù che è gioco di parola e promessa insieme, sono virtuali ma forse non per sempre. Hanno regalato a chi le ha scritte, a chi le ha redatte e a chi le ha illustrate rari, ma non impossibili, momenti di piacevole serenità. Perché non condividerla e non offrire ad altri la stessa chance?"

albanacco_walt whitman

click on the pic. courtesy the walt whitman archive
 
To You

Stranger! if you, passing, meet me, and desire to
speak to me, why should you not speak to me?
And why should I not speak to you?

Leaves of Grass, 1867

compie oggi centonovantatré anni l’immortale walt whitman, il cantore dell’uomo comune, il quale un certo giorno, mentre faceva il carpentiere a brooklyn, lesse il saggio The Poet, di ralph waldo emerson, in cui si dichiarava che gli stati uniti avevano bisogno di un poeta che ne cogliesse adeguatamente lo spirito, e decise che quel poeta era lui.
il poeta, dice emerson, è “colui che dice, che impartisce i nomi e rappresenta la bellezza. È un re, e in quanto tale risiede al centro”. e per avere un’idea dell’influenza di emerson sul verso libero al sapore di prosa di walt: “[…] Poiché non è il metro, ma un argomento che produce un metro a fare una poesia: un pensiero talmente appassionato e vivo che, come lo spirito di una pianta o di un animale, ha un’architettura intrinseca, e adorna la natura di cose nuove. Il pensiero e la forma sono pari nell’ordine del tempo, ma nell’ordine della genesi il pensiero precede la forma. Il poeta detiene un pensiero nuovo; ha tutta un’esperienza nuova da dispiegare; ci parlerà di come l’ha vissuta, e la sua fortuna farà più ricchi tutti gli uomini”. (ho fatto una rapida traduzione dalla versione di The Poet che si può trovare e prelevare qui. non so se il testo esista già in italiano, ma la cosa in questa sede è ininfluente).

in quanto tipografo, walt whitman compose da solo la maggior parte del testo di Leaves of Grass, per giunta – alfiere del self publishing, però molto riuscito – pubblicandone a sue spese 795 copie.
quando ebbe scoperto che whitman aveva preso a lavorare per il ministero dell’interno (si era trasferito a washington dopo la guerra civile), il senatore dello iowa james harlan lo fece licenziare, definendolo tra l’altro “un uomo pessimo” e “un libero amatore”.
walt fu l’editor di sé stesso: aggiunse testi e rivide quelli già esistenti della sua opera maggiore fino alla morte: l’edizione finale, l’ottava, uscì nel 1891.
consultate l’archivio walt whitman. leggete Leaves of Grass, scaricate gli Essays di Emerson che contengono The Poet, esaltatevi ed emozionatevi alle parole dei padri degli Stati Uniti. God Bless America.

mercoledì 23 maggio 2012

quindi tutte le librerie

dovranno dotarsi di caffè.

martedì 22 maggio 2012

dagli all'occidentale

terzomondismo = generico amore per le culture del terzo mondo, in genere adorate non perché valgano in sé ma in quanto provenienti da paesi esotici. desiderio di esaltare le altrui culture, preferibilmente svalutando la propria. tendenza a suonare strumenti scavati nella zucca pur di affermare il proprio limpido antirazzismo.

domani tutti alla cattolica, a milano

scordatevi le inani velleità artistiche di macao: questi ragazzi del laboratorio di editoria dell'università cattolica lavorano sul serio. e, oh, producono!

questo è il link della presentazione: qualche amico si unisce a me?

albanacco_arthur conan doyle

Basil Rathbone nei panni di Sherlock Holmes. L'attore britannico compirà 120 anni il 30 giugno
Compie oggi 153 anni lo scozzese sir Arthur Ignatius Conan Doyle. Arthur era figlio di un uomo violento e di Mary, appassionata di libri e suprema raccontatrice. Dice Arthur della madre: "Per quanto possa ricordare, le storie immaginose che mi raccontava da bambino erano talmente vivide che oscuravano i fatti reali della mia vita". Godiamoci le influenze di Mary su Arthur leggendo la descrizione che Watson ci fa dell'appena conosciuto Sherlock Holmes in Uno studio in rosso (1887):


Di statura, Holmes superava il metro e ottanta ed era così magro che sembrava più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti, salvo in quei periodi di torpore di cui parlavo prima; il naso, affilato e un po’ aquilino, conferiva al suo volto un’espressione vigilante e decisa. Anche il mento, squadrato e pronunciato, denotava salda volontà. Aveva le mani sempre macchiate d’inchiostro e di sostanze chimiche, eppure possedeva una straordinaria delicatezza di tatto, come avevo osservato vedendogli manipolare i suoi fragili strumenti. A costo d’essere giudicato un terribile ficcanaso, confesso che quell’uomo stuzzicava la mia curiosità nel più alto grado e che spesso tentavo di sfondare la barriera di reticenze dietro la quale si trincerava per la propria privacy. D’altra parte, non bisogna dimenticare quanto era vuota e senza scopo la mia vita e quanto poche fossero le cose che potevano attirare la mia attenzione. La salute cagionevole m’impediva di uscire quando il tempo non era più che clemente, e non avevo amici che venissero a farmi visita rompendo la monotonia della mia vita. In simili circostanze mi appassionavo sempre maggiormente al mistero che circondava il mio coabitante, e passavo buona parte del mio tempo tentando di risolverlo.
Holmes non studiava medicina. Egli stesso, in risposta a una mia domanda, aveva confermato l’opinione di Stamford in proposito. Non sembrava nemmeno che avesse seguito corsi per prepararsi a una laurea in scienze o per prendere una qualunque strada che gli consentisse di entrare nel mondo dell’alta cultura. Eppure, il suo zelo per certi studi era straordinario, e il suo sapere, entro certi limiti, era talmente vasto e profondo che spesso egli mi sbalordiva con le sue osservazioni. Non era possibile che un uomo lavorasse tanto assiduamente e si procurasse nozioni così minute senza avere in vista una meta ben definita. Chi legge sporadicamente su questa o quella materia, ben di rado brilla per la profondità delle sue cognizioni. E nessuno si rompe il cervello con particolari precisissimi, a meno che non abbia ottimi motivi per farlo.
La sua ignoranza era notevole quanto la sua cultura. In fatto di letteratura contemporanea, di filosofia e di politica, sembrava che Holmes sapesse poco o nulla. Una volta mi accadde di citare Thomas Carlyle. Mi chiese nel modo più ingenuo chi era e che cosa avesse fatto. Ma la mia meraviglia giunse al colmo quando scoprii casualmente che ignorava la teoria di Copernico nonché la struttura del sistema solare. Il fatto che un essere civile, in questo nostro XIX secolo, non sapesse che la Terra gira attorno al Sole mi pareva così straordinario che stentavo a capacitarmene.
“Sembra sbalordito”, disse Holmes, e sorrise osservando la mia espressione. “Ora che mi ha insegnato queste cose, farò del mio meglio per dimenticarle”.
“Per dimenticarle?”
“Vede”, mi spiegò, “secondo me, il cervello d’un uomo, in origine, è come una soffitta vuota: la si deve riempire con mobilia a scelta. L’incauto v’immagazzina tutte le mercanzie che si trova tra i piedi: le nozioni che potrebbero essergli utili finiscono col non trovare più il loro posto o, nella migliore delle ipotesi, si mescolano e si confondono con una quantità d’altre cose, cosicché diventa molto difficile trovarle. Lo studioso accorto invece, seleziona accuratamente ciò che immagazzina nella soffitta del suo cervello. Mette solo gli strumenti che possono aiutarlo nel lavoro, ma di quelli tiene un vasto assortimento, e si sforza di sistemarli nel miglior ordine. È un errore illudersi che quella stanzetta abbia le pareti elastiche e possa ampliarsi a dismisura. Creda a me, viene sempre il momento in cui, per ogni nuova cognizione, se ne dimentica qualcuna appresa in passato. Per questo è molto importante evitare che un assortimento di fatti inutili possa togliere lo spazio di quelli utili”.
“Ma qui si tratta del sistema solare”, protestai.
“Che me ne importa?”, m’interruppe impaziente Holmes. “Lei dice che noi giriamo attorno al Sole. Se girassimo attorno alla Luna non cambierebbe nulla per me o per il mio lavoro”.

Arthur Conan Doyle



venerdì 18 maggio 2012

macao: un immaginario così prezioso che non può essere dettato

creativity never sleeps
così si legge, tra l'altro, su un foglio diffuso nell'aere: "L’assemblea pubblica del Macao di stamattina ha deciso di non partecipare all’incontro fissato dall’assessore alla cultura di Milano, Stefano Boeri, per quest’oggi presso l’ex Ansaldo. 'Andare lì, senza che la cosa sia partita da noi' secondo alcuni esponenti del movimento sgomberato dalla Torre Galfa gli scorsi giorni, 'vuol dire farsi dettare l'immaginario da altri. Non lo permetteremo'”.
chi scrive oggi è passata casualmente da via galvani angolo via fara, altrimenti nota come piazza macao. una porzione di strada occupata, delimitata da un recinto di assi di legno, su cui vigila una coppia di auto della polizia locale che potrebbe essere impiegata per cose più urgenti. all'interno del recinto un po' di orripilante fauna da centro sociale, impegnata in discussioni esoteriche attorno a tre o quattro tavoli di plastica. si nota, nella zona protetta per creativi con il broncio, un furgoncino bianco su cui campeggia la scritta "trasporto opere d'arte". quali? al di qua del recinto sosta il consigliere comunale gibillini, fine intellettuale (un assaggio delle sue gesta letterarie si può gustare qui), combattuto tra la vita precedente, nella quale sarebbe stato al di là del recinto a farneticare con gli occupanti, e quella attuale, nella quale cerca di placare il senso di colpa per essere entrato nel sistema – con relativa assegnazione di stipendio che gli pagano i cittadini (anche quelli che vorrebbero transitare normalmente da via galvani) per esprimere brillanti, improcrastinabili idee quali "togliamo la recinzione di piazza vetra, milano città aperta" e altre perle del genere – vestendosi malissimo. il consigliere era dotato di una cartella da lavoro dentro la quale, più che sudate carte da consultare, si intuiva la presenza di schiscetta etnica e un assortimento completo di cartine rizla. ma la cosa più triste, infinitamente più triste, sono gli anziani rivoluzionari, che anni addietro non sono stati in grado di rivoluzionare una fava, cui oggi non par vero di ritornare sulle barricate e che si aggirano come avvoltoi attorno ai tavoli da giardino di via galvani, tentando di vampirizzare la primavera di milano, come la chiamano, di cogliere un'ultima occasione, di tornare a riempire le proprie macabre spoglie con un penoso simulacro di identità.

giovedì 17 maggio 2012

i mercoledì del piacere (pubblicati di giovedì): paolo monti

qual è l’idea di piacere durante le pause dall’attività produttiva per chi lavora in ambito creativo? ecco quella di paolo monti, giovane filosofo.

 Ecco la mia proposta di piacere intellettuale: la (ri)lettura integrale delle Elegie Duinesi di R.M. Rilke. Gustare verso dopo verso possibilmente in un giardino/parco/bosco a inizio autunno. Potrebbe essere proprio il primo giorno d’autunno o giù di lì. Propongo comunque fine settembre perché le foglie devono cominciare a cadere ma il paesaggio dev’essere ancora un po’ lussureggiante. Inizio della decadenza, insomma. Per poter gustare col poeta, alla fine del suo percorso iniziatico fra uccelli e angeli, anime e piante, che la bellezza non è solo ascendere, ma anche cadere dal cielo a terra, come le foglie gialle d’autunno...
Insomma, un classico senza riserve per tutti gli intellettuali introversi in fase di spleen dolce.

chi è
Esercitatore in Filosofia Morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.

martedì 15 maggio 2012

i lavoratori dell'arte

in questi minuti è in corso lo sgombero della torre galfa, occupata da una settimana a cura di un gruppo di sedicenti lavoratori dell'arte (no, non sono quelli della foto). 

reazioni su facebook


macao: ci sgomberano, abbiamo bisogno di voi!

simpatizzante: sto arrivando!

simpatizzante: ma no cazzo!

simpatizzante: no cazzo!

macao: Dobbiamo resistere ragazzi, dovete venire qui. svegliate tutti e raggiungeteci fuori! (ma cosa pensano, che la gente non lavori? uno si dovrebbe svegliare alle ore 6 per andare dai macao sgomberati?)

macao: Appello a tutti: venite con i furgoni.

simpatizzante: Se non vivessi così lontano sarei già lì incatenata! Resistete!

simpatizzante: Il corrierone on line vi da per sfrattati, diteci bene cosa succede

macao: Vieni a vedere...se puoi

simpatizzante: nn posso abito 300 km

simpatizzante: Perché sarebbe proprio bello in un EXPO che puzza solo di grigi e lobby immaginare subito un orto per MACAO :D (ma cosa è questa mania degli orti, che appena c'è qualche evento qualcuno vuole fare subito un orto?)  

macao: Qui a macao oggi in strada ci deve essere Milano, tutta la milano che si ribella alle logiche repressive di questo stato, che si ribella al cerchiobottismo di questa amministrazione, che si ribella per la cultura viva.  (mi chiedo come mai tutta milano non sia già alla torre galfa, a ribellarsi alle logiche repressive di questo stato e per la cultura viva)

simpatizzante: I contenuti che in questi giorni sono stati in grado di produrre a MACAO, prima fuori e poi dentro la torre hanno una rilevanza tale da rendere questo sgombero ILLEGITTIMO, e questo va sottolineato ripetuto e ribadito. MACAO non è isteria collettiva, non si parla di quattro scioccati che entrano a corsa dentro un edificio a caso ma di una nuova concezione di socialità, pervasiva ed endemica, che non si ferma ai contenuti artistici e che va difesa e rivendicata, senza sconti per nessuno. (per favore asteniamoci dagli sconti)

e per finire, il sintetico commento di un amico mio che fa lo storico dell'arte a firenze, noto, in altre sedi più accademiche, per il suo linguaggio iperforbito.

storico dell'arte: A casa! Puzzoni 

lunedì 14 maggio 2012

la sfera d'oro: scrivere secondo denise levertov

"Se prima di passare alla macchina per scrivere si copia qualcosa a mano, già in questa fase si fanno piccoli aggiustamenti. È una parte intuitiva del processo creativo, che è stata eliminata dall’uso del computer. Con i programmi di scrittura si ottengono copie dall’apparenza così completa da avere l’impressione che la poesia sia terminata. Con i programmi di scrittura non si impiega tanto tempo come quando si formano le lettere con la mano, alla fine del braccio, che è attaccato al corpo. È una cosa diversa. Non ci si rende conto che questo processo così laborioso fa parte del processo creativo."


  
chi è  
La biografia di Denise Levertov su Wikipedia; la sua voce.
 

domenica 13 maggio 2012

il senso del sabato

Il letto di Richard Avedon, costruito su disegno del fotografo. Courtesy apartmenttherapy.com
Il senso del sabato di chi scrive è stato scandito dai bar, dai libri e dal suo giaciglio. Con grande soddisfazione ho avuto il mio breakfast da Cova, che avevo raggiunto a piedi e presso il quale ho bevuto un eccellente caffè e mangiato un autentico croissant. Dopodiché, tornata a casa e non intendendo fare nulla che potesse distrarmi dalla mia tensione libresca, ho agguantato Niente, più niente al mondo di Massimo Carlotto (e/o, Roma 2011). Lei fa le pulizie e vede le vite agiate dgli altri; il marito è stato licenziato e si arrangia come può; sua figlia non ne vuole sapere di acquisire l’utile mentalità televisiva che la traghetterebbe verso il miglioramento sociale che la madre auspica per lei. Carlotto costruisce un monologo di poco più di settanta pagine, che si interrompe solo quando lei si attacca alla bottiglia, e fa così:

“Sono nata nella famiglia sbagliata e da allora ho sempre sbagliato tutto. Me la sono meritata questa vita da discount che ti costringe a giornate tutte uguali, imprigionate nel grigiore di non poterti permettere nulla di diverso.
Il giorno peggiore è il sabato. Durante la settimana ti ammazzi di fatica e non pensi, ma il sabato pomeriggio si esce a fare un giro in centro. A guardare le vetrine di negozi in cui non abbiamo mai messo piede. […] Dopo un po’ mi viene da piangere ma ho sempre fatto finta di nulla perché è giusto che io, Arturo e la bambina ci rendiamo conto di quello che non abbiamo e soprattutto di quello che siamo.
Così la bambina capisce – mi dico sempre – ma lei è distratta, si annoia, si attacca al telefonino. A volte mi viene voglia di sbatterle la faccia contro quelle vetrine. […]
Quando torniamo a casa mi chiudo in cucina e bevo il vermouth dalla bottiglia, bevo fino a quando non ce ne sta più nella gola e quasi mi soffoca. Una, due, tre volte. […]
Una volta mi piaceva ballare. Arturo e io eravamo bravi. Andavamo nei locali e nelle feste dell’Unità. Adesso due volte al mese un pullman fa il giro del quartiere, fa il pieno di coppie della nostra età e ci porta in provincia dove c’è un capannone enorme dove ci sta un mare di gente e queste orchestre che non smettono mai di suonare. Paghiamo 15 euro a testa con la consumazione e balliamo fino alle due del mattino.
Con i balli a due va tutto bene ma quando ci sono quelli di gruppo mi torna la tristezza delle vetrine del pomeriggio. Siamo solo degli estranei che ballano insieme perché è sabato e ci dobbiamo divertire per forza altrimenti saremmo tutti a casa a fissare il televisore. […]
E quando la musica finisce rimontiamo sul pullman e ce ne torniamo a casa in silenzio perché nessuno di noi è più capace di conoscere gli altri, di fare amicizia. Gli altri sono solo un problema, una rottura di balle e devi mostrare i denti per ogni cosa sennò se ne approfittano e ti mettono i piedi in testa. Per il parcheggio, per il condominio, per la fila dal fruttivendolo o all’ufficio postale” (pp. 51-54)

Courtesy wilsonkelsydesign.com
A Carlotto è seguita Grazia Cherchi (che dello scrittore padovano è stata scopritrice), che è bene torni spesso dai suoi anni ottanta e novanta, dai suoi scompartimenti per lettori, a parlarci di come dovrebbero essere fatte delle oneste recensioni (anzi, delle recensioni oneste):

“Prendo spunto da un pezzo di Geno Pampaloni […] apparso sul mensile ‘L’Indice’ dello scorso febbraio. Cito dalla conclusione: ‘L’arma segreta di cui dispone il cronista, o se si vuole l’arte del recensore, è la scelta delle citazioni… Un recensore si valuta, a mio parere, dalla scelta, dal florilegio, dal prelievo delle citazioni attraverso le quali il cronista dà conto della sua lettura. E al tempo stesso mette il lettore nella condizione di giudicare egli stesso se l’interpretazione del cronista è convincente o arbitrariamente personale’.  Giustissimo.
E oltre alle citazioni, a me sembra altrettanto indispensabile informare sinteticamente (lo spazio è quello che è) sul contenuto del libro, trama o plot che dir si voglia […] Cui seguirà, ma già dovrebbe emergere dalla trama inframmezzata di citazioni, il giudizio, che sarà, inevitabilmente, impressionistico, dettato dall’intuito, dal gusto e dall’esperienza: cos’altro mai potrebbe essere? […] Il tutto scritto in modo chiaro, non certo da addetti ai lavori che ammiccano tra loro per l’infelicità dei più. La recensione ispirata a questi criteri sarà un po’ vecchiotta, di stampo decisamente tradizionale, ma mi pare sia l’unica che renda un servizio al lettore, fornendogli i motivi per andarsi a leggere il libro o per evitare di farlo” (pp. 30-31).

courtesy favim.con
E a parlarci di stile, Grazia, esprimendo con onestà anche giudizi poco lusinghieri nei confronti di scrittori acclamati:
  
Ah, les françaises! [sic] Si sono fatti fuori quasi un milione di copie dell’ultima Duras […]. Sull’onda, noi italiani non abbiamo voluto essere da meno: ed ecco L’amante restare per settimane in testa alle classifiche dei libri più venduti. La critica è stata all’altezza della sua fama, non lesinando inni al romanzetto: è stato, ad esempio, elogiato per ‘la sovrana misura dello stile? (Bugliolo su ‘Tuttolibri’) […]
Ahinoi! Tutt’al più è la storia, che Marguerite Duras ci racconta, ad essere tutt’altro che male […]. Ma lo stile, signori! La Duras […] inghirlanda tutto, soffoca tutto tra trine e merletti. Che cascata di cascami letterari! Una lingua tutta esclamativa, enfatica e pretenziosa, che ci sciorina l’ineffabile a piene mani, fastidiosissima” (pp. 62-63)


Giovane scrittore creativo. Courtesy christinemareebell.wordpress.com
Dopo questo bel riassaggio di Cherchi, è stata la volta del Manuale del giovane scrittore creativo di Bianca Pitzorno (compratelo ai vostri bambini, se possedete dei bambini; se il vostro nome finirà con voi, compratelo per voi), aperto dopo la trasferta dalla seggiola al letto. Ecco una parte della lezione numero 13:

Poiché le poesie in rima sono le più difficili e allenano a una costante ricerca di parole nuove, vi sarà spiegato solo come comporre queste ultime. […] Quando sarete ben allenati a scrivere versi in rima, potrete scatenarvi a scrivere anche tutte le poesie senza rima che la vostra ispirazione vi suggerirà. […]”

E tra gli esempi:

Dante Alighieri
non ti sa dir cosa ha fatto ieri.
Alighieri Dante
ha la memoria un po’ zoppicante

Gianni Rodari
è il più irrequieto tra gli scolari.
Rodari Gianni
ha un conto aperto col battipanni.

Carolina Invernizio
ruba le mummie al museo Egizio.
Invernizio Carolina
nasconde scheletri laggiù in cantina.
(p. 80)

Courtesy babyfreebies.co.uk
La seduta/distesa libresca durava da un po’ e si sa, o almeno lo dicono in molti, uno di sabato dovrebbe occuparsi di tutte quelle cose che non ha fatto durante gli alti giorni della settimana, il bucato la spesa e tutto il resto. Però sul mio letto-scrivania c’è anche il manoscritto di Daniel, la storia che non ho ancora finito, e ho proprio desiderio di leggerne un’altra parte, di tornare a Odessa, nel 1910, da Yakov, Klara, Yudit, quando le vicende dell’Unione operaia dei lavoratori ebrei si intrecciavano con quelle dei socialdemocratici russi. Sui testi che seguono non è stato ancora eseguito l’editing.

“Yakov notò un bambino di una decina d’anni buttato su un mucchio di stracci ai piedi di una macchina. […] Altri ragazzini vestiti di stracci si rotolavano nello sporco. Una donna, seduta su un mucchio di fibre, allattava un neonato avvolto in panni sporchi. […]
‘Non ho mai visto niente del genere’, disse Yakov, istintivamente tenendo basso il tono della voce.
‘Tu non conosci il proletariato’, gli rispose Ariel […], ‘quello vero, voglio dire: nelle grandi fabbriche, quelle più nuove, le condizioni sono molto diverse. Molti di quelli che lavorano lì, noi li chiamiamo aristocrazia operaia. Ma la grande massa degli operai lavora in fabbriche come questa: dormono, mangiano, si accoppiano e muoiono così, accanto alle macchine”.
[…]
[Yakov] studiò letteratura, lesse tutti gli autori russi classici, lesse Ibsen, lesse ancora Gorky. […] Soprattutto però lo appassionavano le opere di pedagogia […] Era sempre più convinto che un grande rivolgimento sociale fosse necessario e inevitabile, ma pensava anche che, se non fossero cambiati gli uomini, la nuova società avrebbe ricreato in forma diversa le stesse ingiustizie, riprodotto gli stessi errori. Per creare uomini nuovi occorreva partire dai giovani e dalla loro educazione. […] Era convinto che ci sarebbe stata una rivoluzione e che sarebbe stata violenta. […] le masse premevano e lo zar non avrebbe certo abbandonato il paese senza reagire con la forza delle armi.
Yakov però non vedeva se stesso nelle vesti di capo politico. Altri, non lui, avrebbero guidato centinaia di migliaia di uomini nella lotta per creare una nuova società più giusta. Lui invece avrebbe lavorato sui giovani e sui giovanissimi per creare qualche uomo migliore”.

Mentre leggo questo inedito continuo a sentire quella leggera eccitazione che ti coglie davanti a una buona storia. Le altre attività del sabato possono aspettare.

giovedì 10 maggio 2012

giappone, israele

milano, tram numero 5: Murakami Haruki, Dance, Dance Dance

milano, tram numero 5: Susan Abulhawa, Ogni mattina a Jenin

mercoledì 9 maggio 2012

i mercoledì del piacere: rino lombardi


qual è l’idea di piacere durante le pause dall’attività produttiva per chi lavora in ambito creativo? ecco quella di rino lombardi.

Ah, le mie gioie da perdigiorno!
Adoro bere il caffè nei bar di Trieste. Cerco posti sempre diversi. Sono quelli per me i veri caffè letterari. Altro che “Tommaseo” o “San Marco”! Amo scoprire la variegata umanità che si cela dietro o davanti un banco. Esemplari di specie rare: chiacchieratori no stop, lettori di giornale a sbafo, anziane bariste un po’ sfiorite o ragazze troppo tatuate. Persone che fanno pensare. E la mente a volte vola a Saba (il mio pensiero si fa più puro dov’è più turpe la vita). O a Benni, la Luisona, Bovinelli... I baretti sono luoghi dell’inatteso. A volte scopri volti che non immaginavi potessero esistere. Altre volte scopri spazi più grandi di quelli che aspettavi. Sale a sorpresa, dove si annidano vecchi giocatori ormai divenuti un tutt’uno con la slot machine, en attendant un tintinnio... Altro che “La prima sorsata di birra”... Ci vediamo al bar, un giorno di questi. Ma non diciamoci quando.

chi è
Copywriter, minieditore e, soprattutto, direttore del Museo della Bora e del Vento di Trieste.

martedì 8 maggio 2012

macao meravigliao

scusate, qualcuno potrebbe spiegarmi cosa significa questa frase, che sarebbe una parte del manifesto culturale dei macao: "Macao sarà un luogo in cui gli artisti e i cittadini possono riunirsi per inventare un nuovo sistema di regole per una gestione condivisa e partecipata che, in totale autonomia, ridefinisca tempi e priorità del proprio lavoro e sperimenti nuovi linguaggi comuni"?

e, assessore boeri, posso andare anch'io a occupare uno spazio alternativo alla mia casa, che non mi piace più e vorrei cambiare ma guadagno troppo poco, colà installandomi impunita? lo farei dal basso, democraticamente, con discrezione; inventerei un nuovo sistema di regole e ridefinirei tempi e priorità del mio lavoro. allora, posso?

lunedì 7 maggio 2012

natale quasi d’estate e un’industria grafica nei dintorni di milano

 
“Il nuovo carattere latino corsivo si ispirava alle forme manoscritte in uso nelle cancellerie italiane del secondo Quattrocento e si proponeva di assicurare alle stampe l’eleganza e la bellezza del manoscritto umanistico. In combinazione con il nuovo formato in 8°, finì con qualificare l’attività del Manuzio. Egli mise in commercio nuove edizioni portatili (definite nel catalogo del 1503 ‘libelli portatiles in formam enchiridii’) volte non tanto ad abbassare i prezzi e a diffondere il libro popolare, quanto a favorire un uso diverso del libro, meno legato allo spazio dello studio, in direzione piuttosto di un ampliamento del pubblico, non necessariamente costituito da letterati di professione, favorendo così nuove pratiche di lettura. Merito del M. non fu peraltro quello di avere utilizzato per primo il formato in 8°, già in uso da tempo per la stampa di testi religiosi e devozionali, quanto di averlo destinato alla produzione dei classici. Anche l’eliminazione dei commenti serviva a non distogliere i lettori dalla concentrazione sul testo, evitando condizionamenti pedanti.” Dalla voce su Aldo Manuzio di Mario Infelise nel Dizionario Biografico degli Italiani.


Molte sono le aziende che regalano ai propri clienti oggetti, strenne natalizie. Molti, moltissimi regalano calendari. Molti, moltissimi stampatori regalano calendari. Geca no. L’industria grafica Geca confeziona con cura oggetti neopop che si possono vedere qui: pacchetti di sigarette, di detersivi, un Monopoly/Leggiamoly, tutti ripieni di e riferiti ai libri e alle parole.
La strenna 2012 è favolosa: una confezione di “Leggo Word Flakes, fiocchi di parole originali”, contenente un’edizione fuori commercio di Tre uomini in barca nella traduzione di Silvio Spaventa Filippi, un quaderno rigato (le righe, nell’opinione di chi scrive, sono preferibili ai quadretti) intitolato “Word Notes” dedicato ad “Appunti, ricordi, progetti” – l’esergo che precede lo spazio per scrivere è di Pietro Abelardo e recita così: “Bisogna prendere speciali precauzioni contro la malattia dello scrivere, perché è un male pericoloso e contagioso” – e un calendario con dodici riproduzioni dei luoghi toccati dalla Route 36 negli Stati Uniti.
I Word Flakes sono corn flakes a forma di lettere dell’alfabeto; il galluccio sul fronte della scatola portameraviglie porta gli occhiali e tiene un libro tra le ali/mani.
Qual è, per usare un termine orrendo ma a volte positivamente ambiguo, la mission di Geca? Questa, tra l’altro: “Noi abbiamo deciso di stare dalla parte dell’immaginazione, della parola scritta, della creatività, promuovendo l’amore per i libri e per la scrittura, sviluppando progetti in grado di rendere i messaggi stampati sempre più credibili e autorevoli”. Si confronti con la dichiarazione di un competitor qualunque: “L’imprescindibile civiltà dei pixel portata dal nuovo millennio ha ormai garantito all’arte grafica velocità di esecuzione e opportunità tecniche prima impensabili: opportunità che l’odierna azienda ha saputo cogliere, per aggiungere alla qualità che le è sempre stata riconosciuta una rapidità esecutiva e una elasticità di programmazione. Resta al centro dell’operare di nome il desiderio di realizzare, nei libri, qualcosa che possa avere una propria estetica, percepibile fisicamente nel piacere di sfogliare il prodotto finito.”
Chi scrive ha visitato Geca pochi giorni fa, trovando come interlocutori industriali nel cui spirito convivono competenza tecnica, passione per le cose stampate e desiderio di misurarsi con il mercato. Ha adorato ricevere in regalo i Word Flakes – un piccolo Natale fuori stagione –, che si contemperano perfettamente con le cose che ama: oggetti legati ai libri, parole, ricerca del piacere attraverso la lettura, copywriting di qualità. Bravi, molto molto bravi, questi signori Geca: se fossi un editore stamperei da loro.

la sfera d’oro: scrivere secondo elizabeth strout

 
“Scrivo dei pezzi, poi li sposto qua e là. E il divertimento è guardare le parti più credibili incastrarsi l’una nell’altra. Ciò che è falso non combacia.”

chi è
Si legga la sua biografia su wikipedia (si scoprirà che è nata il 6 gennaio, come E.L. Doctorow) e un’intervista qui.

domenica 6 maggio 2012

essere intellettuali conviene

conviene anche avere amici intellettuali e navigatori, che al ritorno da un viaggio in barca a vela ti scrivono:

“Appena rientrato da una navigazione dalle tue parti (Vieste, Bari, Brindisi e Valona) rileggo gli Adagia e trovo: ‘Ubi amici, ibi opes’ e te lo invio.”

missive via sms che, oltre a farti sentire voluto bene, ti spingono alla consultazione di

Erasmo da Rotterdam, Adagia, Salerno Editrice, Roma 2002

bella la vita, così, no?

pillole di editing: la prima pagina di un romanzo di genere

Così mi descrive la sua opera, nella sinossi di cui riporto l'inizio e la fine, una ventenne scrittrice di romanzi fantasy: "Linee guida: genere fantasy, romanzo lungo, intreccio. Punto di vista: extradiegetico onnisciente personificato. Personaggi: progressivi, dinamici. La storia inizia raccontando la vita di R.S., una ragazza che si è appena trasferita in una nuova città a causa del lavoro di suo fratello maggiore. Tutto sembra svolgersi normalmente, ma degli strani fatti cominciano a stravolgere la sua esistenza. Si ritrova, senza ricordare in che modo, scaraventata in un Mondo unico, diverso dalla Terra. Precipitata sul R., il palazzo in cui risiedono le Divinità, incontra un ragazzo incatenato. Già nel primo capitolo entra così in gioco l’altro protagonista di quest’avventura, Y. I.; un Semidio ritenuto un assassino e costretto a scontare una delle pene più atroci vigenti in quel Mondo: la privazione dell’Essenza. ... R. fermerà l’Apocalisse Finale con l’aiuto di Y. diventando una Leggenda. Con la rivelazione di questa donna di nome E. termina il primo libro lasciando in sospeso molte domande e dubbi; il loro cammino è appena all’inizio".
 
Riporto la prima pagina così come l'ho ricevuta, e poi la mia proposta di editing. Vorrei chiedere agli amici lettori/scrittori/colleghi editor come avrebbero lavorato loro sul testo.
Manoscritto come era
La luce del giorno filtrava dalle fessure delle tapparelle di una graziosa villetta illuminando parzialmente le stanze. Al piano superiore della casa, nella camera da letto, vi era distesa una ragazza che sonnecchiava beatamente. La fresca brezza mattutina muoveva delicatamente le tende bianche dell’ampia stanza. Sulla bacheca, appesa sopra il suo letto, vi erano disposte accuratamente delle foto e dei disegni, gli unici dettagli che la descrivevano. L’intero ambiente era in ordine, tutti i libri e i fumetti erano ben riposti nel lungo vano sotto il finestrone, nella libreria accanto alla seconda finestra scorrevole, e sulla scrivania. Se non fosse per i numerosi scatoloni accatastati sul parquet in rovere chiaro davanti al comodino a cassettoni sarebbe stato tutto lineare, privo di una storia. Sì, infatti quella camera non raccontava nulla di lei, era tutto troppo semplice, chiaro, pulito. Tutta la sua vera vita invece era racchiusa in quei cartoni abbandonati per terra. Quella camera, anzi, quella vita, non aveva niente a che vedere con quella del suo passato. La ragazza aprì leggermente gli occhi guardando l’ora che segnava la sveglia, poi li richiuse rannicchiandosi. Il tepore del lenzuolo le impediva di risvegliarsi, di abbandonare quell’accogliente culla sicura e di immergersi così nella realtà dando ufficialmente inizio alla sua giornata. Sapeva però che non avrebbe dovuto fare tardi, anzi lei detestava fare le cose di fretta. Con un grande sforzo si alzò strofinandosi l’occhio "Ancora cinque minuti!" disse piano a se stessa lasciandosi cadere tra le soffici coperte per poi sdraiarsi di nuovo su un lato. All’improvviso però il cellulare sul comodino cominciò a suonare una musichetta fastidiosa, udendola fece una smorfia contrariata, alla fine lo afferrò e spense finalmente quel rumore irritante. “Uffa!” esclamò ributtandosi all’indietro e mettendo il braccio sulla fronte “Chi me lo fa fare di svegliarmi un’ora e mezza prima?” sussurrò con uno sguardo velato dalla mestizia. La sua mente infatti era tormentata dalla tristezza di quel passato sempre più lontano, dal ricordo delle loro voci, dei loro sorrisi, di quei momenti dolorosi ma in egual modo stupendi. Provava talmente tanta nostalgia di quei tempi andati che a volte si sentiva soffocare da un peso insostenibile: paura, rabbia, dolore, solitudine; tutto quello che aveva provato in quegli ultimi anni la rendeva incerta del suo futuro perché in fondo, come poteva essere di nuovo felice senza di loro?
Prese a frugare nei cassetti in cerca di qualcosa da mettersi; non era entusiasta, a dire la verità non le importava granché. Il ricordo degli altri anni di scuola la fece sorridere: aveva sempre avuto l’abitudine di prepararsi i vestiti e lo zaino il giorno precedente, ma anche quella sua piccola accortezza era svanita nell’apatia di quella sua esistenza. Infine prese i primi indumenti che le capitarono fra le mani, sistemò astucci e quaderni in una borsa viola a tracolla e dieci minuti più tardi uscì di casa. Nel momento stesso in cui chiuse la porta tutto si dissolse lentamente, la sua casa, il giardino, gli alberi, le strade, le persone, ogni cosa scomparve lasciando posto a una seria caotica di altre immagini. Le apparve il ricordo di un elegante fuoco blu che le danzava attorno, di centinaia di asteroidi e meteoriti, di scariche elettriche, di una luce rossa, di un brivido che le attraversava il corpo ed infine il buio. Il vuoto totale.

Manoscritto come è
La ragazza aprì leggermente gli occhi, guardò l’ora, poi tornò a rannicchiarsi sotto le coperte. Il tepore di quella culla accogliente le impediva di risvegliarsi: quella mattina, però, non poteva far tardi. “Ancora cinque minuti”, si disse. Dal cellulare sul comodino cominciò a suonare un’irritante musichetta, che la ragazza fece tacere spegnendo l’aggeggio di malagrazia. “Chi me lo fa fare di svegliarmi un’ora e mezza prima?”. Voci, sorrisi, momenti di gioia dolorosa si ripresentarono baluginando al suo sguardo appannato. Un peso insostenibile la prendeva alla gola, paura e rabbia che si alleavano presentandole un futuro incerto e una domanda pressante: come avrebbe potuto tornare a essere felice senza di loro? 
Prese a frugare nei cassetti in cerca di qualcosa da mettersi. Un tempo era solita preparare vestiti e zaino per la scuola la sera precedente, una piccola abitudine svanita nell’apatia della sua nuova esistenza.
Non appena ebbe richiuso la porta dietro di sé tutto si dissolse lentamente, lasciando posto a un caotico coacervo di immagini. Un elegante fuoco blu le danzava attorno; un nugolo di asteroidi e meteoriti, di scariche elettriche, poi una luce rossa, un brivido che le attraversava il corpo e infine il buio.

 
 

tutti alla libreria linea d'ombra con un libro da donare

la libreria linea d'ombra di milano aderisce al progetto books across balkans, per la rinascita della biblioteca di sarajevo: andiamo a portare un libro?

libreria linea d'ombra
via san calocero 29
20123 milano
telefono 02 83 21 175



doni assai graditi con risvolto poetico d'antan

ricevere in dono una scatola di biscotti è oggigiorno un evento assai raro. ricevere in dono una scatola di biscotti in una pizzeria di periferia dove fanno una pizza eccezionale, durante una serata in cui si discetta di libri, di editing, di grafica e design è un gran piacere. poi vorresti che i krumiri rossi (prodotti a casale monferrato e dichiarati kasher dal vicerabbino capo della comunità ebraica di torino avraham reuven de wolff), modellati e confezionati a mano, che hai portato a casa e assaggiato in tutta la loro compatta delizia, non finissero mai, anche perché nella scatola di krumiri rossi hai trovato un foglietto che oltre alle informazioni storiche contiene i testi in onore dei krumiri di ottavio ottavi:

Inno ai Krumiri

Ai dolci gustosi
Krumiri eleganti
Dei bimbi golosi
S'allietan i canti
Del Rossi la gloria
Il nome immortal
Ricordi la storia
Ripeti Casal
EVVIVA I KRUMIRI

Casale Monferrato, 1886


e della professoressa franca merlo:

Casale l'industre
è ben rinomata
pei dolci Krumiri
di cui è dotata

Al nome glorioso
di Rossi inventore
uniamo pur quello
del gran successore

Ed or che i Krumiri
li fa Portinaro
d'offrirne agli amici
nessun sia avaro

Evviva i Krumiri
dolcezza squisita
che molce il dolore
e allieta la vita!

Acqui, 2 aprile 1955
 








domenica con grazia cherchi

courtesy thebookdesigner.com
la citazione, per la sua lunghezza, è al limite del pirataggio, ma ho dalla mia i seguenti argomenti:
1. il libro è difficile da trovare;
2. del lavoro di editor come grazia bisogna parlare e continuare a parlare sempre;
3. il pezzo è ameno.
grazie, casa editrice e/o.


[…] “Su, mettiamoci al lavoro. […]”
“Prima di tutto devi dirmi se è meglio o peggio dell’ultimo”.
È uno dei vantaggi degli esordienti: questa insopportabile domanda te la risparmiano.
“È un’altra cosa. E poi questo è un romanzo, l’altro era un racconto. Ma dimmi piuttosto: sei disposto a ripeterci le mani?”.
“Certamente terrò conto dei tuoi consigli” disse allarmato.
“È la prima stesura?” azzardai.
“A dire il vero è la terza, e pensavo l’ultima”.
Ci guardammo perplessi.
“Scusami, ma mi sembra ancora un po’ farraginoso”.
Consigliavo di togliere su per giù una quarantina di cartelle.
“Insomma, non ti è piaciuto”.
La mettono subito così.
“Ma chi te l’ha detto? Solo che una sfrondatura lo avvantaggerebbe… È una questione di ritmo”.
“Il ritmo, il ritmo me lo metto in quel posto” disse scadendo di tono. […]
“Comunque” dissi pazientemente, “ci sono pagine stupende, tra le più belle che hai scritto. Ad esempio, il capitolo del viaggio…”.
“Capirai, sono in tutto venti cartelle!” sbottò seccato.
“ Ma lasciami parlare! Mi è anche piaciuto molto il personaggio di Roberto. Semmai è la donna che è un po’ deboluccia…”.
Di psiche femminile ne capiva ben poco, a mano che non si trattasse di virago: lì era straordinario.
“Ma come! Non ti unirai anche tu a quei coglioni che criticano sempre i miei personaggi femminili!”.
Ebbene sì. Anche i coglioni hanno i loro momenti di intelligenza.
“Senti, piantiamola di parlare in generale. Guardiamo insieme il testo”.
“Insomma, ho capito, non funziona. Devo vergognarmi di averlo scritto”.
Fosse venuto nel pomeriggio! Avrei usato la tattica giusta: se cominci con le lodi, poi accettano tutto.
“Ma piantala! Proprio perché è un bel libro vorrei che tu rimediassi ad alcune pecche…”.
“Che faccio? Lo butto nel cesso?”.
“Senti, il libro è tuo e ne fai quello che vuoi” dissi come se la proposta non fosse da scartare.
Cambiò subito registro: “Lo sai che il tuo parere è molto importante per me. Quando mai è uscito un mio libro senza la tua approvazione?”.
Ne erano usciti almeno tre.
“Allora vuoi starmi a sentire una buona volta? Perché devi sempre drammatizzare ogni osservazione?” dissi.
“Il fatto è che quest’anno sono stato da cani, con alti e bassi incredibili. Un po’ mi pareva di star scrivendo un capolavoro, un po’ una porcheria demenziale. Ma, come sempre, hai ragione tu: non funziona”.
“Non ho detto questo”. Ero ormai allo stremo.
Passò a guardare rabbuiato i miei appunti. Dopo pochi minuti ne ebbe abbastanza.
“Scusa, ma tu asciughi troppo i testi. È un romanzo, non un telegramma lettera!”.
Mi indicò un passo a lato del quale avevo annotato: togliere.
“Ma se lo hai detto tale e quale a pagina 57!”.
Andò a vedere: era così. Restò un attimo titubante, ma si riprese prontamente:
“Era per creare un clima ossessivo!”.
“Sarà! A me sembrava che mancasse una rilettura…”

Grazia Cherchi, Basta poco per sentirsi soli, e/o, Roma 1991