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sabato 21 maggio 2011

dichiarazioni pie

intervistata per uno spot a beneficio della festa del libro, che ricorrerà il prossimo 23 maggio, maria pia veladiano dichiara: “Perché leggere? Perché i libri ci portano la vita. Noi non possiamo vivere tutto nella vita, però i libri ce la portano e noi possiamo capirla”. Fin qui tutto accettabile. Poi, d'improvviso, la svolta etnica: “E se la capiamo possiamo stare bene con gli altri, diventiamo tolleranti, perché capire vuol dire essere tolleranti, vuol dire vivere l’integrazione, vuol dire stare bene. Bisogna leggere per la convivenza, per la tenuta della nostra civiltà”. questo vuol dire che – posto che la lettura possa avere uno scopo – dovremmo usare il nostro tempo di lettori per vivere l'integrazione (cosa vorrà dire?) e per puntellare, con le nostre letture, la nostra civiltà?

lasciamo la parola a un signore che se ne intende: “Il suo [di William Faulkner] libro più straordinario è Mentre morivo. Ogni volta che lo rileggo, scopro che la mia coscienza si è espansa e il mio io si è allargato, ma senza essere deformato o manipolato”. I 'grandi', va ripetendo Bloom da decenni, toccano l’individuo senza pretese di cambiare il mondo. 'La grande letteratura non ci rende più altruisti o generosi ma ci insegna a parlare in maniera più lucida, efficace, e, in ultima analisi, illumina il nostro io'. Finalità egoista? 'Certo, ma per aiutare il prossimo dobbiamo essere prima in grado di completarci come individui'.
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Amo i poeti ma non voglio vederli, intervista di Alessandra Farkas a Harold Bloom, in “Corriere della Sera”, 18 marzo 2010
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venerdì 6 marzo 2009

vecchi bizzosi e lesbiche eschimesi

mi sono molto divertita a leggere un articolo di alessandra farkas sul "corriere della sera" di ieri, un'intervista a harold bloom in cui, tra l'altro, l'impavido afferma:

"[…] se un lavoro non possiede splendore estetico, forza cognitiva e autentica originalità, non vale la pena leggerlo. La letteratura è un’epifania individuale e non deve avere alcuna valenza di riscatto socio-politico. […] [Il Sessantotto] ha distrutto l’estetica, introducendo una finta controcultura politically correct in base alla quale basta essere un’esquimese lesbica per valere di più come scrittore".

sono tornata con la mente a un libriccino del 1992*, anch'esso piuttosto divertente, in cui si leggono cose come

"Inuit. Termine corretto per i canadesi di ascendenza cosiddetta 'eschimese'. Il termine 'eschimese' è considerato offensivo, in parte perché gli inuit hanno creduto per lungo tempo che significasse 'mangiatore di carne cruda'.

oppure

"Condimenti per insalata francesi, russi e italiani. Nell'edizione riveduta di Afrocentricity, Molefi Kete Asante argomenta in modo convincente che rispondendo 'francese', 'russo' o 'italiano' alla domanda 'Quale condimento preferisci per l'insalata?' gli afroamericani 'partecipano in maniera inconscia alla messa in scena europea'. Comunque, osserva Asante, dalla pubblicazione della prima edizione del suo libro si sono verificati alcuni positivi sviluppi: 'Ora abbiamo condimenti con nomi quali ghanese, nigeriano, senegalese e tanzaniano', scrive l'autore. 'L'idea è che l'afrocentrico rifiuta di essere sommerso da una realtà simbolica che ne nega l'esistenza'.

e poi

"Libro = carcassa d'albero trasformata";
"Illetterato = diversamente scolarizzato";
"Vecchio porco = individuo cronologicamente dotato concentrato sul sesso";
"Senzatetto = involontariamente privo di domicilio";
"Brutto = cosmeticamente diverso".

di recente una spiritosa giornalista con cui avevo comunicato solo per mail, alla mia domanda "quanti anni hai?" ha risposto "diciamo che sono diversamente giovane".

* Henry Beard, Christopher Cerf, The Official Politically Correct Dictionary and Handbook, Villard Books, New York 1992. La traduzione è di chi scrive perché, che mi risulti, il libro non è mai stato pubblicato in italiano.