bertie wooster è un adorabile scioperato che abita una serie di storie raccontate in altrettanti libri dall’ineffabile pelham grenville wodehouse.
di nobile famiglia, ignorante come una capra ma protagonista irresistibile di avventure farraginosissime che si concludono immancabilmente con un suo scampato matrimonio, bertie conduce la sua britannica esistenza in un dorato mondo edoardiano totalmente alieno da brutture, in cui il massimo dell’azione criminosa consiste nella somministrazione di un mickey finn, e il massimo dell’imprecazione si risolve in qualche robusto “tally ho!” ululato dalla zia dahlia, indomita cacciatrice di volpi.
bertie è tiranneggiato con discrezione da reginald jeeves detto jeeves, il suo coltissimo maggiordomo/consigliere/balia, nonché custode del suo decoro, l’uomo da cui la vita di bertie non può prescindere (sì, in un libro della serie c’è un pallido tentativo di ribellione da parte di bertie, quando reagisce a muso duro di fronte alle dimissioni di jeeves, causate dal fatto che il nostro smidollato aristocratico ha deciso di farsi crescere la barba, ma dura poco).
il giovane wooster è sempre circondato da ragazze bellissime, alquanto eccentriche, una delle quali è l’aspirante romanziera florence craye, così descritta da bertie:
“Florence Craye […] è una di quelle ragazze intellettuali […] e un annetto fa […] ha scritto questo romanzo che l’intellighenzia, notoriamente portata ad apprezzare le più spaventose idiozie, ha accolto favorevolmente".
e a proposito del romanzo di florence, ecco il colloquio tra bertie e jeeves, nel corso del quale il primo si rivolge al secondo dalla vasca da bagno e del secondo si manifesta un inequivocabile talento da editore:
[…] “Hai mai letto Lungo viaggio?”, domandai, recuperando il sapone.
“Vi ho dato una scorsa, sir”.
“Che te ne è parso? Coraggio, Jeeves, non fare il riservato. La parola comincia per m”.
“Ebbene, sir, non arriverei al punto di qualificarlo col termine al quale immagino che lei si riferisca, ma mi è parso un lavoro un po’ immaturo, carente nella forma espressiva. I miei gusti personali mi spingono piuttosto verso Dostoevskij e i grandi russi. Nondimeno, l’intreccio non era del tutto privo di interesse ed è molto probabile che eserciti un richiamo sul pubblico.”
un successivo dialogo tra bertie e florence ci mostra una tipica situazione woosteriana, in cui l’equivoco influenza inesorabilmente il corso degli eventi; dalle parole di bertie, poi, comprendiamo appieno la statura culturale di jeeves:
[…] in te c’è molto di più di quanto la gente sospetti. L’ho capito quel giorno che ti ho sorpreso in quella libreria mentre compravi Lungo viaggio. Te ne ricordi?”
Non avevo dimenticato l’incidente. Tutta la faccenda era stata uno sfortunato equivoco. Avevo promesso a Jeeves di comprargli le opere di un certo merlo di nome Spinoza – una specie di filosofo o qualcosa del genere, a quanto ho capito – e il tizio nella libreria, esprimendo l’opinione che non esistesse nessuno Spinoza, mi aveva rifilato Lungo viaggio, nella persuasione che probabilmente era proprio quello che cercavo, e io l’avevo appena afferrato, quand’era entrata Florence. Presumere che l’avevo comprato e scriverci sopra il suo autografo con la penna stilografica empita d’inchiostro verde fu tutt’uno”.
quel commesso di libreria mi pare di averlo già incontrato.
in ogni caso, in questo periodo dell’anno tendo sempre all’edoardiano di wodehouse. lì vado a rifugiarmi nell’inutile tentativo di contrastare la primavera incipiente: dietro agli spessi tendaggi del drones club, sprofondata nella mia poltrona di cuoio di russia e avvolta da un’aromatica nube di tabacco, mentre gli altri soci discutono di golf, dovrei riuscire a prolungare l’inverno ancora per un po’.
p.s.: forse non tutti sanno che il doctor house, prima di essere gregory house, è stato bertie, insieme con stephen fry/jeeves, nella premiata serie della bbc Jeeves and Wooster.
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