così chi scrive ha trascorso alcuni degli scorsi giorni a trasporre otto ore di congresso, nel corso del quale si avvicendavano gli interventi di relatori da tutto il mondo – lingua franca ovviamente l’inglese –, dotati degli accenti più diversi, alcuni praticamente incomprensibili. gli argomenti erano lo sviluppo sostenibile, la gestione dell’acqua, la sanità lombarda con particolare riferimento alle cure per il cancro e le bio-banche.
sono state ore lunghe e dure, nel corso delle quali, inseparabile dal computer e dagli auricolari per necessità, chi scrive ha imparato, sia pure tra indicibili sofferenze (perché dopo ore e ore in quelle condizioni la testa, letteralmente, ti frigge), che un lavoro per molti aspetti ingrato (hai voglia a cercare i software speech to text: in questo caso ci vuole proprio l’essere umano) può essere assai utile come esercizio di pazienza e di profondità. quando si trascrive, per non tralasciare nulla, è necessario fermarsi spesso e tornare indietro – perciò si procede lentamente; bisogna fare ricorso a quello che si sa e immaginare quello che ancora non si sa, e collocare il tutto in un contesto di coerenza. e siccome l’intera cosa attiene molto all’artigianale, quando alla fine dai tuoi sforzi nascono cartelle e cartelle di testo verosimile, comprensibile, sensato la ricompensa è grande e tangibile e appagante assai. l’unico elemento funesto in questa avvincente esperienza è stata la presenza del dottor shivaji, il delegato del maharashtra. non posso descrivere il terrore che mi coglieva all’annuncio del coordinatore della tavola rotonda “and now i’m pleased to give the floor to mr. shivaji”, che precedeva una decina di minuti di calvario causato dal tentativo di rincorrere le parole del gentiluomo indiano, che a loro volta si rincorrevano nella sua cavità orale, sovrapponendosi, mangiandosi velocissime, rotolando nell'aere. quelli erano momenti in cui nel maharashtra sarei voluta fuggire io. non prima di aver soppresso il dottor shivaji.
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