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Il comunista era un uomo basso, con una grossa testa calva, che aveva girato il mondo e sapeva tutti i mestieri. Era uno che conosceva il male e il bene della vita, vedeva tutto andar male ma sapeva che un giorno andrebbe meglio, era un operaio che aveva letto dei libri, un comunista. Lavorava a giornata per le campagne, perché l’aria della città non era più buona per lui; e lavorava bene, s’intendeva di semine, d’ortaggi. Ma più gli piaceva starsene seduto sui muri a parlare delle cose che si perdono nel mondo, del caffè che si brucia nel Brasile, dello zucchero che si butta in mare a Cuba, delle scatole di carne che marciscono nei docks a Chicago. E ricordi suoi, di una vita impastata di miseria, d’emigrazioni, di carabinieri; ricordi di un uomo preso a botte dalla vita, di un uomo che si interessa a tutte le cose, al male e al bene del mondo, e ci ragiona sopra.
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