“Regna la leggenda secondo cui basta imparare il trucco, e subito ecco dei testi di grande valore poetico uscire dalla penna di uno qualsiasi come inarrestabile diarrea. Col pretesto che si tratta di surrealismo, il primo cane che arriva si crede autorizzato a uguagliare le proprie porcheriole alla vera poesia.”
“Un artefatto deve possedere, a mio avviso, tre qualità essenziali […] La prima di queste qualità è l’originalità, un prerequisito necessario affinché l’opera d’arte svolga il suo compito di ampliare i nostri orizzonti visivi e mentali […] La seconda qualità è data dal fatto che la creazione di un artefatto deve essere motivata da un irresistibile bisogno interiore. L’artista deve obbedire a un’impetuosa pulsione emotiva e cognitiva che lo porta a esplorare ogni cosa […] Ancora una volta, l’affermazione di autenticità da sola non basta. […] La seconda qualità richiede che la sensibilità dell’artista sia temperata da una conoscenza altrettanto profonda. La terza qualità è la più difficile, sia da descrivere che da ottenere. L’opera d’arte non solo deve presentarci una nuova realtà, ed esser frutto di una necessità esistenziale, ma deve anche emanare un’aura poetica. […] quando osservo un’opera d’arte, non sono interessato tanto al suo richiamo estetico, quanto piuttosto al suo valore poetico, che gli conferisce una determinata qualità artistica.”
il primo era Louis Aragon, Traité du style, 1928; il secondo, molto meno virulento ma non meno cristallino, era Arturo Schwarz, nell’introduzione al suo Israele. Arte contemporanea, 2007. Risalta, in entrambi gli scritti, una comune esaltazione della verità nella molla che spinge alla creazione artistica, una verità non disgiunta da sapienza e impegno e, nel caso di schwarz, da un implicito invito alla conoscenza di sé, obbligatorio per l’artista. la biografia di arturo schwarz è stata sufficientemente delineata qui; a noi basti ricordare che è nato ad alessandria d’egitto il 3 febbraio 1924 e che, oltre a essere saggista, poeta e storico dell’arte, è stato editore e libraio. in questa duplice veste, nella sua “Libreria Galleria Schwarz” – fondata nel 1954 – si è occupato di avanguardie, in special modo di dadaismo e surrealismo, organizzando mostre di artisti perlopiù inediti in italia e pubblicando testi sino ad allora sconosciuti. collezionista, ha donato 450 pezzi della sua raccolta alla galleria nazionale d’arte moderna di roma, mentre i 40.000 volumi della sua biblioteca, che comprendono importantissimi documenti dadaisti e surealisti, sono destinati a israele. la storia di queste donazioni si può leggere in un’intervista a schwarz di paola dècina lombardi, pubblicata qui.
veniamo ora al nostro libraio del passato prossimo. nonostante schwarz non eserciti più il suo mestiere, l’ho intervistato chiedendogli di rispondere “come se”. l’autore ha acconsentito con molta gentilezza, permettendomi di tracciare un bilancio della sua esperienza, interessantissimo da confrontare con lo status quo e fondamentale anche per restituire un’aria di livello che fatico a ritrovare nel panorama attuale. ovviamente dal mio parzialissimo punto di vista.
la parola va adesso a schwarz e alla sua storia di intellettuale milanese.
1. perché lei fa il libraio?
Premetto che ho 85 anni e che sono quindi un ex libraio; se ho fatto, in gioventù, questo mestiere è perché ritengo che il prodotto di consumo più importante al mondo (salvo cibo e medicinali) sia il libro in quanto veicolo di cultura. Non a caso, Goebbels era solito dire: “Quando sento la parola cultura porto la mano alla pistola”. La mia prima libreria, in Alessandria d’Egitto – negli anni 1945-1947 – dove ho vissuto sino all’età di 25 anni, si chiamava, non a caso, “Libreria Cultura” (in francese, perché i libri che vendevo erano tutti in lingua francese o inglese). Ho sperimentato personalmente l’odio dei regimi totalitari per la cultura: Ero specializzato nella saggistica (in particolare filosofia, storia, antropologia, sociologia, psicologia) e nella letteratura (poesia, narrativa, ecc.) ma vendevo, tra gli altri, anche i libri dei classici del marxismo e del trotzkismo, dato che ero il rappresentante delle case editrici dei partiti comunisti francesi, inglesi e americani come di quelle dei gruppi trotzkisti. Fui arrestato nel 1948, passai un anno nella prigione di Hadra e un altro anno nel campo di concentramento di Abukir, da dove fui espulso in Italia nell’aprile del 1949. Nel 1954 riuscii a riaprire una libreria (in via Sant’Andrea, a Milano), con gli stessi intenti, ma dato che ero molto rigoroso nelle mie scelte (non trattavo la scolastica e mi rifiutavo di vendere libri che non fossero di alta qualità letteraria o che ritenevo di poca importanza dal punto di vista culturale) non ebbi grande successo, nonostante la mia libreria fosse frequentata dall’élite del mondo culturale non solo milanese (Carlo Bo, Raffaele Carrieri, Elio Vittorini, ecc. erano tra gli habitué più fedeli). Per questa ragione all’attività di libraio affiancai, gradatamente, quella di gallerista (facevo già parte del gruppo surrealista parigino) e oltre a vendere i libri dei poeti, cominciai a vendere anche opere degli artisti surrealisti, nonché di artisti della mia generazione, allora totalmente sconosciuti (spesso era la prima mostra che allestivano), che si chiamavano: Arman, Baj, Dangelo, Klapheck, Spoerri, ecc.
2. qual è la parte del suo lavoro che le procura maggiore soddisfazione?
Quella di potere leggere ed essere al corrente – attraverso tutte le pubblicazioni specializzate – della produzione letteraria e culturale su scala mondiale; e poi, di potere dare dei consigli utili ai frequentatori della mia libreria.
3. quanto conta il consiglio del libraio per chi frequenta la sua libreria?
Era fondamentale.
4. quali sono le iniziative che lei mette in atto o conta di intraprendere per coltivare, aumentare, consolidare il numero di lettori che si rivolge a lei?
Quando avevo la libreria organizzavo cicli di conferenze e serate di presentazione delle novità libraie più interessanti, spesso con la presenza dell’autore.
5. qual è la sua proposta (o il suo sogno) per rendere Milano una “città di libri”?
Tornare all’esempio francese, ma ci vuole molto coraggio e non so se il pubblico milanese è pronto; comunque, oltre a organizzare attività culturali (come facevo io e come ancora fanno la libreria Utopia e la FNAC), organizzare, come in Francia dove esistono molte piccole librerie di quartiere, una rete di librerie specializzate dove uno può trovare, ad esempio, TUTTO quello che riguarda una o più discipline umanistiche. A Berkeley, dove insegnavo all’università della California, esistono librerie dove, per esempio, puoi trovare le opere COMPLETE dei giganti del pensiero; da Spinoza, Kant, Hegel, Marx a Freud, Jung, Reich ecc., ai classici greci e latini. Librerie che sono VERAMENTE un tempio della cultura. Cosa che manca totalmente in Italia – ma mi accontento se penso all’Inghilterra dove la situazione è MOLTO peggiore, e dove la stragrande maggioranza dei librai non merita questo nome: si limitano a vendere libri sul giardinaggio, sul “fai-da-te”, sui vari giochi di società, sullo sport, ecc. La volgarizzazione che impera nella stampa e nei media ha contagiato anche l’attività libraria. Devo dire che non sono molto ottimista sull’avvenire di questa nostra bellissima professione. Anche perché il reddito del lavoro del libraio è molto basso per via di una perversa organizzazione della distribuzione dei libri (il distributore si prende dal 50 al 55% del prezzo di copertina lasciando al libraio un povero 27-30%). Tolte le spese dell’affitto (sempre crescente e a volte insostenibile, tale da obbligare spesso il libraio a chiudere bottega), del personale, delle tasse, rimane sì e no un 8 o 10% di utile sul prezzo di copertina. Se si aggiunge il fatto che molti librai sono costretti a concedere uno sconto del 10% (che dovrebbe essere proibito e illegale) per accaparrarsi il cliente, non rimane praticamente nessun utile! Vi è poi un altro fattore che peggiora la situazione ed è la tendenza di importanti case editrici (principalmente Feltrinelli, Mondadori e Rizzoli) di allestire le proprie librerie in luoghi centralissimi; anche per gli importanti mezzi finanziari dei quali dispongono, e il conseguente imponente assortimento, esse costituiscono una concorrenza molto agguerrita. Temo che il piccolo libraio conoscitore e consigliere dei suoi clienti sia una specie in via di estinzione. Difficile proporre un rimedio.
Arturo Schwarz, gennaio 2009
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