mercoledì 10 marzo 2010

bisogna chiedere la parola

una delle cose che mi piacciono di più, quando mi capita di essere sola in casa (senza l'adolescentina cui trasmettere esempi virtuosi), è guardare la televisione di mattina presto, praticando uno zapping privo di un costrutto purchessia. è stato così che ieri mattina mi sono imbattuta, mi pare sulla 7, in un frammento di Divorzio all'italiana. era il momento dell'arringa pronunciata in tribunale in favore di un'assassina per fatti di onore; a proposito dei motivi che hanno indotto l'accusata al folle gesto, l'avvocato mostra alla corte un foglio su cui sono disegnate delle corna e, a proposito della forza di un tale messaggio, parla di icasticità. quando il protagonista fefè apostrofa un passante che lo infastidisce gli dà dello scimunito (anziché dello stronzo). mentre guardavo mi rendevo conto che le parole, le parole belle, appropriate, evidentemente scelte con cura dagli sceneggiatori, mi catturavano con la loro qualità. e mi convincevo che sempre, anche nel pop, bisogna tendere all'alto, più che si può. e poi mi sono goduta un caso di paleo product placement: nel film, marcello mastroianni beve stock 84 a fiumi, etichetta bene in vista, anche appena sveglio.

Pietro Germi, Divorzio all'italiana, 1961, tratto da Giovanni Arpino, Un delitto d'onore, 1961

Nessun commento: