sempre free press, sempre tram numero due."para mary: gracias por la noche inolvidable que me has regalado sabado. un beso my brujita".
per me questo è gomez che comunica con morticia. oui.
dove si esplorano parole e si va a caccia di idee
da un free press sul tram numero due (come sempre sul testo non è stato fatto alcun editing):
"'Le mani alzò con amendue le fiche', disse il nostro Dante, ma non ardiscono di così dire le nostre donne; anzi, per ischifare quella parola sospetta, dicon più tosto le castagne […] e perciò quelle che sono, o vogliono essere più costumate, procurino di guardarsi non solo dalle disoneste cose ma ancora dalle parole; e non tanto da quelle che sono, ma eziandio da quelle che possono essere, o ancora parere, o disoneste o sconce e lorde […] più dicevole è a donna, ed anco ad uomo costumato, nominare le meretrici femmine di mondo […] che a dire il comune lor nome: Taide è la puttana […]"
commorienza: morte contemporanea di due o più persone.
lo ammetto, sulle prime ho dubitato. l'uomo accanto a me, un distinto signore di mezz'età in grisaglia, fascio di giornali e cartella di pelle nera, ha tirato fuori dalla tasca della giacca un taccuino, una matita e una gomma, e fin qui bene. mentre lo spio per cercare di capire cosa stia scrivendo, mi accorgo che sta invece disegnando, spiando a sua volta la sua giovanissima dirimpettaia, una splendida ragazza immersa nella lettura di un giornale. per una serie di fermate continua a guardare e disegnare. dentro di me mi infervoro, dandogli del pervertito. poi lui suona la campanella rossa e un secondo prima di scendere, con grazia, strappa il foglio e lo consegna alla sua inconsapevole modella. disceso, non si volta nemmeno a guardare l'effetto del suo dono. touchée.


c'è stato un tempo felice in cui eddie "latino heat" guerrero, che dio l'abbia in gloria, prima dei combattimenti faceva il suo ingresso trionfale a bordo di una macchina cafonissima, che lui faceva sobbalzare saltandoci dentro con aria sorniona, e la folla andava in delirio e gridava ritmicamente il suo nome. questo d'artagnan della wwe, con l'auto in luogo del ronzino giallastro, indossava in parecchie occasioni una maglietta nera con una scritta il cui intento era quello di sottolineare la sua superiorità di lottatore. eddie si produceva in gioiosi frog splash, per eseguire i quali saliva su uno dei quattro pali che delimitano il ring e si lanciava a corpo aperto sull'avversario, atterrandolo. intratteneva relazioni con mamacitas della sua generazione. era negli stati uniti, è stato fino al 2005, l'anno in cui ha lasciato questa terra. l'ho adorato e lo adoro, e mi secca parecchio sentire che di questi tempi è in auge la parola "papi" per descrivere le imprese di un settantenne con qualche tendenza alla pedofilia e di un certo numero di lolite un po' cresciute, accompagnate da finte annemagnani col book delle figlie nella borsetta.
nel mio quartiere, si sa, risiede la crème de la crème degli intellettuali milanesi. all’esselunga di via cagliero, oltre che rosita celentano, si incontra spesso paolo limiti con la vecchia madre, e persino la mia portinaia è un po’ come bessarione, nel senso che non la vedi mai senza un libro in mano (il prode ruggero, suo marito, no: lui più che alla letteratura indulge – ma con misura – alla bottiglia). e in questo nostro marais solo un po’ meno affascinante di quello parigino si tengono party, incontri, feste di ogni genere. come quella che c’è stata a casa mia ieri sera, invitato d’onore un iconografo di vaglia, nonché appassionato di lirica e di vini bianchi nordici (insomma, una sorta di uomo ideale – nel corso della serata, noi già un po’ alticci, ho appreso che sa anche appendere un lampadario). quest’uomo, oltre ai già elencati pregi, somiglia in maniera impressionante a tom cruise giovane (ma il tempo, con lui, è stato lieve). e ancora, last but not least, è il titolare maschile del gran ciambellanato dei disheveled (vedi post del 24 settembre, 7 ottobre 2008, 2 e 11 febbraio 2009). veste panni ampi, camicie di lino, sandali vagamente frateschi, è titolare di un’eleganza un po’ blasée e soprattutto ha una collezione di strepitosi pantaloni da pigiama comprati da oviesse, che indossa per uscire. siamo entrambi cultori di Dallas, indossiamo anelli gemelli con incise le cifre dei nostri nomi e parliamo anche di cose assai profonde. l’unica cosa di cui non mi capacito è il biasimo misto a un leggero compatimento che leggo nel suo sguardo quando attacco a parlargli della mia passione di sempre, il wrestling.
in via solferino, un’insofferente signora rivolta al suo grosso cane, fermatosi un momento per motivi legati alla fisiologia: “no, ma fermiamoci pure tutti i momenti a minzionare!” è una signora un po’ tracagnotta, con un tatuaggio sulla nuca, sbrigativa anche se, data l’ora, non c’era nulla per cui sbrigarsi.


bisogna ammetterlo, andrea pinketts non è più quel fiore di ragazzo che ci guardava, imperturbabile sotto la doppia minaccia di un pugnale e di una rivoltella impugnata da una mano femminile guantata di rosso, dalla copertina del feltrinelliano Il vizio dell’agnello. quello sguardo sin fragile si è intorbidito di cataratte al doppio malto, i contorni del viso da onesto mariuolo si sono decisamente ammosciati, e tuttavia l’uomo conserva un suo stile.
quatriduano: di quattro giorni: simile alla luna quatriduana.
le riflessioni sugli impossibili tacchi adottati dalle signore passivo-fetish nel post del 28 maggio scorso (vuoi mettere l’impossibilità di darsi a una comoda fuga quando arriva il lupo cattivo, l’inevitabilità di soggiacere alle sue voglie, avendo lasciato le sneaker a casa: trattasi forse di bisogno inespresso di perdere il controllo, di abbandonarsi un pochino a una supposta originaria ferinità) mi hanno richiamato alla mente un brano dagli Elementi di architettura lodoliana ossia l’arte del fabbricare con solidità scientifica e con eleganza non capricciosa, un volume sul pensiero architettonico di Carlo Lodoli pubblicato da Andrea Memmo nel 1786. Diceva Lodoli – padre francescano nonché architetto in polemica contro il barocco e pugnace assertore di un, diremmo oggi, design che privilegiasse la funzione opposta all’ornamento –, a proposito di oggetti per sedersi, che “spettava alle spalle di dar la forma alle spalliere delle sedie, ed al deretano la forma del sedere”. E ci racconta ancora Memmo (o il Memmo, come lo chiamerebbe qualche paludato storico dell’arte di mia conoscenza): “Collocò un giorno quella sua sedia da lui inventata presso uno di que’ gran seggioloni foderati di bulgaro, quadrati, pesanti, carichi di bollettoni di metallo e d’intagli, appunto nei poggi ove non si potevano più mettere i gomiti senza sentirsi offendere, e sopra i quali volendo sedersi conveniva scagliarsi per sdrucciolare poi giù, attesa l’altezza inconveniente, ed il rialzo quasi acuminato e duro del sedere […]. Intagliate pure, inverniciate, indorate quanto volete per servire al necessario vostro lusso; ma senza scordarvi del comodo, diceva, e della resistenza opportuna”.