chi scrive ha traslocato di recente, con tutte le implicazioni del caso. qui di seguito un brano di claudio magris su viaggi e traslochi che le è parso assai attinente. per quanto riguarda l'ambito specifico delle prefazioni, segnalo infine un ameno articolo di massimiliano parente sul "giornale", qui.
1. Le prefazioni sono sempre sospette; inutili se il libro che esse introducono non le richiede o indizi della sua insufficienza se esso ne ha bisogno, rischiano pure di guastare la lettura, come la spiegazione di una barzelletta o l’anticipazione del suo finale. Ma forse il prologo si addice a una raccolta di pagine di viaggio, perché il viaggio – nel mondo e sulla carta – è di per sé un continuo preambolo, un preludio a qualcosa che deve sempre ancora venire e sta sempre ancora dietro l’angolo; partire, fermarsi, tornare indietro, fare e disfare le valigie, annotare sul taccuino il paesaggio che, mentre lo si attraversa, fugge, si sfalda e si ricompone come una sequenza cinematografica, con le sue dissolvenze e riassestamenti, o come un volto che muta nel tempo.
La prefazione è una specie di valigia,
un nécessaire, e quest’ultimo fa parte del viaggio; alla partenza, quando ci si
mette dentro le poche cose prevedibilmente indispensabili, dimenticando sempre
qualcosa d’essenziale; durante il cammino, quando si raccoglie ciò che si vuole
portare a casa; al ritorno, quando si apre il bagaglio e non si trovano le cose
che erano sembrate più importanti, mentre saltano fuori oggetti che non ci si
ricorda di aver messo dentro. Così accade con la scrittura; qualcosa che,
mentre si viaggiava e si viveva, pareva fondamentale è svanito, sulla carta non
c’è più, mentre prende imperiosamente forma e si impone come essenziale
qualcosa che nella vita – nel viaggio della vita – avevamo appena notato.
Il viaggio sempre ricomincia, ha sempre
da ricominciare, come l’esistenza, e ogni sua annotazione è un prologo; se il
percorso nel mondo si trasferisce nella scrittura, esso si prolunga nel
trasloco dalla realtà alla carta – scrivere appunti, ritoccarli, cancellarli
parzialmente, riscriverli, spostarli, variarne la disposizione. Montaggio delle
parole e delle immagini, colte dal finestrino del treno o attraversando a piedi
una strada e girando l’angolo. Solo con la morte, ricorda Karl Rahner, grande
teologo in cammino, cessa lo status viatoris dell’uomo, la sua condizione
esistenziale di viaggiatore.
Viaggiare dunque ha a che fare con la
morte, come ben sapevano Baudelaire o Gadda, ma è anche un differire la morte;
rimandare il più possibile l’arrivo, l’incontro con l’essenziale, come la
prefazione differisce la vera e propria lettura, il momento del bilancio
definitivo e del giudizio.
Viaggiare non per arrivare ma per
viaggiare, per arrivare più tardi possibile, per non arrivare possibilmente
mai.
2. Il viaggio dunque come persuasione.
Forse è soprattutto nei viaggi che ho conosciuto la persuasione, nel senso dato
a questa parola da Carlo Michelstaedter; quella vita autosufficiente, libera e
appagata che Enrico, il personaggio del mio romanzo Un altro mare, insegue con
autodistruttivo e vano accanimento. La persuasione: il possesso presente della
propria vita, la capacità di vivere l’attimo, ogni attimo e non solo quelli
privilegiati ed eccezionali, senza sacrificarlo al futuro, senza annientarlo
nei progetti e nei programmi, senza considerarlo semplicemente un momento da
far passare presto per raggiungere qualcosa d’altro. Quasi sempre, nella
propria esistenza, si hanno troppe ragioni per sperare che essa passi il più
rapidamente possibile, che il presente diventi quanto più velocemente futuro,
che il domani arrivi quanto prima, perché si attende con ansia il responso del
medico, l’inizio delle vacanze, il compimento di un libro, il risultato di
un’attività o di un’iniziativa e così si vive non per vivere ma per avere già
vissuto, per essere più vicini alla morte, per morire.
Cludio Magris, L’infinito viaggiare, Mondadori, Milano 2005
2 commenti:
"...qualcosa che, mentre si viaggiava e si viveva, pareva fondamentale è svanito, sulla carta non c’è più, mentre prende imperiosamente forma e si impone come essenziale qualcosa che nella vita – nel viaggio della vita – avevamo appena notato."
Quanto è vero: questo è ciò che accade, e quando accade lo fa senza preavviso.
Cara aa, io mi sento in viaggio, pur non essendomi staccato da questa casa. Ho deciso di licenziarmi, di dedicarmi alla tesi e alle scritture. Qualche giorno fa ho "perso" una persona cara, che ha scelto di vivere senza di me. Mi sento sedato, ma fiducioso. :)
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