una tra le classificazioni letterarie che mi fanno più ridere è quella degli scrittori migranti. mi immagino barconi in procinto di schiantarsi sulle coste di qualche paese occidentale, zeppi di rispettabili signore e signori, neri o di qualche altro colore, con un calepino in una mano e il passaporto nell'altra, destinati a scrivere in perpetuo pellegrinaggio. apprendo che da "saturno", l'inserto culturale del "fatto quotidiano", è migrato il direttore riccardo chiaberge per qualche questione di incompatibilità o di scarse vendite. forse le scarse vendite dipendono anche dall'inconsistenza di certi dibattiti.
su "saturno", il 12 marzo, è comparso un grottesco intervento di bijan zarmandili, scrittore iraniano di cui ignoravo l'esistenza (ma questo non fa testo). "dal mio punto di vista", scrive bijan, "il vero problema è la letteratura italiana, che non è in grado di riflettere sulla propria natura dialettica, di individuare i soggetti emergenti e le sue nuove contraddizioni, così da capire che non esistono scrittori migranti ma semplicemente nuovi scrittori italiani che – per provenienza, sensibilità e stile – potrebbero rinnovare i vecchi schemi del romanzo e della letteratura nel suo complesso", e ancora "Bisogna chiedersi come mai rimangono silenti i critici e gli storici della letteratura, o i direttori editoriali… Sono loro che vivono nel ghetto, e credo che tocchi incitare loro alla ribellione: sono loro i prigionieri nelle vere banlieue dell’attualità culturale, dove rischiano il soffocamento." non viene in mente, a bijan, che forse i soggetti emergenti non risultano sufficientemente interessanti.
così come non viene in mente a igiaba scego, vincitrice nel 2011 del premio mondello eppure capace di scrivere, per cercare di giustificare la scarsa eco suscitata da pubblicazioni migranti a suo parere meritevoli, castronerie come "Certo la stampa ha le sue colpe, ma non è la sola. Io aggiungerei tra i colpevoli anche le case editrici. Dopo un iniziale entusiasmo per le scrittrici e gli scrittori di origine migrante siamo passati ad una momento di totale recessione. Le vie sembrano sbarrate. Si pubblica poco e manca totalmente lo scouting", e ancora "Qualcuno potrebbe obbiettare che ancora tra di noi non c’è una Zadie Smith o un Hanif Kureishi. Ma siamo proprio sicuri di questo? Forse probabilmente la Zadie italiana ci è passata sotto il naso e non ce ne siamo accorti. Io credo che sia andata proprio così. Lo penso ogni volta che mi capita tra le mani il libro di Cristina Ali Farah Madre Piccola. Un signor libro davvero! Poetico, complesso, coinvolgente. Un libro molto amato dagli addetti ai lavori, molto studiato nelle università estere (da Melbourne a New York) e dai gender studies". diciamo allora che quando igiaba cesserà di scrivere "Un signor libro davvero!", "forse probabilmente" e di cercare colpevoli allora potrà concentrarsi sulle sue opere e vincere serenamente il suo secondo premio mondello. e per fare un favore agli scrittori che postcolonialisticamente protegge, anche daniela padoan dovrebbe cessare, nella stessa sede, di ideare definizioni deliranti come quella di "razzismo letterario".
per concludere ascoltiamo la voce di allan bloom, ancora attualissima per le cose italiane, in merito al chiasso in ambito accademico sulla letteratura etnica, i diritti delle minoranze et similia: un commento che risolve le diatribe con molta pertinenza. il professor bloom discute, nella fattispecie, degli studenti nelle università americane dopo l'avvento degli studi sulle minoranze culturali.
"Una delle tecniche per aprire la mente ai giovani è chiedere un corso universitario in una cultura non occidentale. ... ho visto che questa richiesta ha un'intenzione demagogica. Il punto è costringere gli studenti a riconoscere che esistono altri modi di pensare e che quelli occidentali non sono i migliori. Ancora una volta non conta il contenuto, ma la lezione da trarne. Queste richieste fanno parte dello sforzo di creare una continuità mondiale e di preparare i suoi membri, le persone libere da pregiudizi. Ma se gli studenti dovessero davvero imparare qualcosa sull'ideologia di fondo di una di queste culture non occidentali – cosa che non accade – scoprirebbero che tutte, nessuna esclusa, sono etnocentriche. Credono tutte che il loro modo di vivere sia il migliore e che tutte le altre culture siano inferiori. ... Solo nelle culture occidentali, cioè in quelle influenzate dalla cultura greca, c'è qualche propensione a dubitare dell'identificazione del bene con il proprio stile di vita. Dallo studio delle culture non occidentali si potrebbe concludere che non solo preferire il proprio stile di vita, ma ritenerlo migliore, superiore agli altri, è primordiale e persino naturale, esattamente il contrario di ciò che si vuole quando si chiede agli studenti di studiare queste culture. In realtà applichiamo un pregiudizio occidentale – che subdolamente assumiamo per indicare la superiorità della nostra cultura – e deformiamo l'evidenza di queste altre culture per confermare la sua validità. Lo studio scientifico delle altre culture è un fenomeno quasi esclusivamente occidentale e all'origine era palesemente collegato alla ricerca di nuovi e migliori modelli di vita, o almeno di una conferma della speranza che la nostra cultura è effettivamente la migliore, conferma della quale le altre culture non sentono il bisogno. ... La coerenza sembrerebbe chiedere ai sostenitori dell'apertura mentale di rispettare l'etnocentrismo o la chiusura che trovano in qualsiasi altro luogo. Però, attaccando l'etnocentrismo, ciò che in effetti essi fanno è affermare inconsapevolmente la superiorità della loro intelligenza scientifica e l'inferiorità delle altre culture che non la riconoscono, proprio nel momento in cui respingono ogni pretesa di superiorità".
Allan Bloom, La chiusura della mente americana, Lindau, Torino 2009 (ed. or. 1987)
e a conclusione del post un po' lungo, risolleviamoci con l'immortale.
4 commenti:
Proprio un bel post.
E, com'è noto, Elvis Presley non è morto e lotta insieme a noi :-)
ah, meno male che lo pensi anche tu. pensavo di essere tra le poche, con quei quattro scalmanati di "elvis is alive" ;-)
Non solo: come forse saprai, Paul McCartney morì giovanissimo e il suo posto venne preso da un sosia: ho visto un convincente documentario in proposito.
so, so. mi pare anche che il sosia di paul si sia di recente risposato. forse con la finta vedova di elvis.
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