venerdì 14 agosto 2009

dio conservi in eterno le anime di saul e di abe


sempre a proposito di amicizie virili (vedi post del 31 luglio), davvero adorerei intrattenerne una come quella tra chick e il professor abe ravelstein. ravelstein rispecchia l’approccio ideale a una vita feconda (certo, il grande professore sta morendo, ma la cosa è splendidamente secondaria). ravelstein è una lettura ideale per chi ha fatto le vacanze a luglio e, mentre al tavolo di lavoro ascolta il respiro della città momentaneamente decongestionata, aspetta il ritorno di qualche caro amico che è andato a farle in agosto.

qualche appetizer, e che il dio d’israele abbia in gloria l’anima del nostro amico saul:

“Nessuno, prima che diventasse ricco, aveva mai dubitato che Ravelstein avesse bisogno di vestiti Armani o di borse Vuitton, di sigari cubani introvabili negli Stati Uniti, di accessori Dunhill, di penne Mont Blanc d’oro massiccio o di bicchieri Baccarat o Lalique nei quali servire il vino o farselo servire. […] Ebbene, i suoi amici, colleghi, discepoli e ammiratori non avrebbero più dovuto allargare i cordoni della borsa per pagargli quelle lussuose abitudini. […] Ora Ravelstein era molto ricco. […] Aveva scritto un libro […] vivace, intelligente, bellicoso, che si era venduto e si vendeva ancora in entrambi gli emisferi e da ambo le parti dell’equatore. […] niente facili concessioni, né volgarizzazioni, né furbizie da intellettuale, né contrizioni, né arie aristocratiche. […] Il suo intelletto lo aveva reso milionario. Non è una cosa da poco diventare ricchi e famosi dicendo esattamente quello che si pensa: e dicendolo con le proprie parole, senza compromessi”.

“[…] eravamo amici intimi, i due amici più intimi che si potessero trovare. Ciò di cui ridevamo era la morte e, ovviamente, la morte affina il senso del comico”.

“Ci voleva il genio del capitalismo per trasformare pensieri, opinioni e insegnamenti in un prodotto di grande valore. Tenete presente che Ravelstein era un professore. Non era uno di quei conservatori che idolatrano il mercato libero. […] Era un educatore. Raccolte in un libro, le sue idee lo resero assurdamente ricco”.

“Diceva agli studenti che erano venuti all’università per imparare qualcosa, e ciò significava che dovevano disfarsi delle opinioni dei loro genitori. Li avrebbe indirizzati verso una vita più nobile, ricca di varietà e diversità, governata dalla razionalità: tutto tranne l’arida natura”.

“Ciò che, secondo Ravelstein, rendeva l’adulterio un peccato veniale era il fatto che la pena delle nostre passioni c’incalza e ci sprona senza pietà”.

[…] la campagna non gli piaceva. Sosteneva, ripetendo l’opinione di Socrate nel Fedro, che un albero, così bello da vedere, non diceva una parola, e che la conversazione era possibile solo in città, tra gli uomini. […] Mangiava volentieri un’insalata, ma non vedeva l’utilità di meditarvi sopra”.

“Come ho detto, era il nostro sense of humor che ci univa, ma questa sarebbe un’interpretazione anemica e sbiadita. Il tonico che ci ringalluzziva era una sorta di profonda intesa, una chiassosa allegria, un ‘immenso giubilo’: e cercargli una definizione più precisa sarebbe cosa vana”.

“‘Tutte le persone istruite commettono lo stesso sbaglio, credono che la natura e la solitudine gli facciano bene. La natura e la solitudine sono un veleno’, disse Ravelstein. ‘Il povero Battle e sua moglie sono depressi dai boschi’”.

“Molto semplicemente, Gilda Flood e suo marito si amavano. Ravelstein apprezzava questo ingenuo ma indispensabile sentimento più di ogni altro impulso umano”.

“Era considerato, per usare una parola del passato, un invertito. Non era 'gay'. Disprezzava l’omosessualità giocherellona e aveva una pessima opinione dell’‘orgoglio gay’”.

“‘Questo è un posto bellissimo e tranquillo, te lo concedo’, disse Ravelstein. ‘Ma puoi spiegarmi cosa c’entra la natura con te, che sei un tipico ebreo di città? Tu non sei un neo-trascendentalista’”.

duecentosessanta pagine di – come direbbe il mio amico ray carver – “pure cream”.

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