Che cosa significa, per cominciare, la parola
“intellettuale”? Un autore che in questo dopoguerra ebbe particolare e meritata
fortuna fra i lettori di sinistra affermò che per intellettuale deve intendersi
chiunque non eserciti un lavoro manuale. Una definizione generosa, abbondante e
perciò poco attillata, che andava larga: dal prete al portalettere, su su fino
a Benedetto Croce, tutti quanti cadevano nel cestone della intellettualità.
Rinunciamo subito a questa definizione e rivolgiamoci al dizionario. Ne
esistono molti a buon prezzo, e del resto li possiamo consultare gratuitamente
nelle biblioteche.
È intellettuale, dice l’uno, chi vive nel mondo degli studi
e dell’intelligenza. Vive, d’accordo, ma cosa ci fa, in quel mondo? Uomo, dice
l’altro, di cultura e giudizio elevato. Oppure: persona colta, con l’animo
aperto ai godimenti dello spirito. Una definizione, come si vede, molto vaga e
anche viziosa, perché si morde la coda: persona colta è un modo di dire molto
approssimativo, riferibile anche a chi abbia terminato la scuola dell’obbligo;
anima e spirito sono pressappoco la stessa cosa, sicché dovremmo concludere che
l’anima dell’intellettuale si apre al godimento di se medesima, e cioè a una
forma di vizio solitario, sconsigliato dai medici del passato, e non
raccomandato mai da nessuno. E allora?
Sarà meglio lasciare tutto nel vago, non tentare neanche una
definizione precisa.
Luciano Bianciardi, Non leggete i libri, fateveli
raccontare, Stampa Alternativa, Roma 2008,
pp. 9-10
2 commenti:
Lo rivedo sempre volentieri. C'è anche la Maria Jatosti http://www.youtube.com/watch?v=-87vk5fMFGM
Essere un intellettuale è sempre stata la mia ambizione. Ma gli accidenti, gli inganni e le necessità della vita mi hanno portato per strade impervie e m'hanno allontanato dalla via: ora mi ritrovo né carne né pesce, un cane sciolto, in pratica un anarchico.
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