martedì 30 ottobre 2012

storie di editing_autori che forse non vogliono pubblicare

Greg Gladman, Digital author. Courtesy newscientist.com
Desidero pubblicare la lettera di un autore che si è rivolto a me tramite Everybody needs an editor perché ho trovato la sua lettera particolarmente rinfrescante e perché la sua opinione sul mondo editoriale, sui criteri e limiti della pubblicazione, nonché su uno dei modi possibili di fare editing, potrebbe aprire un'interessante discussione.


“Gentile Anna,

la ho trovata sia su “Everybody needs an editor” che su Linkedin. Ho avuto modo pure di leggere dei suoi post e (divertendomi) le polemiche che qualcuno di questi ha generato.

Premetto che il mio intento non è necessariamente la pubblicazione; scrivo per hobby, ho già pubblicato e detto sinceramente il mondo dell’editoria non mi appassiona (intendo il sistema). Sono convinto che siamo in troppi a scrivere e che sia giusto che emergano pochi ma bravi. A questo punto si chiederà perché mi rivolgo a lei. Semplice, voglio ottenere il massimo possibile dal mio romanzo, in termini di perfezionamento. A distanza di tempo dal termine della stesura vedo molti difetti, per me difficili da correggere:

1. Lo stile è troppo didascalico e poco originale.
2. Mi piacerebbe alleggerire l’intreccio giallo con un tocco di ironia
3. Lavorare meglio sulla costruzione dei protagonisti che, per quanto credibili, trovo che non siano abbastanza “forti”
4. Varie ed eventuali: vale a dire interventi su tutto ciò che a me ancora sfugge ma che all’occhio attento di un editor può apparire evidente.

Come vede quello che richiedo è un po’ particolare, come particolare è la mia visione dell’editor. Ben venga un editor che porti al mio lavoro originalità e solidità modificando anche registro e stile, laddove fosse necessario. Contrariamente al pensiero comune a me piace anche l’editing definito (malamente) invasivo, nel caso in cui ce ne sia bisogno. Considero l’intervento sul testo da parte dell’editor elemento imprescindibile.  La cosa importante è avere chiari gli obiettivi comuni.

Saluti cordiali” eccetera.

Cosa ne pensate, a parte l’adorabilità della persona in sé?

È legittimo il concetto di “editing invasivo” così come lo intende questo autore?

Come lavorano, con i propri autori, gli editor all’ascolto?

Cosa pensano invece gli scrittori, soprattutto gli aspiranti tali, all’ascolto?

2 commenti:

paolo f ha detto...

il concetto di "editing invasivo" mi pare venga (generalmente) rifiutato da chi si sente Autore a tutto tondo, mentre spesso è una necessità - direi formativa - per l'autore che sta crescendo o si sta sgrossando.
ricordo le storie che circolavano sulla "formazione" di Alessandro Baricco, che avrebbe avuto Grazia Cherchi come sua "plasmatrice"; o sui racconti del più famoso Raymond Carver, il cui minimalismo "trade mark" sarebbe in realtà stato creato dal suo editor (di cui non ricordo il nome). I "veri" racconti di Carver, nella versione originale, vennero poi pubblicati da minimum fax.
l'editor ideale, secondo me, è quello che ti fa anche una scuola.

Il contrario, invece, immagino accada con autori che hanno un alto concetto di sé: ricordo ad esempio un articolo su Iris Murdoch, in cui si diceva che era mite e tranquilla, ma l'unica cosa che non si doveva fare era "toccare una sola parola dei suoi scritti"...

Emanuele Secco ha detto...

Penso che per iniziare un editing invasivo non sia da buttare all'aria, anche perché può essere un modo in più per perfezionare il proprio stile; non siamo nati tutti grandi scrittori, anche se molti hanno la presunzione di sostenerlo.
Il fatto è che non tutti riescono a trovare un proprio stile esercitandosi, quindi ogni aiuto possibile è più che gradito (e parlo anche per me).

E.