venerdì 25 febbraio 2011

Senza portar barbazzale: pensiero positivo postunitario, altro che Tony Robbins

Il 1° novembre 1862, a unità d’Italia compiuta, per i tipi di Giuseppe Mariani, a Firenze, fu pubblicata la dispensa prima del Tesoretto: Raccolta periodica di cognizioni utili per il popolo, nell’intenzione dei compilatori una “serie di scritti indirizzati alla vera e propria istruzione popolare”. E sentite con quanto ottimismo si comunica la possibilità del cambiamento individuale attraverso l’istruzione: l’estensore delle due parole al popolo è un autentico motivatore ante litteram, senz’altro assimilabile – fatti salvi periodo e contesto – al guru dei motivatori, dei positivopensanti, quel Tony Robbins che sarebbe nato novantotto anni dopo.

DUE PAROLE AL POPOLO

AMICI POPOLANI!
Mettete una mano sulla coscienza, e parliamoci schietto! Vedendo che ci è tanta gente che va in carrozza, mentre voi andate a piedi, che è ben vestita, mentre voi avete appena di che coprirvi, che abita in sontuosi palazzi, mentre voi state in povere casipole, che vive senza far nulla, mentre voi siete costretti a arronzarvi la vita, non vi è qualche volta scappato un movimento d’invidia, non vi è venuta in bocca una bestemmia alla Provvidenza? Or bene! sentite ciò che vi dice un vostro amico: questi sentimenti non sono né giusti, né buoni a nulla. Le cose in questo mondo vanno come vanno, e non possiamo impedire che ci sieno dei poveri e dei ricchi; tali differenze esistono per la medesima ragione che Paolo è gobbo e Nanni va diritto come un fuso, che Pietro, poveretto, ha la rachitide, e Bobi è forte come un leone. Però corre un certo divario fra queste due specie di disuguaglianze che potete vedere negli uomini. Ecco: la gobba o la rachitide, nessuno ce la può torre da dosso. Invece chi è ricco può diventare povero, e chi è povero può diventar ricco. Le son cose che succedono tutti i giorni.
Dunque invece di sentire invidia o bestemmiare la Provvidenza perché Tizio o Cajo hanno il vento in poppa, e voi nò, dovete pensare che se essi posseggono dei beni al sole, è perché se li son guadagnati, o i loro vecchi li hanno guadagnati per loro; e dovete sentire nascere in voi una santa ambizione di giungere al medesimo grado, o almeno di mettere i vostri figli a mezza strada.
Perché, credete a me, non è mica tutto caso quello che regola il mondo; anzi il caso ci ha la menoma parte; e quel grand’omaccione di Dante Alighieri, nostro concittadino, c’insegna nella sua Divina Commedia, che la ricchezza va e viene secondo l’occulto intendimento del Signore, che è sempre diretto al nostro meglio .... Ma alla volontà della Provvidenza bisogna anche aggiungerci la nostra; purché si voglia davvero e si abbia capacità, non c’è nulla che non si possa fare.
Ve lo dico dunque sul serio; il mezzo di diventar signori sta nelle vostre mani. Non basta però il lavoro e l’onestà, ci vuole l’istruzione. L’uomo, diceva un filosofo italiano che aveva la barba lunga, l’uomo tanto può quanto sa. Educatevi, istruitevi, vi son aperte le vie. — Un tempo, e forse qualcuno dei vostri vecchi se ne potrà ricordare, chi era nato contadino, doveva vivere e morir contadino: ed i figli, dovevano far come il babbo; tutto al più avevano la brutta risorsa di rinchiudersi in un monastero, ed era peggiore il rimedio del male! Ma ora le cose sono mutate; non c’è aristocrazia privilegiata, non ci sono più feudi né maggiorascati; libera è la terra, e libero è l’uomo; tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge; e tutti i figli di Adamo sono riconosciuti pari e fratelli tra loro. Chi ha più ingegno e istruzione viene più facilmente a galla, e può lasciare ai suoi morendo, un po’ di patrimonio.
Ma non son mica queste favole da raccontarsi a veglia; son fatti di cui non mancano esempi chiari e lampanti. Ho conosciuto il figlio di un contadino della Valdinievole che oggi fa lezione all’Università di Pisa; un altro povero ragazzo, la cui famiglia stentava a campar la vita, avendo mostrato disposizione a imbrattar la carta col carbone, s’è istruito e tirato sù a poco alla volta, tanto che adesso è diventato un pittore coi fiocchi, famoso in tutta Italia e fuori ; e non lo nomino solo per discretezza. Di questi esempi ce ne sono a centinaia, e chi mi legge ne avrà forse veduti coi suoi propri occhi. E sapete perché non cd ne sono molti più? Non è mica che scarseggi l’intelligenza nel popolo, anzi si è sempre detto che vanno di conserva scarpe grosse e cervello fino; ma è la voglia d’istruirsi (bisogna confessarlo) quella che manca, ai più e impedisce loro di farsi innanzi.
Direte forse che difettano i mezzi, e che, con la miglior volontà del mondo, non si fa nulla senza maestri e libri? Questo poteva esser vero nei tempi passati, quando i governi avevano paura che il popolo educandosi sfuggisse al giogo della tirannia e della superstizione. Ma adesso non è più così; chi fa la legge fra noi è la nazione, o almeno la parte più colta di essa, che la rappresenta. E la nazione vuole che per opera di savie riforme tutti i cittadini giungano a godere di quei sacri diritti impartiti loro dalla natura. Ora essa non può concedere l’esercizio di tali, diritti a chi non ne possiede la capacità; precisamente come non si possono dar le armi da fuoco a chi non le sa trattare.
Dunque è interesse comune, e non minore per le classi più fortunate che per le agricole od operaje, di diffondere a larga mano l’istruzione, in modo che nessuno, in un paese libero, debba rimanere estraneo alla vita politica. Di qui viene che è ufficio e obbligo dei municipi l’aprire scuole serali, biblioteche popolari, e facilitare tutti i mezzi per accrescere la coltura. Né perciò i privati vorranno restarsene inoperosi; ma le associazioni e gl’individui concorreranno nella misura delle loro forze.
Ed anche noi ci siamo messi per questa strada ispirati non dal desiderio di sciorinare cognizioni e far gemere i torchi, impancandoci da maestri e pedanti, ma solamente dal vivo amore che portiamo al bene del popolo e della patria. Parleremo schiettamente come sentiamo, senza far piaggerie a nessuno, e senza portar barbazzale*. Cercheremo di usare quella lingua e quel buon senso, che è tutta cosa del nostro popolo, e racchiude nella sua spontaneità i germi di quanto v’ha di buono, e grande nel mondo. Solo vi aggiungeremo ciò che la natura non può dare senza lo studio e l’arte; cioè quelle utili scoperte della scienza, quei racconti curiosi del passato, quegli studi dilettevoli ed istruttivi sull’uomo, sulle leggi, sulle società, su tante cose insomma che ci stanno d’intorno e ci pajono quasi a prima vista tanti punti d’interrogazione. Tutto ciò faremo alla buona e senza sussiego; se pure vi piacerà di starci a sentire e di tenerci dietro, — se la nostra voce che si parte dal cuore giungerà ai vostri cuori; – se vedrete in noi dei fratelli maggiori che istruiscono in ciò che sanno i minori fratelli!

* barbazzale (ant. barbozzale) s. m. [der. di barbozza]. – 1. Catenella che si mette dietro la barbozza del cavallo, fissandola per i capi ai due occhi del morso. 2. fig., non com. Freno, pastoia: non sopportar b.; non portar b. a nessuno, non avere riguardo per nessuno. 3. Ciascuna delle due appendici cutanee pendenti ai lati del collo di alcune razze di capre, detta anche pendente o tettola o ciondolo.
Fonte: Treccani.it

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