le città ideali vagheggiate da guido ceronetti*, in cui se "[…] folle di giovani cercassero estasi e oblio […] con dosi quotidiane, anche forti, di ragione e di bellezza, le città di notte si riempirebbero di pensatori che bisbigliano, di solitari persi in un libro, di filosofi in agguato, dietro un angolo... Qualcuno morrebbe, verso il mattino, per overdose di conoscenza".
*non credo che guido se ne avrà a male, per questa indispensabile citazione. forse l'adelphi sì, allora ecco qua: Guido Ceronetti, Insetti senza frontiere, Adelphi, Milano 2009.
giovedì 28 maggio 2009
droghe pesanti / la buona morte
c.s.c./chini su carta a milano
diversi tipi di chini su carta, ieri a milano, in un'afosa giornata di alta pressione africana: la signora intabarrata chiede l'elemosina provvista di cartello in arabo (è la prima volta che ne vedo una fuori da marrakesh – quelle che vedevo là erano parte del tessuto della città e ricevevano pane, qualche moneta; talvolta qualche pietosa recava loro un tè). non so cosa ci fosse scritto sul cartello. mi chiedo se la signora fosse indipendente, nel qual caso plaudirei alle pari opportunità, oppure schiavizzata da qualche racket di mascalzoni. l'angolo è quello tra via mazzini e il duomo.
il signore, seduto al tavolino di bar di via torino, scrive tutto intento: ha gli auricolari dove deve, i capelli prematuramente grigi e una bella treccina sulla nuca.
la signora seduta sul gradino del negozio bolaffi in via manzoni legge un libro intitolato Ultimi legami, su cui non sono riuscita a reperire notizie.
il signore, seduto al tavolino di bar di via torino, scrive tutto intento: ha gli auricolari dove deve, i capelli prematuramente grigi e una bella treccina sulla nuca.
la signora seduta sul gradino del negozio bolaffi in via manzoni legge un libro intitolato Ultimi legami, su cui non sono riuscita a reperire notizie.
justine o gli infortuni del vestire
accompagnare un’adolescente in un negozio di abiti per adolescenti è un’esperienza che ti segna. uno si aspetterebbe di trovare in questi negozi un po’ tutti uguali – con queste canottierine, questi pantaloncini, questi giubbottini che vorrebbero un po’ richiamare lo stile da party girl di certe ragazze che vivono, chessò, a los angeles, dotate di minuscoli cani e di borse per cani, nonché di un discreto livello di cafonaggine – uno, dicevo, si aspetterebbe di trovare gruppi di ragazzette un po’ viziate, col portafogli, per la loro età, ben pieno (la sottoscritta, alla loro età, sbavava per un certo paio di jeans che ottenne solo dopo un tempo incalcolabile), con questi broncetti che vorrebbero risultare sexy ma dicono solo quel pochino di insipienza. e in effetti quello si trova, ma anche altro: non già genitrici un pochino stufate, che dopo svariate mezzore di attesa davanti ai camerini con rinchiuse le figlie diventano un po’ brusche e ingiungono di piantarla e di comprarsi, vivaddio, una normale t-shirt, no. vi si trovano signore, madri sì delle giovani mai sazie di shopping ma pure loro competitor. signore che girano pure loro per il negozio alla ricerca di qualcosa per sé stesse, alcune patentemente fiere di potersi comprare un capettino in un negozio per dodicenni. signore* costrette, alle quattro di pomeriggio, in gonne e bluse ultra aderenti, con qualche trasparenza disseminata, qualche spacco e i tacchi, altissimi, innaturali, tacchi fetish per autopunizioni.
*la mezza signora fotografata è una vera signora milanese in un vero negozio milanese. la foto è mia. dato che nel negozio per adolescenti c’era un divano, mi sono seduta a leggere il giornale, in attesa di mia figlia. questo mi ha dato la possibilità di osservare e fotografare indisturbata: la lungotaccata era concentrata su un paio di mutande da lolita.
*la mezza signora fotografata è una vera signora milanese in un vero negozio milanese. la foto è mia. dato che nel negozio per adolescenti c’era un divano, mi sono seduta a leggere il giornale, in attesa di mia figlia. questo mi ha dato la possibilità di osservare e fotografare indisturbata: la lungotaccata era concentrata su un paio di mutande da lolita.
lunedì 25 maggio 2009
belpaese / tedeschi e portoghesi: solo sul tram numero due
il signore a sinistra è un conducente del tram numero due che questa mattina ha accolto un garrulo signore tedesco (che non è quello in costume bavarese), portavoce di un gruppo di cinque, che prima di salire sul mezzo gli ha chiesto in un lingua completamente inventata (ma efficace, perché si sono capiti) se ci fosse la possibilità di comprare i biglietti a bordo. il conducente ha fatto segno di salire e l’allegra comitiva si è installata sul sedile di fronte al mio, profferendo molti hans, markus e peter. alla fermata successiva, quella di piazza san gioachimo, il titolare del tram ha indicato al teutonico l’edicola, facendogli capire che avrebbe aspettato mentre lo straniero si regolarizzava. hans, markus o peter si è fiondato tra i lazzi dei suoi compagni e il tifo dei passeggeri, ha acquistato alla velocità della luce ed è risalito sul tram, in mezzo alle ovazioni della piccola folla e sotto lo sguardo benevolo del conducente che, si vedeva, approvava il comportamento del tedesco in quanto questo non aveva fatto il portoghese. ho ancora una volta la sensazione di non trovarmi sul tram numero due, ma sul filobus numero settantacinque*.
*sì, lo so, qualche puntiglioso potrebbe obiettare che se i signori in questione fossero stati piccoli e neri forse il conducente non avrebbe usato loro tanta gentilezza. ma oggi voglio vivere così, in un mondo perfetto.
*sì, lo so, qualche puntiglioso potrebbe obiettare che se i signori in questione fossero stati piccoli e neri forse il conducente non avrebbe usato loro tanta gentilezza. ma oggi voglio vivere così, in un mondo perfetto.
venerdì 22 maggio 2009
contrappassi
sul tram numero due oggi la lettrice sono io, e la bibliospia è la signora fotografata di spalle. mentre sono immersa nella lettura di una rivista, percepisco che qualcuno accanto a me si piega platealmente per tentare di leggerne il titolo. deliziata, le mostro la copertina perché possa esaminarla comodamente. la signora (una signora sinistramente anonima, una di quelle che potrebbero tranquillamente praticare qualche eccentricità) mi rivolge un discreto cenno d'intesa e un mezzo sorriso, poi scende con la sua borsetta di carta: contiene un libro, di cui non riesco a cogliere il titolo.
giovedì 21 maggio 2009
flower power – del diverso uso delle biciclette
il viandante che dovesse capitare, durante i suoi peregrinaggi, a fort collins, colorado, non può mancare una visita al book rack, una libreria aperta da venticinque anni, con cinquantamila volumi a disposizione del lettore e un’allure da fare invidia a romano montroni e alle sue multimediali feltrinelli. l’invito del libraio è a mangiare, dormire e leggere: eat.sleep.read è la dichiarazione di indipendenza degli indie bound, un’associazione di librai indipendenti statunitensi che si propone di coltivare lettori appassionati, di cui book rack è membro.
il claim mi piace perché tutto sommato equipara due atti di istinto a uno squisitamente culturale: ho sempre adorato mangiare tenendo davanti un libro aperto (il problema è che non si riesce a smettere né di leggere né di mangiare, ma questa è un’altra storia). nella libreria c’è un divano usatissimo, che riconduce inequivocabilmente al concetto di cosiness, riassumibile nell’immagine, appunto, di un comodo divano, di un libro e, a scelta, di una tazza di nescafè o di un traminer ghiacciato*. sono cose di cui non si può fare a meno.
come si può vedere dall’immagine in bianco e nero, sulle biciclette parcheggiate davanti al book rack non ci sono cestini adornati con fiori finti. quelli si vedono a milano in corso garibaldi, attaccati alle biciclette di donne molto benvestite, discretamente truccate, costosamente equipaggiate, spesso un po’ gonfie (non saprei dire se le gonfi il marito o si facciano gonfiare dal chirurgo). spesso fa da pendant al cestino un seggiolino per il trasporto umano (alcune svitate trasportano sul mezzo anche cani o gatti dentro improbabili cestini di paglia foderati di cotonina): di mattina presto dentro ci sono dei bambini che dal retro dell’ecologicissima bicicletta respirano un sacco di fumo dai tubi di scarico delle auto praticamente all’altezza del loro naso. quei fiori sul cestino sono terribili: la loro fintezza è sospetta, così come la coscienza ecologica delle proprietarie delle bici. giù dalle bici, signore, tutte in libreria.
*segnalo che dal 28 maggio presso lidl si possono acquistare sei calici da vino bianco per otto punto novantanove euro. trovo che sia un’iniziativa assai democratica: libri e traminer per tutti!
giovedì 14 maggio 2009
non potevo fare a meno / digital art
proprio non potevo fare meno di pubblicare questo ritratto del mio idolo steve jobs, eseguito da dylan roscover con font apple utilizzate in diversi prodotti: motter tektura, apple garamond, myriad, univers, gill sans, volkswagen ag rounded. bellobellobello
l'importante è vivere
stamattina, sul tram numero due, la mia vicina esibisce sullo schermo del suo cellulare un messaggio di benvenuto che recita “l’importante è vivere”. è una signora rivestita di tessuti artificiali, tra cui un’interessante maglietta turchese con maniche di tulle a motivi serpentati. porta tacchi vertiginosi, altissimi e sottilissimi. mi chiedo come faccia a ottemperare al dettato del suo telefonino: si può vivere su tacchi simili?
la mia dirimpettaia legge Henning Mankell, L’uomo che sorrideva; è tutta di cotone, camicia e pantaloni, e porta basse scarpe maschili allacciate. accanto a me c’è una ragazza in ballerine d’oro che legge i messaggi sul suo cellulare: ha le labbra carnose e quell’espressione di chirurgico sussiego proprio di chi teme che il suo viso si squarci da un momento all’altro. mi sposto, un po’ per paura un po’ perché voglio ficcare il naso nel libro in inglese di un giovanotto in camicia nera: legge, intento da quando è salito, Tom Rob Smith, Child 44, timbrato Biblioteca Tiraboschi Bergamo. una ragazza legge, di Debra Adelaide, La manutenzione della vita vera: porta delle scarpe bianche con una punta inverosimile, tutte cosparse di fiori in tinta applicati sulla tomaia, e siede accanto a un barbuto settantenne, molto elegante nella sua mise sportiva nei toni del beige e del blu, che tiene spiegata davanti a sé “la nazione” (ma esiste ancora?). mentre compio le mie operazioni di bibliospionaggio, un tale di fronte, identico a tom hanks in The Terminal, mi fissa insospettito: il suo sguardo non mi infastidisce, perché è serio, intento, con quel tanto di rigidità proprio alla gente di solidi principi. non sono riuscita a scoprire, infine, il segreto di una signora con un cerchietto sui capelli grigi tagliati a scodella, dimessa, occhiali spessissimi. legge un libro ricoperto di carta di Firenze bianca e verde, con un segnalibro coordinato, e sfugge, la dispettosa, a ogni tentativo di intrusione.
la mia dirimpettaia legge Henning Mankell, L’uomo che sorrideva; è tutta di cotone, camicia e pantaloni, e porta basse scarpe maschili allacciate. accanto a me c’è una ragazza in ballerine d’oro che legge i messaggi sul suo cellulare: ha le labbra carnose e quell’espressione di chirurgico sussiego proprio di chi teme che il suo viso si squarci da un momento all’altro. mi sposto, un po’ per paura un po’ perché voglio ficcare il naso nel libro in inglese di un giovanotto in camicia nera: legge, intento da quando è salito, Tom Rob Smith, Child 44, timbrato Biblioteca Tiraboschi Bergamo. una ragazza legge, di Debra Adelaide, La manutenzione della vita vera: porta delle scarpe bianche con una punta inverosimile, tutte cosparse di fiori in tinta applicati sulla tomaia, e siede accanto a un barbuto settantenne, molto elegante nella sua mise sportiva nei toni del beige e del blu, che tiene spiegata davanti a sé “la nazione” (ma esiste ancora?). mentre compio le mie operazioni di bibliospionaggio, un tale di fronte, identico a tom hanks in The Terminal, mi fissa insospettito: il suo sguardo non mi infastidisce, perché è serio, intento, con quel tanto di rigidità proprio alla gente di solidi principi. non sono riuscita a scoprire, infine, il segreto di una signora con un cerchietto sui capelli grigi tagliati a scodella, dimessa, occhiali spessissimi. legge un libro ricoperto di carta di Firenze bianca e verde, con un segnalibro coordinato, e sfugge, la dispettosa, a ogni tentativo di intrusione.
lunedì 11 maggio 2009
sì, viaggiare
"Quando ero giovane e avevo in corpo la voglia di essere da qualche parte, la gente matura m’assicurava che la maturità avrebbe guarito questa rogna. Quando gli anni mi dissero maturo, fu l’età di mezzo la cura prescritta. Alla mezza età mi garantirono che un’età più avanzata avrebbe calmato la mia febbre. E ora che ne ho cinquantotto sarà forse la mia vecchiaia a giovarmi. Nulla ha funzionato. Quattro rauchi fischi della sirena d’una nave continuano a farmi rizzare il pelo sul collo, e mettermi i piedi in movimento. Il rumore d’un aereo a reazione, un motore che si scalda, persino uno sbatter di zoccoli sul selciato suscitano l’antico brivido, la bocca secca, le mani roventi, lo stomaco in agitazione sotto la gabbia delle costole. In altre parole, non miglioro. Vagabondo ero, vagabondo resto. Temo che la malattia sia incurabile."
John Steinbeck, Viaggio con Charley, Rizzoli, Milano 1974 (tradotto da Luciano Bianciardi, mica bruscolini).
John Steinbeck, Viaggio con Charley, Rizzoli, Milano 1974 (tradotto da Luciano Bianciardi, mica bruscolini).
domenica 10 maggio 2009
first families – mother’s pride
ho letto con piacere e silenziosamente plaudito all’articolo di paolo giordano sulla “stampa” dello scorso sabato 9 maggio (La solitudine degli studenti di tedesco, p. 1), in cui sostanzialmente l’autore tesse l’elogio di scelte scolasticamente non omologate – in questo caso quella di optare per il tedesco e non l’inglese come seconda lingua –, in quanto semi che non mancheranno di offrire inaspettati frutti intellettuali e nella costruzione del sé. il riferimento è all’irresistibile chiamata a far gruppo che prende gli adolescenti, spesso impedendo loro di cogliere occasioni di imprevisto sviluppo. scrive tra l’altro giordano: “[…] la lettura, così spesso chiamata in causa con una retorica fastidiosa, costituisce un’opportunità reale, perché allarga la nostra esperienza, spesso così ‘ovvia’, ad altre, più straordinarie, lontane e imprevedibili”.
ora, nella mia famiglia c’è una adolescente che sin dalla culla è stata esposta alla carta stampata. diventata grande, questa ragazza ha imparato a usare internet: chatta con i suoi amici, guarda i suoi idoli pop su you tube, conosce i social network. usa anche word per scrivere le sue storie. in quarta elementare ha concepito un racconto epico, sfortunatamente mai sviluppato, intitolato La morte di Noemi e il sacrificio di Chiara (lo ammetto, è sempre stata un tantino bizzarra). e insomma quest’adolescentina era oggi nella casa di campagna di un’amica e a un certo punto mi ha telefonato dicendomi che non aveva portato con sé carta e penna e se per favore le prendevo un appunto circa una storia che le era venuta in mente, una roba horror ambientata in un ospedale. so cosa regalare all'atipica first baby per il suo compleanno.
ora, nella mia famiglia c’è una adolescente che sin dalla culla è stata esposta alla carta stampata. diventata grande, questa ragazza ha imparato a usare internet: chatta con i suoi amici, guarda i suoi idoli pop su you tube, conosce i social network. usa anche word per scrivere le sue storie. in quarta elementare ha concepito un racconto epico, sfortunatamente mai sviluppato, intitolato La morte di Noemi e il sacrificio di Chiara (lo ammetto, è sempre stata un tantino bizzarra). e insomma quest’adolescentina era oggi nella casa di campagna di un’amica e a un certo punto mi ha telefonato dicendomi che non aveva portato con sé carta e penna e se per favore le prendevo un appunto circa una storia che le era venuta in mente, una roba horror ambientata in un ospedale. so cosa regalare all'atipica first baby per il suo compleanno.
martedì 5 maggio 2009
le fragili spalle dei nostri ragazzi
“there’s a sucker born every minute”: questa concisa affermazione, che si potrebbe tradurre letteralmente “nasce un deficiente ogni minuto” e, per estensione, “la madre dei cretini è sempre incinta”, è attribuita al grande Phineas Taylor Barnum. e in effetti quel tanto di effetto circense si trova, in queste affermazioni del nostro ministro per la pubblica istruzione (la fonte è adnkronos):
"Con l’adozione dell’e-book diamo una mano alle famiglie e un sollievo ai nostri studenti. Il libro in versione digitale scaricabile da internet permetterà infatti ai genitori di risparmiare limitando al massimo la spesa per i libri di testo, e allo stesso tempo i nostri ragazzi non saranno più costretti ad andare a scuola caricando sulle spalle zainetti troppo pesanti".
"Proprio nei momenti di difficoltà economica come quelli che stiamo vivendo – rimarca il titolare del dicastero di viale Trastevere – è fondamentale andare incontro alle famiglie sfruttando tutte le opportunità che la tecnologia ci offre, e con l’E-Book le scuole potranno scegliere testi scaricabili dalla rete al posto del tradizionale libro stampato, più caro e anche più pesante per gli studenti".
"Già diverse case editrici – anticipa il ministro – hanno raccolto questa sfida didattica entrando nel mondo dell’E-book pubblicando in versione elettronica libri scolastici e anche famosi best-seller. Per rendere questo passaggio più semplice, il ministero sta lavorando per dotare le scuole di tutti gli strumenti necessari, primo tra tutti connessioni internet efficienti". Ma la novità che Mariastella Gelmini ribadisce è anche un’altra: "I testi adottati, sia in formato cartaceo che elettronico, non potranno essere cambiati per almeno 5 anni nella scuola primaria e 6 in quella secondaria. Questo per arginare quel fenomeno purtroppo molto diffuso delle nuove edizioni simili alle precedenti che le famiglie sono costrette ad acquistare buttando via libri quasi nuovi. Agli editori – sottolinea il ministro – resta comunque la possibilità di integrare i testi con appendici di aggiornamento".
un piccolo commento, per punti:
1. sento questa corbelleria del peso degli zaini da quando mia figlia faceva le elementari (durante gli anni dell’asilo la main issue era la temperatura dell’acqua dei rubinetti, da alcuni giudicata troppo bassa per le manine esangui dei nostri bambini). ore di riunioni di classe sprecate per parlare di questo argomento, tra le alte grida e i lamenti di madri prostrate. ma con tutte quelle belle attività sportive che praticano i giovani d’oggi, dal canottaggio nel naviglio alla biodanza, con tutto il plasmon che gli abbiamo dato, è possibile che non riescano a portare qualche chilo di libri per quindici minuti al giorno?
2. se c’è una voce di spesa che le famiglie non devono affatto limitare è quella per l’acquisto dei libri, scolastici o meno. ma che si faccia una campagna per limitare lo spreco di cibo o quello di cellulari superfichi lasciati nelle mani di adolescenti, per favore.
3. connessioni internet efficienti? nel mio caso familiare, sono dieci anni che i genitori (anch'io) di tutte le classi che mia figlia ha attraversato riforniscono periodicamente a spese proprie l’asilo, la scuola elementare, la scuola media di carta igienica, sapone e articoli vari che la scuola non riesce a comprare da sé. non mi risulta che ci sia un numero sufficiente di computer, nelle nostre scuole. figuriamoci se ce n’è uno per ogni alunno. la reale efficienza starebbe nel formare persone che formino persone col gusto della conoscenza, indipendentemente dal supporto.
4. ha pensato, il ministro, ai produttori di matite? come diavolo si fa a sottolineare, sull’e-book? certo, si può scaricare e stampare, e poi? questa cartaccia non rilegata si andrebbe ad aggiungere, almeno nel caso delle scuole elementari e medie, a quella pletora di schede mal tenute, con tutti quei quiz e quegli spazi per le crocette che sollevano lo studente pure dal compito di scrivere una frase compiuta. a furia di riempire puntini e scegliere tra a, b e c questi sventurati manco a scrivere in corsivo, imparano.
fine del cahier de doléances.
"Con l’adozione dell’e-book diamo una mano alle famiglie e un sollievo ai nostri studenti. Il libro in versione digitale scaricabile da internet permetterà infatti ai genitori di risparmiare limitando al massimo la spesa per i libri di testo, e allo stesso tempo i nostri ragazzi non saranno più costretti ad andare a scuola caricando sulle spalle zainetti troppo pesanti".
"Proprio nei momenti di difficoltà economica come quelli che stiamo vivendo – rimarca il titolare del dicastero di viale Trastevere – è fondamentale andare incontro alle famiglie sfruttando tutte le opportunità che la tecnologia ci offre, e con l’E-Book le scuole potranno scegliere testi scaricabili dalla rete al posto del tradizionale libro stampato, più caro e anche più pesante per gli studenti".
"Già diverse case editrici – anticipa il ministro – hanno raccolto questa sfida didattica entrando nel mondo dell’E-book pubblicando in versione elettronica libri scolastici e anche famosi best-seller. Per rendere questo passaggio più semplice, il ministero sta lavorando per dotare le scuole di tutti gli strumenti necessari, primo tra tutti connessioni internet efficienti". Ma la novità che Mariastella Gelmini ribadisce è anche un’altra: "I testi adottati, sia in formato cartaceo che elettronico, non potranno essere cambiati per almeno 5 anni nella scuola primaria e 6 in quella secondaria. Questo per arginare quel fenomeno purtroppo molto diffuso delle nuove edizioni simili alle precedenti che le famiglie sono costrette ad acquistare buttando via libri quasi nuovi. Agli editori – sottolinea il ministro – resta comunque la possibilità di integrare i testi con appendici di aggiornamento".
un piccolo commento, per punti:
1. sento questa corbelleria del peso degli zaini da quando mia figlia faceva le elementari (durante gli anni dell’asilo la main issue era la temperatura dell’acqua dei rubinetti, da alcuni giudicata troppo bassa per le manine esangui dei nostri bambini). ore di riunioni di classe sprecate per parlare di questo argomento, tra le alte grida e i lamenti di madri prostrate. ma con tutte quelle belle attività sportive che praticano i giovani d’oggi, dal canottaggio nel naviglio alla biodanza, con tutto il plasmon che gli abbiamo dato, è possibile che non riescano a portare qualche chilo di libri per quindici minuti al giorno?
2. se c’è una voce di spesa che le famiglie non devono affatto limitare è quella per l’acquisto dei libri, scolastici o meno. ma che si faccia una campagna per limitare lo spreco di cibo o quello di cellulari superfichi lasciati nelle mani di adolescenti, per favore.
3. connessioni internet efficienti? nel mio caso familiare, sono dieci anni che i genitori (anch'io) di tutte le classi che mia figlia ha attraversato riforniscono periodicamente a spese proprie l’asilo, la scuola elementare, la scuola media di carta igienica, sapone e articoli vari che la scuola non riesce a comprare da sé. non mi risulta che ci sia un numero sufficiente di computer, nelle nostre scuole. figuriamoci se ce n’è uno per ogni alunno. la reale efficienza starebbe nel formare persone che formino persone col gusto della conoscenza, indipendentemente dal supporto.
4. ha pensato, il ministro, ai produttori di matite? come diavolo si fa a sottolineare, sull’e-book? certo, si può scaricare e stampare, e poi? questa cartaccia non rilegata si andrebbe ad aggiungere, almeno nel caso delle scuole elementari e medie, a quella pletora di schede mal tenute, con tutti quei quiz e quegli spazi per le crocette che sollevano lo studente pure dal compito di scrivere una frase compiuta. a furia di riempire puntini e scegliere tra a, b e c questi sventurati manco a scrivere in corsivo, imparano.
fine del cahier de doléances.
lunedì 4 maggio 2009
un tram che si chiama desiderio (di lettori)
stamattina sul tram numero due di fronte a me c'è una coppia di attempati signori che sembra uscita da un telefilm dell'ispettore derrick. lui, giacchetta di velluto e baffoni bianchi, mi ricorda un inquietante cameriere della birreria augustiner, sinistro nella sua normale germanità; lei ha un caschetto candido con la frangetta e gli occhi chiari e cattivi. ma, quel che è peggio, stamattina, sul due, non legge proprio nessuno.
professioni oscure - il redattore editoriale
ricevo dalla collega Amanda Robinson, editor della Pyramid Books, e pubblico volentieri.
L’amorevole cura
Questa cura della bellezza esteriore che mi rimproverate è per me un metodo. Quando trovo una brutta assonanza o una ripetizione in una delle mie frasi, sono sicuro che sto sguazzando nel falso.
Gustave Flaubert
Il lavoro editoriale è attualmente svolto con tempi e criteri che si adattano faticosamente alla sua natura. Ciò che dovrebbe lentamente maturare e altrettanto lentamente sedimentare, essere ponderato, sottoposto alla lettura e alla visione altrui perché ne siano individuati i punti di debolezza viene in genere letteralmente scaraventato in un computer perché sia lavorato e prodotto e stampato nel più breve tempo possibile.
Nei casi, sempre più frequenti, in cui è obbligato a licenziare un volume che riconosce come manchevole, un sentimento di grande frustrazione assale il redattore coscienzioso. Sempre più spesso il tempo per un controllo accurato è veramente ridotto. Nonostante la fallace impressione di efficienza prodotta dai mezzi tecnologici, il computer fa miracoli solo quando si tratta di cambiare il tipo di virgolette o di correggere la grafia di un nome che compare costantemente errato nel testo: ma i suoi magici poteri si fermano qui, pertanto la fase della cura e del controllo umano rimane imprescindibile.
Chi realizza libri, e lo fa seriamente, ha una notevole responsabilità nei confronti del pubblico al quale il libro che ha curato si rivolge. Non si occupa solo di maiuscole e minuscole (tuttavia conosce l’importanza di un corsivo).
Questo professionista ha il dovere del dubbio: il suo compito è, ove sia necessario, impartire un ordine, il cui scopo è la chiarezza. È (dovrebbe essere) in qualche modo la vestale del libro: custode attivo, però, che deve risvegliare dubbi, individuare possibili mende, riesplorare instancabilmente quanto è destinato al lettore. Un’idea, il ricordo di un’omissione, la soluzione di un problema di stile possono accompagnarlo anche al momento di appoggiare la testa sul cuscino.
Il redattore deve perlopiù ritagliare all’interno dei folli tempi tecnici quelli del controllo sul testo. Per tentare di conservare la propria lucidità e di assicurare un livello qualitativo almeno medio – ma si tenda all’alto, ove possibile –, perciò, è necessario acquistare la capacità di porsi allo stesso tempo, con qualche stratagemma, all’interno e all’esterno dell’ingranaggio editoriale.
Nel corso della produzione di un libro esiste un periodo di sospensione tra il momento in cui si riceve il materiale su cui lavorare e quello in cui si è invitati a fornire uno schema dei tempi. Una volta stabilita la data in cui si dovrà consegnare il volume pronto per la stampa, l’opera della produzione si riduce normalmente a una serie di frammenti d'intervento inseriti qua e là, quasi di soppiatto, nel corso delle ultime fasi della lavorazione. Quando un libro è in stampa, in quel periodo di vacatio che precede l’inizio del lavoro successivo, nell’animo di chi lo ha realizzato permane un senso di serpeggiante, colpevole insoddisfazione: si sarebbe potuto eseguire controlli più accurati, rileggere le bozze collazionate, comunicare all’autore qualche dubbio in più.
A forza d'interpolazioni Shakespeare è giunto sino a noi: però...
È desolante constatare come, addirittura anche in libri dedicati agli scrittori e alla scrittura – di cui sarebbe facile riportare vari esempi anche recenti – si rilevino errori nella grafia dei nomi propri, costruzioni sciatte, in una parola contraddizioni grottesche. I recensori lamentano spesso, dalle rubriche dedicate ai libri dei settimanali o dagli inserti culturali dei quotidiani, la sciattezza formale dei testi pubblicati: questa scarsa cura è dovuta in gran parte al fatto che prima i manoscritti e poi le bozze sono spesso letti in maniera troppo affrettata, e da una sola persona.
È arrivato ora il momento di spezzare una lancia in favore di una preziosissima categoria che va purtroppo scomparendo, quella dei correttori di bozze. Un'inesplicabile politica degli editori demanda sempre più spesso il compito un tempo appannaggio dei correttori al redattore stesso; il quale, privato di questo fondamentale “terzo occhio”, non riesce quasi mai, dal punto di vista dei refusi, a licenziare un volume che ne sia privo.
Motivi per l’esistenza del redattore
Un redattore accorto deve naturalmente avere sempre presente la fonte (sensibilità nei confronti dell’autore e della sua parola) e la destinazione (sensibilità nei confronti del lettore) della pagina su cui si accinge a lavorare.
L’autore può sbagliare
Non è sempre detto che l’autore di uno scritto, soprattutto quando il testo è d’occasione (ad esempio in concomitanza con l’apertura di una mostra, sul relativo catalogo), o comunque quando non ha avuto la possibilità di una opportuna sedimentazione, riesca subito ad avere una visione d’insieme del suo lavoro: non è sempre detto che l’autore abbia posto sufficiente attenzione alla grafia dei nomi; una data o una citazione possono essere imprecise o sbagliate. L’autore non è necessariamente capace di rilevare le eventuali incongruenze in ciò che ha scritto: alla fine della complessa opera di architettura rappresentata dalla costruzione di un testo, perciò, il redattore è come l’ingegnere capo che verifica la stabilità delle fondamenta, l’armonia delle proporzioni, l’impatto finale su chi abiterà o utilizzerà l’edificio.
La pausa, la rimeditazione hanno un valore decisivo riguardo al contenuto e allo stile, quindi all’efficacia della pagina. Ecco allora che si chiarisce l’assoluta necessità di una collaborazione strettissima tra autore e redattore, il cui unico scopo deve essere la cura del testo, la sua rifinitura in tutti gli aspetti. Il redattore è stato all’esterno della genesi del testo, non ha partecipato alla fatica di chi lo ha elaborato: è l’osservatore critico intermedio che sta tra la scrittura e la pubblicazione.
Nel novero degli autori con i quali si ha l’occasione di collaborare, esiste una serie di categorie di cui dà conto nella seguente, sia pur grossolana, tripartizione.
L’autore flessibile
È quello che ha più vivo il senso della perfettibilità del testo; dotato di elasticità e senso dell’autocritica, accoglie di buon grado, spesso modificando la sua parola, dubbi e proposte del redattore. È una persona preziosa, dalla quale il redattore impara invariabilmente qualcosa e che riempie di senso il suo mestiere.
L’autore semirigido
Un celebre storico dell’arte consegnava i suoi testi in casa editrice corredati in testa dalla dicitura “ne varietur”. Terrore della redazione, il suddetto storico, adeguatamente sollecitato, si rivelò uomo disponibile alla discussione e disposto, quando era il caso, a modificare il suo testo.
L’autore rigido
Si irrita oltremodo quando gli viene fatta notare qualche incongruenza o inesattezza. In moltissimi casi, dopo l’intervento del redattore, ripristina il suo testo esattamente com’era, polemizzando persino sulle virgolette e rifiutando qualunque confronto con il suo interlocutore.
In quest’ultimo caso le modalità e i limiti dell’intervento a carico della casa editrice saranno discussi di volta in volta, a seconda di valutazioni d’opportunità.
Attenzione: il primo impaginato di un volume – in particolare di un libro illustrato, quando testo e immagini sono stati collocati nelle loro giuste sedi – rimanda l’ingannevole impressione di un lavoro ormai concluso. È in questa fase che l’attenzione tende a calare, che soprattutto il redattore è indotto a considerare il suo impegno quasi terminato.
Ciò che sa di definitivo è, al contrario, ancora del tutto perfettibile: a voi.
titolo originale: In Praise of the Copyeditor; la traduzione è mia.
L’amorevole cura
Questa cura della bellezza esteriore che mi rimproverate è per me un metodo. Quando trovo una brutta assonanza o una ripetizione in una delle mie frasi, sono sicuro che sto sguazzando nel falso.
Gustave Flaubert
Il lavoro editoriale è attualmente svolto con tempi e criteri che si adattano faticosamente alla sua natura. Ciò che dovrebbe lentamente maturare e altrettanto lentamente sedimentare, essere ponderato, sottoposto alla lettura e alla visione altrui perché ne siano individuati i punti di debolezza viene in genere letteralmente scaraventato in un computer perché sia lavorato e prodotto e stampato nel più breve tempo possibile.
Nei casi, sempre più frequenti, in cui è obbligato a licenziare un volume che riconosce come manchevole, un sentimento di grande frustrazione assale il redattore coscienzioso. Sempre più spesso il tempo per un controllo accurato è veramente ridotto. Nonostante la fallace impressione di efficienza prodotta dai mezzi tecnologici, il computer fa miracoli solo quando si tratta di cambiare il tipo di virgolette o di correggere la grafia di un nome che compare costantemente errato nel testo: ma i suoi magici poteri si fermano qui, pertanto la fase della cura e del controllo umano rimane imprescindibile.
Chi realizza libri, e lo fa seriamente, ha una notevole responsabilità nei confronti del pubblico al quale il libro che ha curato si rivolge. Non si occupa solo di maiuscole e minuscole (tuttavia conosce l’importanza di un corsivo).
Questo professionista ha il dovere del dubbio: il suo compito è, ove sia necessario, impartire un ordine, il cui scopo è la chiarezza. È (dovrebbe essere) in qualche modo la vestale del libro: custode attivo, però, che deve risvegliare dubbi, individuare possibili mende, riesplorare instancabilmente quanto è destinato al lettore. Un’idea, il ricordo di un’omissione, la soluzione di un problema di stile possono accompagnarlo anche al momento di appoggiare la testa sul cuscino.
Il redattore deve perlopiù ritagliare all’interno dei folli tempi tecnici quelli del controllo sul testo. Per tentare di conservare la propria lucidità e di assicurare un livello qualitativo almeno medio – ma si tenda all’alto, ove possibile –, perciò, è necessario acquistare la capacità di porsi allo stesso tempo, con qualche stratagemma, all’interno e all’esterno dell’ingranaggio editoriale.
Nel corso della produzione di un libro esiste un periodo di sospensione tra il momento in cui si riceve il materiale su cui lavorare e quello in cui si è invitati a fornire uno schema dei tempi. Una volta stabilita la data in cui si dovrà consegnare il volume pronto per la stampa, l’opera della produzione si riduce normalmente a una serie di frammenti d'intervento inseriti qua e là, quasi di soppiatto, nel corso delle ultime fasi della lavorazione. Quando un libro è in stampa, in quel periodo di vacatio che precede l’inizio del lavoro successivo, nell’animo di chi lo ha realizzato permane un senso di serpeggiante, colpevole insoddisfazione: si sarebbe potuto eseguire controlli più accurati, rileggere le bozze collazionate, comunicare all’autore qualche dubbio in più.
A forza d'interpolazioni Shakespeare è giunto sino a noi: però...
È desolante constatare come, addirittura anche in libri dedicati agli scrittori e alla scrittura – di cui sarebbe facile riportare vari esempi anche recenti – si rilevino errori nella grafia dei nomi propri, costruzioni sciatte, in una parola contraddizioni grottesche. I recensori lamentano spesso, dalle rubriche dedicate ai libri dei settimanali o dagli inserti culturali dei quotidiani, la sciattezza formale dei testi pubblicati: questa scarsa cura è dovuta in gran parte al fatto che prima i manoscritti e poi le bozze sono spesso letti in maniera troppo affrettata, e da una sola persona.
È arrivato ora il momento di spezzare una lancia in favore di una preziosissima categoria che va purtroppo scomparendo, quella dei correttori di bozze. Un'inesplicabile politica degli editori demanda sempre più spesso il compito un tempo appannaggio dei correttori al redattore stesso; il quale, privato di questo fondamentale “terzo occhio”, non riesce quasi mai, dal punto di vista dei refusi, a licenziare un volume che ne sia privo.
Motivi per l’esistenza del redattore
Un redattore accorto deve naturalmente avere sempre presente la fonte (sensibilità nei confronti dell’autore e della sua parola) e la destinazione (sensibilità nei confronti del lettore) della pagina su cui si accinge a lavorare.
L’autore può sbagliare
Non è sempre detto che l’autore di uno scritto, soprattutto quando il testo è d’occasione (ad esempio in concomitanza con l’apertura di una mostra, sul relativo catalogo), o comunque quando non ha avuto la possibilità di una opportuna sedimentazione, riesca subito ad avere una visione d’insieme del suo lavoro: non è sempre detto che l’autore abbia posto sufficiente attenzione alla grafia dei nomi; una data o una citazione possono essere imprecise o sbagliate. L’autore non è necessariamente capace di rilevare le eventuali incongruenze in ciò che ha scritto: alla fine della complessa opera di architettura rappresentata dalla costruzione di un testo, perciò, il redattore è come l’ingegnere capo che verifica la stabilità delle fondamenta, l’armonia delle proporzioni, l’impatto finale su chi abiterà o utilizzerà l’edificio.
La pausa, la rimeditazione hanno un valore decisivo riguardo al contenuto e allo stile, quindi all’efficacia della pagina. Ecco allora che si chiarisce l’assoluta necessità di una collaborazione strettissima tra autore e redattore, il cui unico scopo deve essere la cura del testo, la sua rifinitura in tutti gli aspetti. Il redattore è stato all’esterno della genesi del testo, non ha partecipato alla fatica di chi lo ha elaborato: è l’osservatore critico intermedio che sta tra la scrittura e la pubblicazione.
Nel novero degli autori con i quali si ha l’occasione di collaborare, esiste una serie di categorie di cui dà conto nella seguente, sia pur grossolana, tripartizione.
L’autore flessibile
È quello che ha più vivo il senso della perfettibilità del testo; dotato di elasticità e senso dell’autocritica, accoglie di buon grado, spesso modificando la sua parola, dubbi e proposte del redattore. È una persona preziosa, dalla quale il redattore impara invariabilmente qualcosa e che riempie di senso il suo mestiere.
L’autore semirigido
Un celebre storico dell’arte consegnava i suoi testi in casa editrice corredati in testa dalla dicitura “ne varietur”. Terrore della redazione, il suddetto storico, adeguatamente sollecitato, si rivelò uomo disponibile alla discussione e disposto, quando era il caso, a modificare il suo testo.
L’autore rigido
Si irrita oltremodo quando gli viene fatta notare qualche incongruenza o inesattezza. In moltissimi casi, dopo l’intervento del redattore, ripristina il suo testo esattamente com’era, polemizzando persino sulle virgolette e rifiutando qualunque confronto con il suo interlocutore.
In quest’ultimo caso le modalità e i limiti dell’intervento a carico della casa editrice saranno discussi di volta in volta, a seconda di valutazioni d’opportunità.
Attenzione: il primo impaginato di un volume – in particolare di un libro illustrato, quando testo e immagini sono stati collocati nelle loro giuste sedi – rimanda l’ingannevole impressione di un lavoro ormai concluso. È in questa fase che l’attenzione tende a calare, che soprattutto il redattore è indotto a considerare il suo impegno quasi terminato.
Ciò che sa di definitivo è, al contrario, ancora del tutto perfettibile: a voi.
titolo originale: In Praise of the Copyeditor; la traduzione è mia.
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