ho già parlato diverse volte della sensazione di privilegio che avverto nel constatare di vivere in una zona della città autenticamente trendy, dove se vai al bar puoi imbatterti in umberto galimberti, se vai all’esselunga incontri una delle figlie di celentano, d’estate ti addormenti cullato dal brusio dei frequentatori del tempio del metal rock milanese e se prendi il tram il tuo dirimpettaio legge la recherche (credo di avere trascurato il recente incontro, in fila al dìperdì, con elena santarelli, a proposito della quale ho uno scoop planetario: compra piselli surgelati e peperoncino in polvere, aspetta un maschio e parla volentieri con le cassiere).
e sempre a proposito di tram della mia zona, chi si fosse recato ieri al capolinea del numero due si sarebbe imbattuto in un’installazione di alex schiavi: su un carrello della spesa l’artista ha attaccato dei fogli gialli con la seguente scritta: “ARTE POVERISSIMA – ARTE DELLA NON SPESA – IL CARRELLO È VUOTO, COME LE TASCHE DI 15.000.000 DI ITALIANI – ARTE SOCIALE DI ALEX SCHIAVI”. in due giorni di permanenza dell’opera tanto il carrello quanto i fogli sono rimasti al loro posto, intatti: nessuna scritta sulla carta, nessun tentativo di uso del carrello per il suo legittimo scopo. non sono sicura che tutti abbiano individuato in filigrana il faccione di germano celant, ma sembra proprio che nel nostro quartiere l’arte sia grandemente apprezzata.
devo aggiungere che schiavi, con la sua apocalittica didascalia, si colloca in posizione fortemente anti-mcsweeney (vedi post “pubblicità progresso”), nonché anti-presidente del consiglio. però alex un qualche invito alla salvezza del mondo, con tanta carta a disposizione, avrebbe pure potuto farlo.
a chi scrive, da ultimo, rimane un dubbio: ma il maestro, il carrello della spesa, dove se l’è procurato?
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