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sabato 17 luglio 2010

qui finis terrae_2_vacances, j’oublie tout



innanzitutto la colonna sonora.
qui, a manduria – frazione specchiarica, esiste un unico ristorante condotto da giorgio, che si intitola “da giorgio”, a conduzione implacabilmente familiare. dopo una vita di umilazioni come fremdarbeiter, giorgio è tornato dalla germania con una moglie tedesca e due figli tedeschi dal pesante accento specchiarichese. da giorgio si fa colazione, pranzo, merenda e cena, e in particolare il momento del caffè riserva una sorpresa ogni giorno. chi scrive non gradisce l’espresso, pertanto chiede – cosciente dell’eventualità di risultare petulante ma impossibilitata a fare altrimenti – “un caffè americano in tazza grande con acqua a parte, per favore”. questa richiesta, al bar ristorante “da giorgio”, viene soddisfatta in misura e forma variabili, a seconda del preparatore: questi può essere giorgio in persona – che ficca due espressi in una tazza da cappuccino e sorvola sulla richiesta di acqua calda a parte; la figlia di giorgio (un’avvenente ragazza con lunghissime unghie laccate di turchese, amante di bluse con scollo all’americana e reggiseni colorati platealmente in vista) – che manifesta onestamente le proprie difficoltà e ti chiede dove deve mettere l’acqua; dal figlio di giorgio, di nome giorgio egli stesso – che interpreta la richiesta di acqua calda a parte consegnandoti un comune bicchiere di vetro colmo d’acqua bollente, però impossibile da maneggiare perché giorgio junior non ti fornisce contestualmente una presina; da una lavorante di giorgio, forse quella con maggiore senso pratico: ficca un espresso in una tazza da cappuccino, che poi riempie d’acqua calda fino all’orlo. questa è la parte più lunga dell’operazione breakfast. segue la consegna del croissant al cioccolato: niente a che vedere con gli aerei prodotti da forno dei bar milanesi ma una mezzaluna pesante, unta, ripiena di ripieno all’inverosimile. chi scrive poi trasporta tazza e dolce sulla veranda, di fronte al mare, dove chiede a un vecchio signore impegnato in una discussione con una mezza dozzina di vecchi signori il permesso di occupare un pezzo del tavolo di plastica dove sono appoggiati un mazzo di chiavi e un pacchetto di muratti (sì, esistono ancora). il signore risponde invariabilmente di sì e allora chi scrive reinforca gli occhiali da sole (un paio di fichissimi persol vintage che resistono persino all’aggressivissimo salmastro di questo mare paracaraibico) e si appresta al pasto mattutino immergendosi pigramente nei discorsi del ciarliero circolo di gerontoconvenuti. e sono resoconti di vicende occorse a parenti, impallinati per sbaglio in giovane età con qualche fucile da caccia e sopravvissuti finora con i pallini imprigionati sotto la pelle; descrizioni minuziose dell’edificazione di cisterne per la raccolta dell’acqua (che qui, dal rubinetto, non si può bere), con scaramucce circa l’efficacia di questo o quel materiale. un disincantato colloquiante arriva a sostenere che non si costruiscono più cisterne come quelle di una volta.
la frazione specchiarica è vicina alla fine, nel senso che, proseguendo sulla litoranea, ci si trova nel salento dei tarantolati, giù sino alla fine della penisola, a santa maria di leuca. se c’è una cosa meravigliosa, qui, è che, non essendoci nulla da fare, non si fa nulla. gli adolescenti, adolescentina compresa, nulleggiano sui muretti, mentre gli autoctoni si raccolgono in un cerchio di seggiole appena fuori dall’uscio delle case, discutendo di nulla con molta allegria. della sveglia, la mattina, non c’è alcun bisogno, poiché a partire dalle otto cominciano a scorrazzare per le viuzze camioncini provvisti di ogni ben di dio – materassi, cozze, pesce fresco, scarpiere, comodini e, nel più bello di tutti, i gelati. ogni camioncino diffonde, senza alcuna concessione a spersonalizzanti globalizzazioni, la registrazione di una voce con accento locale magnificante la merce da piazzare. nonostante mi piaccia dormire fino a tardi, sono deliziata dal passaggio di questi mezzi parlanti e avanzo un unico dubbio: bene per cozze e gelati, ma con quale frequenza le signore di specchiarica cambiano scarpiere e materassi? che il luogo sia preda di un’inconsueta e compulsiva frenesia consumistico-igienica, di un collettivo super ballo di san vito?
tra gli altri servizi no cost assicurati in questo estremo lembo d’italia, oltre alla sveglia, segnalo, sulla spiaggia, le conchiglie già bucate, pronte per essere usate a scopi ornamentali da eventuali cinquantenni in preda a estri di giovanilismo o di pinkettismo (vedi post del 9 giugno 2009). personalmente ho inaugurato il trend “natura e cultura al vostro polso”: una serie di sottili braccialetti di gomma di claires’s, acquistati nella città natale di dylan thomas e spero introvabili in italia, accostati a un braccialetto d’oro nel quale ho infilato le suddette conchiglie, sotto lo sguardo colmo di compassione dell’adolescente. questo complicato ornamento, a dirla tutta anche un po’ chiassoso, serve a distogliere l’attenzione di eventuali corteggiatori dal ciuffo canuto che si va evidenziando vieppiù a mano a mano che il mare dissolve il movida di garnier color mogano ramato dalla mia poco impeccabile chioma. e comunque specchiarica, per chi scrive, è il supremo trionfo del disheveled (vedi post precedenti sul medesimo argomento), dell’assoluto menefreghismo, dello sprezzo per il ciclo virtuoso “bagno in acqua di mare, doccia d’acqua dolce, sciacquamento degli asciugamani da mare, vestizione per la cena”. faccio tutto in ordine sparso, perlopiù non lo faccio; prevalgono l’attività di osservazione dei vicini, l’aggiornamento del taccuino per gli appunti, le soste insabbiate da giorgio, l’acquisto e il consumo di taralli dolci e salati innaffiati con la coca cola. il tutto, dato che durante il primo giorno di mare mi sono seriamente ustionata la schiena, sotto la protezione dell’autentico shemagh israeliano di eccellente cotone di cui mi ha fatto dono il mio amico libraio militare angelo pirocchi, che indosso a mo’ di mantello sentendomi irresistibilmente wonder woman.

martedì 9 giugno 2009

forever young / lo stile pinketts

bisogna ammetterlo, andrea pinketts non è più quel fiore di ragazzo che ci guardava, imperturbabile sotto la doppia minaccia di un pugnale e di una rivoltella impugnata da una mano femminile guantata di rosso, dalla copertina del feltrinelliano Il vizio dell’agnello. quello sguardo sin fragile si è intorbidito di cataratte al doppio malto, i contorni del viso da onesto mariuolo si sono decisamente ammosciati, e tuttavia l’uomo conserva un suo stile.
forse non molti sanno che pinketts si può incontrare spesso, molto spesso di giovedì, al “sud” di via solferino 33, a milano, dove di volta in volta presenta il libro di qualche amico (giovedì scorso c’era raul montanari con la nuova edizione di Che cosa hai fatto, due giovedì fa c’era lello gurrado con Assassinio in libreria).
io vorrei raccomandare, ai maschi di una certa età che usano le giacche – giacche un po’ sciolte, di lino o di cotone – lo stile di pinketts. che consiste nell’indossare, a complemento, appunto, di giacche e camicie preferibilmente mal stirate, un girocollo di vago sapore etnico, composto di grosse perle bianche o lignee, talora in coppia con un altro girocollo più sottile di perline colorate. ecco, quei due accessori al collo di un uomo (con tutto il rispetto) un po’ appassito ripristinano immediatamente, sia pure temporaneamente, un’impressione di giovinezza; rimandano a una mancata assunzione di responsabilità, all’assenza di figli e di snervanti spese all’esselunga. in più, ma questa non è caratteristica replicabile, pinketts dispone di un modo di parlare e di un tono di voce da vero coatto, quello che ti aspetteresti, non so, da un fabri fibra o da un marracash.
pinketts non ha un ufficio stampa, perciò può accadere che ti telefoni direttamente per invitarti a qualche sua cosa (e quel “ciaosonoandrea” è direttamente riconducibile, in versione meneghina e fatte le debite differenze, al piottesco supercafone che impazzava nelle radio sul finire degli anni novanta. quando ho sentito quella voce non credevo alle mie orecchie, poi mi sono ricordata che l’opera di un autore va sempre distinta dalla sua biografia).
per concludere, aggiungo che lo stile pinketts, per sua natura appannaggio prevalentente maschile, può adattarsi con profitto anche all’abbigliamento femminile. desidero segnalare che l’anno scorso, per tutta la durata della mia vacanza riminese, adottai un girocollo di perline di legno di media grandezza, pertanto mi autoattribuisco il distintivo di signora precursore dello stile pinketts.

p.s.: p.p. (pittoresco pinketts) è persona assai generosa. capace di accettare su due piedi l’invito ad andare a parlare in una classe di seconda media, senza alcun “ritorno d’immagine” né, men che meno, alcun compenso. cheers