martedì 31 maggio 2011
ascoltatrici depresse
testimonianza post-vittoriapisapia di un'ascoltatrice di nota radio democratica milanese: "sono felice, mi sento sollevata, ieri dopo tanto tempo ho visto la luce... è come se fossi vissuta da carbonara, tutti mi dicevano che ero troppo gentile, adesso posso dire esisto anch'io". lieve imbarazzo della conduttrice. ci dobbiamo preoccupare?
domenica 29 maggio 2011
san giuliano protettore
alcuni librai indipendenti milanesi hanno lanciato un appello (si deve dire, nel consueto registro vagamente lagnoso) a sostenere giuliano pisapia (un pochino intempestivo, a dire il vero, visto che il ballottaggio finisce domani: ma si sa, i librai di milano sono sempre un pochino lenti), qui.
la mia domanda è: come mai alcuni librai indipendenti di milano si riuniscono attorno alla possibile elezione di giuliano pisapia? forse che il candidato sindaco possiede il potere taumaturgico di risvegliare gli spiriti e di trasformare il libro "diventato pura merce" in un'angelica entità che fluttua al di sopra delle regole del marketing? e, soprattutto, di imprimere una svolta decisiva in un ambito in cui ciascuno, fino a ieri, a fare gruppo non ci pensava per nulla e badava di brutto al proprio orticello? dispiace osservare come alcuni si affrettino in maniera un po' sospetta a fare lobby: di fatto, se ci fosse stata volontà di fare impresa culturale su progetti comuni, se si fosse voluto dispiegare passione e creatività (tanto per impiegare due abusatissimi termini), se ci fossero state le IDEE, tutto sarebbe potuto cominciare anche sotto la giunta moratti.
aspettando il vento nuovo
mentre aspettano di sapere se lunedì pomeriggio abiteranno in una metropoli arancione, i lettori di milano si dedicano, nei momenti di deliziosa vacatio consentiti dal viaggio sui mezzi pubblici, alle letture più varie. L'apparentemente inoffensivo signore barbuto con camicia a scacchi legge Orchi - I guardiani dei lampi, di Stan Nicholls (l'inventore, pare, del fantasy barbarico: ma i pareri sono discordanti, e a onor del vero chi scrive non sa nemmeno cosa sia); la signora in petite robe noire legge L'amica delle stelle, di Margherita Hack (dice il sito ibs che chi ha comprato questo libro avrebbe comprato anche, tra gli altri, Il cimitero di Praga di Umberto Eco, Il simbolo perduto di Dan Brown e Breaking dawn di Stephenie Meyer: perché?): mi ha decisamente scoperta e mi rivolge uno sguardo che mi inquieta. Il ragazzo in bermuda legge Ricordi di mia madre, di Inoue Yasushi (dice il sito ibs che chi ha comprato questo libro avrebbe comprato anche, tra gli altri, Il cimitero di Praga di Umberto Eco, Il simbolo perduto di Dan Brown e Breaking dawn di Stephenie Meyer, esattamente come nel caso dell'Amica delle stelle: perché?).
la setta degli arancioni
librai schierati: libreria aleph, mezzanino della fermata lima, metropolitana linea 1.
questa libreria, l'anno scorso, fece un po' di clamore per avere deciso, e comunicato mediante un avviso sulla vetrina, di non vendere Donne di cuori, di bruno vespa.
questa libreria, l'anno scorso, fece un po' di clamore per avere deciso, e comunicato mediante un avviso sulla vetrina, di non vendere Donne di cuori, di bruno vespa.
libri itineranti_grande concorso a premi
quale è il titolo del libro che questo lettore giocherellone porta a spasso sul corrimano della scala mobile, nella stazione duomo della metropolitana gialla?
chi scrive era sulla scala accanto e proprio non poteva ficcare il naso. né la quarta di copertina le ha detto nulla. giochiamo?
chi scrive era sulla scala accanto e proprio non poteva ficcare il naso. né la quarta di copertina le ha detto nulla. giochiamo?
sabato 28 maggio 2011
se per caso passaste da prato (o quivi risiedeste)
fate un saltino a vedere live!, la mostra su rock e arte contemporanea curata da luca beatrice e marco bazzini. la sede è il centro per l'arte contemporanea luigi pecci.
venerdì 27 maggio 2011
tutto si tiene
l'anatomopatologo che si è occupato dell'autopsia di melania rea si chiama adriano tagliabracci.
giovedì 26 maggio 2011
pur nella consapevolezza
che l'argomento è piuttosto frivolo, mi fermo un attimo per annunciare il mio forte compiacimento di fronte al timido spuntare dalla terra di un neonato papiro, attorno al quale per almeno una settimana ho creato un filologico effetto-nilo, inondandolo con grandi quantità di acqua di rubinetto. è il papiro della luigia. chi scrive compra piante, ma quelle che preferisce sono dono, preferibilmente sotto forma di talea, di amici cari. oppure astuti furti ai danni di ignare signore le cui piante sporgono incautamente dai davanzali, preferibilmente perpetrati durante trasferte di piacere. così c'è il papiro di luigia, la pianta grassa di gallipoli, la barba di san giuseppe di civate. ah, e sta molto bene pura la lavanda dell'attilia.
lunedì 23 maggio 2011
belle gite di altri tempi
Il lago di Annone dalla località Pozzo |
arrosti di vitello piemontese,
spezzatini,
fettine,
nodini,
cotolette,
ossibuchi,
fusello, aletta, spalla,
bistecche di manzetta, filetto, roastbeef, magatello,
carpaccio,
codone,
noce,
scamone,
conigli nostrani,
faraone,
quaglie,
galline,
cotolette di agnello,
capretti, agnelli e conigli nostrani garantiti,
cotolette impanate,
le polpette della nonna,
polli allo spiedo,
lasagne,
vitello tonnato,
gnocchi di patate,
torta Pasqualina,
torte di pasta frolla,
pizza e focaccia al trancio,
pizzettine e focaccine mignon assortite,
salatini,
brioches fresche,
frolline.
Ambrogio Rusconi, Panetteria Salumeria Macelleria, piazza Garibaldi 7-8, Civate (Lecco)
l’elenco di françois
Ippocrate bianco, con rosticini secchi e friabili,
pan bianco,
pan di semola,
panetti al burro,
pan cittadino,
carne ai ferri di sei qualità,
arrosti di capra,
strisciole di vitello arrosto fredde, senapizzate di polvere di zenzero,
gnocchi di carne,
rigaglie, fricassea, nove qualità,
pasticcio di fegato al piatto,
zuppe grasse di prima,
zuppe lionesi,
cavoli cappucci alla midolla di bue,
carne al ragù
guazzetti
[…]
scaloppette all’aglio,
pasticci in salsa calda,
cotolette di porco con cipolline,
capponi arrostiti nel lor sugo,
pollastrella,
anitroni selvatici,
capretti al forno,
cerbiatti, daini,
lepri, leprotti,
pernici, perniciotti,
fagiani, fagianelle,
cicogne, cicognini,
beccacce, beccaccini,
ortolani,
galli, galline e pollastrelli d’India.
François Rabelais, Gargantua e Pantagruele, volume secondo, capitolo cinquantanovesimo, Einaudi, Torino 1973.
Il viandante che si trovasse a Civate, in provincia di Lecco, non potrà di certo ripartire senza aver fatto una visita al negozio di Ambrogio Rusconi, il rabelaisiano negoziante multiprodotto del paese che, per tenere legata a sé la clientela, pubblica nei suoi volantini promozionali, senza dubbio fatti in casa, elenchi da leccarsi i baffi, non mancando di aggiungere: “Alla domenica mattina siamo sempre aperti dalle 6:20 alle 12, con pane fresco e tutto quello che desiderate. Vi aspettiamo”. E quando si aderisce all’invito, come ha fatto chi scrive in compagnia dell’adolescentina nel corso di una recente gita, alla cassa dell’Ambrogio si trovano due nerborute signore che, oltre a farti il conto, cacciano ciò che hai comprato nei sacchetti (di carta, bellissimi ancorché inservibili se compri più di cinquecento grammi di roba), una cosa che a Milano ho visto fare solo qualche volta al mini-Carrefour vicino a casa mia.
Civate è un eccellente punto di partenza per gite a piedi: dal paese si può raggiungere la basilica di San Pietro al Monte (un’ora di cammino), o più modestamente la località Pozzo, arrivati alla quale, dopo ben trenta minuti di cammino, ci si può rifocillare al Crotto del Capraio, giusto dietro il lago di Annone, dove una ragazza che ha fatto l’Erasmus a Barcellona serve eccellenti lasagne agli asparagi, formaggi di capra e vino bianco pétillant. Se poi si va a ficcare il naso nel retrocrotto, si troveranno capre con i loro capretti e alcuni asini, sul conto dei quali non voglio sapere di più, essendo lo stracotto d’asino una delle specialità del Capraio.
La targa con l'elenco degli antichi padri, in piazza Antichi Padri |
Chi arriva a Civate dorme al bed & breakfast Antichi Padri (una bella casetta immacolata, con un'ottima fornitura di libri nel salotto), proprio sulla piazza della chiesa, di cui qualche tempo fa si è scoperto che poggia (la piazza) su una gran quantità di cadaveri di monaci (gli antichi padri cui alludono il titolo, che data al tempo dell’agghiacciante scoperta, sia della piazza sia del b&b), la qual cosa conferisce un tocco gotico a questo loco per il resto assai pacioso.
Da Civate si arriva a Lecco in una quindicina di minuti, con una puntualissima corriera.
A Lecco si fa una passeggiata fino alla statua del Manzoni, poi si va a prendere un gelato di fronte al lungolago, in una gelateria che ha come nume tutelare, davanti al negozio, una grande statua del naturalista Mario Cermenati, cofondatore dei Musei Civici di Lecco, ritratto con lo sguardo pensoso rivolto al lago e la mano destra poggiata su una pila di libroni.
sabato 21 maggio 2011
dichiarazioni pie
intervistata per uno spot a beneficio della festa del libro, che ricorrerà il prossimo 23 maggio, maria pia veladiano dichiara: “Perché leggere? Perché i libri ci portano la vita. Noi non possiamo vivere tutto nella vita, però i libri ce la portano e noi possiamo capirla”. Fin qui tutto accettabile. Poi, d'improvviso, la svolta etnica: “E se la capiamo possiamo stare bene con gli altri, diventiamo tolleranti, perché capire vuol dire essere tolleranti, vuol dire vivere l’integrazione, vuol dire stare bene. Bisogna leggere per la convivenza, per la tenuta della nostra civiltà”. questo vuol dire che – posto che la lettura possa avere uno scopo – dovremmo usare il nostro tempo di lettori per vivere l'integrazione (cosa vorrà dire?) e per puntellare, con le nostre letture, la nostra civiltà?
lasciamo la parola a un signore che se ne intende: “Il suo [di William Faulkner] libro più straordinario è Mentre morivo. Ogni volta che lo rileggo, scopro che la mia coscienza si è espansa e il mio io si è allargato, ma senza essere deformato o manipolato”. I 'grandi', va ripetendo Bloom da decenni, toccano l’individuo senza pretese di cambiare il mondo. 'La grande letteratura non ci rende più altruisti o generosi ma ci insegna a parlare in maniera più lucida, efficace, e, in ultima analisi, illumina il nostro io'. Finalità egoista? 'Certo, ma per aiutare il prossimo dobbiamo essere prima in grado di completarci come individui'”.
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Amo i poeti ma non voglio vederli, intervista di Alessandra Farkas a Harold Bloom, in “Corriere della Sera”, 18 marzo 2010
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così diceva mia nonna: chi più spende, meno spende
quando uno dei miei moleskine (costo: intorno ai dodici euro) è finito ho voluto provare un taccuino teneues coolnotes (costo: intorno ai sette euro), proprio del colore pubblicato, vale a dire "light green and victorian yellow". mi sono fatta turlupinare dall'idea del risparmio e, ancor più, da quella del giallo vittoriano. non appena ho aperto questo infelice prodotto della cartotecnica tedesca, il mio pensiero è stato: "non vedo l'ora che tu finisca, o pallida copia di un moleskine".
venerdì 20 maggio 2011
they're poets, ain't they?
"Nelle serate ormai quasi estive le lucciole timidamente emergono dai campi incolti".
Gazzettino padano, Radiouno, frase conclusiva delle previsioni del tempo, poc'anzi.
Gazzettino padano, Radiouno, frase conclusiva delle previsioni del tempo, poc'anzi.
gentlewrestler
L'altra sera, mentre guardavo la registrazione di una Monday Night Raw Old School dell'anno scorso, da Sky Sports 3 – illegamente scaricata dall'internet –, ho scoperto l'esistenza di Wade Barrett, un wrestler di Preston, Lancashire, meravigliosamente incongruo mentre prometteva micidiali mazzate agli avversari con un impeccabile British accent.
giovedì 19 maggio 2011
restiamo curiosi
Courtesy pablochesterphotography.blogspot.com |
Ecco l'invito finale della libreria Cadran Lunaire di Mâcon, in Borgogna, ai suoi lettori, contenuto in una comunicazione che annuncia un reading incrociato Marie-Claude Roulet / Joelle Miquel: "Soyez curieux", siate curiosi. Cadran Lunaire è una Libreria indipendente di riferimento, "una qualifica concessa dal ministero della cultura e della comunicazione allo scopo di riconoscere, valorizzare e sostenere le scelte e il lavoro di qualità delle librerie indipendenti". Cadran Lunaire è altresì membro dell'associazione Initiale, un "gruppo di librai indipendenti che condividono la medesima passione per il loro mestiere" (ah, se penso a tanti librai milanesi, molto molto preoccupati dei propri rispettivi orticelli).
D'altra parte stiamo parlando di un paese nel quale – correva l'anno 1981 –, con la legge n. 81-766 del 10 agosto, meglio nota come legge Lang (approvata dall’unanimità del parlamento), si stabiliva il prezzo unico per i libri (trent'anni dopo in Italia si discute ancora, al proposito, di questioni di lana caprina. Trent'anni dopo il nostro parlamento, all'unanimità, manco il testo contro l'omofobia, riesce ad approvare. In Francia i Pacs esistono dal 1999, per tutti). Nel suo discorso di fronte all’Assemblée nationale, il ministro della cultura Jack Lang dichiarava il suo rifiuto di “ritenere il libro un banale prodotto commerciale” e la sua volontà di “modificare i meccanismi del mercato per assicurare la presa in considerazione della sua [del libro] natura di bene culturale, che non può essere sottoposta unicamente a esigenze di redditività immediata”. La legge si applica anche alla vendita di libri online, tanto che nel 2007 Amazon.fr, che l’aggirava proponendo ai propri clienti la consegna gratuita dei libri, è stata condannata a rifondere la somma di 100.000 euro al Syndicat de la Librairie Française, l’attivissima federazione dei librai indipendenti francesi il cui compito è di proteggere i diritti materiali e morali della professione. Ecco, secondo il Syndicat, tre punti fondamentali scaturiti dall’effetto Lang:
- l’uguaglianza dei cittadini davanti al libro, venduto al medesimo prezzo su tutto il territorio nazionale;
- il mantenimento di una densissima rete di distribuzione decentrata, in particolare nelle zone svantaggiate;
- il sostegno al pluralismo nella creazione e nella pubblicazione, in particolare per le opere difficili.
Stiamo parlando di un paese il cui impero coloniale si estendeva dall'Algeria alla Mauritania, dal Togo alla Somalia al Madagascar. Altro che Tripolitania e Cirenaica.
mercoledì 18 maggio 2011
bibliovetrinisti
da bata, negozio seriale di scarpe in corso buenos aires, ci deve essere un vetrinista bibliofilo, che ha collocato le scarpe in esposizione sui seguenti volumi:
- Anne e Serge Golon, Angelica e la diavolessa
- Ken Follet, Lo scandalo Modigliani
- Laura Esquivel, Dolce come il cioccolato
- Michael Connolly, Utente sconosciuto
- Ezra Pound, Canti pisani
- Milan Kundera, L'immortalità
- Danielle Steel, Un porto sicuro
ho la sensazione che il quasi sindaco pisapia abbia ragione, quando afferma nel punto 10 del suo programma: "Milano ha tutte le risorse intellettuali e materiali per fare della cultura un motore di cambiamento: dispone di un ricchissimo tessuto di istituzioni e associazioni, di una fiorente industria creativa e culturale, di un vasto mondo di autoproduzione e microimprenditorialità artistica e artigianale." nonché di vetrinisti estrosi.
- Anne e Serge Golon, Angelica e la diavolessa
- Ken Follet, Lo scandalo Modigliani
- Laura Esquivel, Dolce come il cioccolato
- Michael Connolly, Utente sconosciuto
- Ezra Pound, Canti pisani
- Milan Kundera, L'immortalità
- Danielle Steel, Un porto sicuro
ho la sensazione che il quasi sindaco pisapia abbia ragione, quando afferma nel punto 10 del suo programma: "Milano ha tutte le risorse intellettuali e materiali per fare della cultura un motore di cambiamento: dispone di un ricchissimo tessuto di istituzioni e associazioni, di una fiorente industria creativa e culturale, di un vasto mondo di autoproduzione e microimprenditorialità artistica e artigianale." nonché di vetrinisti estrosi.
fuga dal museo
Fra' Galgario, Gentiluomo con tricorno, circa 1740. Milano, Museo Poldi Pezzoli |
ieri, a milano, è stato il giorno delle cose bizzarre. non solo letizia moratti ha dovuto cedere il posto, almeno fino al ballottaggio, a un signore dall'aria mite che si è candidato a sindaco, ma in piazza della scala si aggirava un gentiluomo con tricorno che pareva uscito dal quadro di fra' galgario conservato nel vicino museo poldi pezzoli.
domenica 15 maggio 2011
rammarichi
grande fermento nel mondo editoriale per l'annuncio relativo alla prossima pubblicazione di roberto saviano con einaudi. grande discussione sui social network tra i fans del sacerdote della parola e gli scettici, tra chi dice che roberto fa bene a "continuare la sua lotta dall'interno"e chi sospetta, però ancora un po' incredulo, che roberto compia anche qualche valutazione commerciale. dove è la meritoria rubrichetta dell'"unità"?
la lettera b
Copio e incollo dal numero 13 di "Cantieri", la preziosissima newsletter della casa editrice Biblohaus, la storia legata alla lettera b dell'insegna all'ingresso di Auschwitz, scritta da Konstantin Bellmer. Vale anche la pena di procurarsi i numeri arretrati di "Cantieri", disponibili sul sito in formato PDF.
Libertà e dignità alfabetica: quella B capovolta di ARBEIT MACHT FREI
È rarissimo che accada, ma può accadere.
Una semplice, povera, trascurata, indifesa
lettera alfabetica può, con la sua sola presenza
oggettiva e tangibile, rappresentare
il miracolo assoluto: l’anelito alla libertà e
restituire dignità all’uomo, quando tutto
intorno è precipitato nella notte della follia
e nell’abisso della morte. Quando tutto
sembra perduto e intorno c’è soltanto l’esiziale
ghigno del potere e della forza bestiale,
proprio allora da una semplice lettera alfabetica
può scaturire la rivolta, la forza
estrema della propria coscienza di Uomo.
Questo è accaduto nel 1940, nel campo di
sterminio polacco di Auschwitz (Oswiecim
in polacco), ad opera di un umile artigiano,
un fabbro polacco, prigioniero come altri
milioni in quell’inferno assoluto e totalizzante.
Un capo tedesco del campo, Kurt
Müller, chiede che venga immediatamente
eseguito l’ordine imposto dal comandante
Rudolf Höss, che venga cioè realizzata, e
innalzata all’ingresso del campo di sterminio,
la targa in ferro battuto progettata dallo
stesso Müller, con la scritta Arbeit macht frei,
il lavoro rende liberi, che i nazisti avevano
ripreso, modificandola, da un passo del
Vangelo di San Giovanni, Wahrheit macht
frei, la verità rende liberi, e che a Höss
ricorda i suoi anni di carcere durante il
governo di Weimar. Ma Arbeit macht frei è
anche il titolo di un romanzo del 1872 dell’etnologo
e linguista Lorenz Diefenbach,
che mai avrebbe immaginato il terribile
uso che altri avrebbero fatto di quel titolo.
Una scritta illusoria e beffarda per coloro
che mai avrebbero visto la libertà, morendo
a milioni in quei luoghi (“le tre parole della
derisione […] sulla porta della schiavitù”,
così scrisse Primo Levi ne La Tregua). Della
realizzazione viene incaricato un prigioniero,
il dissidente politico polacco Jan
Liwacz, non ebreo, numero di matricola
1010 tatuato sull’avambraccio, che in
un’altra vita faceva il fabbro, entrato nel
campo di sterminio il 20 giugno 1940. È
lui a dirigere la “Schlosserei”, l’officina
interna al campo che fabbricava lampioni,
inferriate, sbarre, cancelli. Ebbene al
momento di saldare le lettere per comporre
la parola Arbeit Liwacz ribalta la B in modo
che l’occhiello piccolo risulti in basso
rispetto al grande, anziché in alto come la
grafica impone. È questo un gesto più piccolo
di un granello di sabbia del deserto,
ma che in quel contesto terribile e inumano
assume all’improvviso la forza e la grandezza
dell’urlo di Munch e insieme quello
di milioni di vittime innocenti che si ribellano,
unite nel gesto umile e semplice di un
fabbro. Un grido di libertà con le armi
benevoli della grafica, dell’alfabeto, delle
lettere. Nella loro insulsa e bestiale brutalità
razzista i nazisti non si accorsero mai che
quella semplice B capovolta rappresentava
la libertà, la dignità di una moltitudine di
perseguitati, e insieme la rivolta simbolica
contro la barbarie. Liwacz sopravvisse alla
morte e reclamò, giustamente, a liberazione
avvenuta la propria opera di ferro, ritornando
al proprio villaggio Bystrzyca
Klodzka, e dove morirà ottantaduenne.
Alla liberazione del campo il 27 gennaio
1945 ad opera dell’armata rossa, però, la
scritta verrà caricata dai sovietici su un
treno destinato all’Est. Ma un ex prigioniero
del campo, Eugeniusz Nosal, intuendo l’alto
valore simbolico della scritta, la scambiò
con un soldato sovietico in cambio di una
bottiglia di vodka. Sarà nascosta per anni
nel municipio di Auschwitz e donata in
seguito al Museo fondato sui resti del
campo di sterminio. kb
Libertà e dignità alfabetica: quella B capovolta di ARBEIT MACHT FREI
È rarissimo che accada, ma può accadere.
Una semplice, povera, trascurata, indifesa
lettera alfabetica può, con la sua sola presenza
oggettiva e tangibile, rappresentare
il miracolo assoluto: l’anelito alla libertà e
restituire dignità all’uomo, quando tutto
intorno è precipitato nella notte della follia
e nell’abisso della morte. Quando tutto
sembra perduto e intorno c’è soltanto l’esiziale
ghigno del potere e della forza bestiale,
proprio allora da una semplice lettera alfabetica
può scaturire la rivolta, la forza
estrema della propria coscienza di Uomo.
Questo è accaduto nel 1940, nel campo di
sterminio polacco di Auschwitz (Oswiecim
in polacco), ad opera di un umile artigiano,
un fabbro polacco, prigioniero come altri
milioni in quell’inferno assoluto e totalizzante.
Un capo tedesco del campo, Kurt
Müller, chiede che venga immediatamente
eseguito l’ordine imposto dal comandante
Rudolf Höss, che venga cioè realizzata, e
innalzata all’ingresso del campo di sterminio,
la targa in ferro battuto progettata dallo
stesso Müller, con la scritta Arbeit macht frei,
il lavoro rende liberi, che i nazisti avevano
ripreso, modificandola, da un passo del
Vangelo di San Giovanni, Wahrheit macht
frei, la verità rende liberi, e che a Höss
ricorda i suoi anni di carcere durante il
governo di Weimar. Ma Arbeit macht frei è
anche il titolo di un romanzo del 1872 dell’etnologo
e linguista Lorenz Diefenbach,
che mai avrebbe immaginato il terribile
uso che altri avrebbero fatto di quel titolo.
Una scritta illusoria e beffarda per coloro
che mai avrebbero visto la libertà, morendo
a milioni in quei luoghi (“le tre parole della
derisione […] sulla porta della schiavitù”,
così scrisse Primo Levi ne La Tregua). Della
realizzazione viene incaricato un prigioniero,
il dissidente politico polacco Jan
Liwacz, non ebreo, numero di matricola
1010 tatuato sull’avambraccio, che in
un’altra vita faceva il fabbro, entrato nel
campo di sterminio il 20 giugno 1940. È
lui a dirigere la “Schlosserei”, l’officina
interna al campo che fabbricava lampioni,
inferriate, sbarre, cancelli. Ebbene al
momento di saldare le lettere per comporre
la parola Arbeit Liwacz ribalta la B in modo
che l’occhiello piccolo risulti in basso
rispetto al grande, anziché in alto come la
grafica impone. È questo un gesto più piccolo
di un granello di sabbia del deserto,
ma che in quel contesto terribile e inumano
assume all’improvviso la forza e la grandezza
dell’urlo di Munch e insieme quello
di milioni di vittime innocenti che si ribellano,
unite nel gesto umile e semplice di un
fabbro. Un grido di libertà con le armi
benevoli della grafica, dell’alfabeto, delle
lettere. Nella loro insulsa e bestiale brutalità
razzista i nazisti non si accorsero mai che
quella semplice B capovolta rappresentava
la libertà, la dignità di una moltitudine di
perseguitati, e insieme la rivolta simbolica
contro la barbarie. Liwacz sopravvisse alla
morte e reclamò, giustamente, a liberazione
avvenuta la propria opera di ferro, ritornando
al proprio villaggio Bystrzyca
Klodzka, e dove morirà ottantaduenne.
Alla liberazione del campo il 27 gennaio
1945 ad opera dell’armata rossa, però, la
scritta verrà caricata dai sovietici su un
treno destinato all’Est. Ma un ex prigioniero
del campo, Eugeniusz Nosal, intuendo l’alto
valore simbolico della scritta, la scambiò
con un soldato sovietico in cambio di una
bottiglia di vodka. Sarà nascosta per anni
nel municipio di Auschwitz e donata in
seguito al Museo fondato sui resti del
campo di sterminio. kb
con una certa calma
Le liseur. Courtesy thomasapolis.com |
sì, certo, qui dovremmo cominciare un ragionamento sulla funzione del critico nel nostro mondo editoriale contemporaneo; magari un'altra volta.
di minuzie (forse manuzie) tipografiche
l'altro giorno, nella redazione di una prestigiosa casa editrice milanese, ho sentito qualcuno rivolgersi a un collega, parlando di un autore, come segue: "no, dico, renditi conto, questa è gente che non vuole i corsivi nei titoli". quella persona ero io, e mi sono fatta ridere da sola.
sabato 14 maggio 2011
rimpianti elettorali
quasi mi dispiace, che sia finita la campagna elettorale. ché qualche volta, a sentire le sublimi panzane degli opposti schieramenti – quando sono state pronunciate con la necessaria rettorica enfasi –, quasi me ne sono fatta infiammare. i candidati sono quelli che sono e non me ne piace davvero nessuno, epperò ci sono quelli che mi piacciono meno di altri, ad esempio fabrizio montuori, del partito comunista dei lavoratori, un tristo individuo con pizzetto, fronte spaziosa e coda di cavallo che alla "notte dei sindaci", trasmessa ieri su telelombardia, per dire routine dice tram tram. e quel che è peggio, sul suo sito sostiene che, essendo il momento di una svolta, le sinistre tutte, "politiche, sindacali, di movimento", nonché "tutto l’associazionismo democratico", dovrebbero concordemente fare come "in tunisia e in egitto": un completo spostato. altrettanto straordinaria mi appare la candidatura di marco mantovani di forza nuova, un tale che a cinquantuno anni porta ancora i favoriti e ama le pistole, sia pure regolarmente denunciate.
ho invece adorato il comizio di bersani a sostegno di pisapia, tenutosi l'11 maggio a milano, quello in cui, criticando le delinquenziali eccentricità di silvio berlusconi e dei suoi, egli ha pronunciato tra le altre la seguente frase: "bisogna essere normali, normali, normali". io trovo l'eloquio di questa avveduta massaia di piacenza totalmente coinvolgente. mi conquistano l'accento, quella bella zeta sonora, l'umorismo un po' cinico e quell'aria vagamente anni cinquanta, così poco incongrua. il mio forte gradimento va a insomma a pierluigi, che sfortunatamente a milano non si candida. e purtroppo non trovo giuliano pisapia, afflitto da una voce un pochino da vecchietta, altrettanto affascinante.
ho invece adorato il comizio di bersani a sostegno di pisapia, tenutosi l'11 maggio a milano, quello in cui, criticando le delinquenziali eccentricità di silvio berlusconi e dei suoi, egli ha pronunciato tra le altre la seguente frase: "bisogna essere normali, normali, normali". io trovo l'eloquio di questa avveduta massaia di piacenza totalmente coinvolgente. mi conquistano l'accento, quella bella zeta sonora, l'umorismo un po' cinico e quell'aria vagamente anni cinquanta, così poco incongrua. il mio forte gradimento va a insomma a pierluigi, che sfortunatamente a milano non si candida. e purtroppo non trovo giuliano pisapia, afflitto da una voce un pochino da vecchietta, altrettanto affascinante.
giovedì 12 maggio 2011
i profeti delle panchine_una descrizione di dio
è quella che scrive veronica tomassini, di cui parlammo l'anno scorso in occasione del suo esordio con Sangue di cane, in un commento su vibrisse:
"un Dio che è Padre, che opera la Sua Rivoluzione d’Amore nei luoghi dell’abiezione. Il Padre che siede con i profeti delle panchine, che tiene la fronte al becero, sollevando le braccia inutili del barbone sepolto dai suoi escrementi; un Padre che non riesce a smettere d’amare chi ha tradito, umiliato, offeso, chi ha operato il crimine e l’innominabile e si veste del nulla ed ha la faccia ruvida e sporca, e aspetta solo di perdonare, e lo ha già fatto. Il Padre che ascolta silenzioso il lamento del misero lercio accattone. Commosso".
cosa aspetta, il padre che ascolta silenzioso, a trarre le sue conclusioni e a versare un po' di sollievo nelle ferite purulente?
"un Dio che è Padre, che opera la Sua Rivoluzione d’Amore nei luoghi dell’abiezione. Il Padre che siede con i profeti delle panchine, che tiene la fronte al becero, sollevando le braccia inutili del barbone sepolto dai suoi escrementi; un Padre che non riesce a smettere d’amare chi ha tradito, umiliato, offeso, chi ha operato il crimine e l’innominabile e si veste del nulla ed ha la faccia ruvida e sporca, e aspetta solo di perdonare, e lo ha già fatto. Il Padre che ascolta silenzioso il lamento del misero lercio accattone. Commosso".
cosa aspetta, il padre che ascolta silenzioso, a trarre le sue conclusioni e a versare un po' di sollievo nelle ferite purulente?
sabato 7 maggio 2011
dimenticare maurizio cattelan
Antoine-Laurent-Thomas Vaudoyer
(Parigi, 1756-1846)
Dito colossale in marmo, 1785
penna, inchiostro, matita, acquarello, 205 x 194 mm
Roma, collezione W. Apolloni
Iscrizioni: in alto a sinistra “Doigt colossal en marbre/ porté par huit hommes/ au museum à Rome”; in alto a destra “1785 MUNIFICENTIA/ PIO VI PONT MAX”
(sul basamento)
Questo foglio è opera dell’architetto francese Antoine-Laurent-Thomas Vaudoyer, pensionnaire di architettura dell’Accademia di Francia a Roma tra il 1784 e il 1788. […] Come informa la dettagliata iscrizione a matita, il disegno raffigura il trasporto di un dito colossale in marmo al “Museo”, effettuato con una portantina in legno da otto uomini, diretti da una figura che possiamo identificare con un architetto o un impresario. La data 1785 e l’iscrizione posta sulla base del dito stesso, montato su di essa come fosse una colonna, mettono subito in connessione il dito e il suo trasporto con la figura di Pio VI, il grande pontefice protettore delle belle arti e delle antichità, a cui si deve la nascita e lo sviluppo di una delle realtà museali più importanti dell’Europa settecentesca, il museo Pio-Clementino in Vaticano. Dopo aver contribuito in misura decisiva, sotto il pontificato del suo predecessore Clemente XIV, alla fondazione del Clementino, primo vero museo di scultura antica in Vaticano, Pio VI, divenuto papa nel 1775, ampliò questa istituzione in un museo di grandiosa e innovativa concezione, il Pio-Clementino appunto, destinato immediatamente a divenire il fiore all’occhiello dell’offerta espositiva della capitale pontificia, luogo privilegiato di raccolta della moltitudine di sculture e di reperti che venivano ogni giorno alla luce nel corso delle attività di scavo sostenute dal pontefice stesso e dai numerosi impresari privati, locali e forestieri, dentro e fuori le mura di Roma. Non stupisce dunque che il pensionnaire Vaudoyer rappresentasse in disegno quella che doveva essere una realtà ricorrente nella Roma di Pio VI, vale a dire il trasporto al museo di statue e antichità acquistate dal pontefice, o acquisite grazie al meccanismo che consentiva allo Stato di incamerare un terzo di quanto scavato dai privati, o rinvenute nel corso degli scavi finanziati direttamente dalla Camera Apostolica.
Purtroppo, ed è davvero singolare, questo dito dalle dimensioni straordinarie sembra non aver lasciato nessun altro indizio di sé, oltre a questo disegno: non figura nel museo Pio-Clementino né nei depositi, né di esso si trova alcuna traccia nella pur vasta messe di documenti d’archivio, epistolari, guide, saggi, articoli e cataloghi che nel Settecento accompagnarono il ritrovamento, il restauro, il commercio dei reperti archeologici, nonché la loro acquisizione nei musei pubblici romani.
Ciò stupisce ancor più se si considerano le sue dimensioni davvero eccezionali (a giudicare dalle proporzioni con le figure dei portatori, circa due metri) […] Il dito doveva dunque appartenere a una statua veramente unica per grandezza, e lascia stupiti che un ritrovamento tanto fuori dal comune non sia stato materia di discussione tra gli eruditissimi antiquari del tempo.
Che debba essere allora considerato, il disegno di Vaudoyer, un divertissement ispirato, come molti altri, da quella mania dell’antico che pervadeva la cultura romana e contagiava di sé tutta l’Europa? Un’allusione satirica alla dedizione collezionistica del pontefice e alla magnificenza del trattamento riservato ai reperti antichi nel rinnovato museo vaticano? Un dito che diventa colonna, con tanto di basamento con iscrizione dedicatoria, un frammento che richiede otto uomini per essere trasportato, quasi fosse la statua di un santo portata in processione: per quanto realistica, è un’immagine che suscita immediata ironia. Nonostante la precisione dell’annotazione a matita sembri ricondurre all’osservazione diretta di un fatto reale, l’apparente assenza di sforzo dei portatori, la mancanza di elementi che circoscrivano uno spazio urbano o uno sfondo reale, la rigida frontalità del dito sono dati che a mio avviso confermano invece l’ipotesi che si tratti di un disegno d’invenzione. Per di più di rara sottigliezza: bersaglio della garbata canzonatura non sarebbe in questo caso semplicemente la mania antiquaria, ma, con maggiore finezza, la sontuosa accoglienza che la munificenza pontificia riservava alle reliquie dell’antico.
Federica Giacomini
Scheda in Carolina Brook, Valter Curzi, Roma e l’antico, catalogo della mostra (Roma, Fondazione Roma), Milano 2010.
antiretorica
A ottobre di quell’anno (1976, n.d.a.) Marina e Ulay andarono a Berlino, forse per preparare due performance che avrebbero presentato singolarmente in quella città un paio di mesi dopo. In quel periodo Marina fece un test di gravidanza, il cui esito Ulay avrebbe conservato gelosamente per i successivi trent’anni: era incinta. Com’era accaduto prima con Neša, era convinta che un figlio sarebbe stato un ostacolo insormontabile per la sua carriera artistica. Ulay ricorda che era solita dire: "Sono un’artista in tutto e per tutto e non posso condividere le mie emozioni d’artista con un figlio". Ulay fu d’accordo con la decisione di interrompere la gravidanza, intervento a cui Marina si sottopose ad Amsterdam.
James Westcott, When Marina Abramovic Dies - A Biography, MIT Press, Cambridge, MA, 2010.
immagine courtesy morbidanatomy.blogspot.com
venerdì 6 maggio 2011
you can't always get what you want
dato che non sempre si può scegliere, capita talvolta, nel corso dell'editing di un libro, di imbattersi in frasi come questa:
"Individuati forma, contenuti e funzioni, il passo successivo è stato quello di conferire all’oggetto un look degno del proprio utilizzo, in grado di soddisfare sia le ambizioni del cliente che le aspettative dell’opinione pubblica, sempre con un occhio di riguardo all’implementazione delle efficienze al momento ottenute".
l'oggetto in questione è un edificio che in lombardia diverrà senz'altro famoso; non so se l'estensore del testo lo diverrà altrettanto.
la colonna sonora, qui.
immagine courtesy blackapinostatus.tumblr.com
non è necessario
Anselm Kiefer. Immagine courtesy guardian.co.uk |
Non è necessario cambiare ambiente per cambiare sé stessi. Chi ritiene che in un luogo diverso sarebbe automaticamente diverso, si illude: Corea o Bali – ci si ritrova sempre solo con sé stessi. C’è una differenza tra Händel e Bach. Bach era sempre e soltanto nella sua chiesa di Lipsia, non viaggiava mai. Händel era cosmopolita. Di chi è la musica migliore? Non è importante dove ci si trovi. Se ci si vuole trasformare, si va dove c’è il meno possibile.
Christian Kaemmerling, Peter Pursche, “Nachts fahre ich mit dem Fahrrad von Bild zu Bild”, intervista ad Anselm Kiefer, in "Süddeutsche Zeitung, Magazin", n. 46, 16 novembre 1990, pp. 24-30.
giovedì 5 maggio 2011
trentenni, quarantenni e un cinquantenne (giulio mozzi)
Sonny Crockett |
non posso dire di aver completamente compreso: in che modo pensano i tq di incidere maggiormente sull'ecosistema socio-culturale che li circonda? e soprattutto, perché? uno scrittore non è un militante; uno scrittore scrive, descrive, interpreta, forse propone. gli scrittori incidono sulla realtà, methinks, solo se riescono a penetrare nei lettori. la misura della capacità di cambiamento della parola scritta di qualcuno sta nella misura in cui riesce a diventare parola letta di grande sostanza per qualcun altro – è una dinamica sostanzialmente individuale, lenta e indipendente dagli uffici stampa delle case editrici. i risultati del lavoro scrittura ---> lettura si verificano e si attestano nel tempo, e non credo che da qui si possa sfuggire. altro è il meccanismo editoriale, il carosello di presentazioni, reading, aperitivi, pranzi e cene con l'autore, cose buone e legittime per cercare di sostenere le vendite, ma che proprio non sostituiscono la capacità di un'opera di restare e fruttificare.
allora questa sedicente nuova categoria di tq, nelle sue istanze, mi appare assai posticcia. puerile mi appare la pretesa di contare di più, di comparire di più in televisione, di formare, nella parole di lagioia, gruppi "contundenti": scrivere è senz'altro esperienza individualissima (non tutti sono fruttero e lucentini – non ho mai letto niente dei wu ming, pertanto mi astengo dall'esprimere opinioni). concordo con beppe sebaste, che sull'argomento ha scritto un bel post: "Ciò che mi turba è la sicumera nell’avanzare diritti economico-istituzionali, il concepire l’atto di scrivere non come anarchico e conflittuale, irriducibile al potere, ma organico ad esso". e credo che giorgio vasta, tra i promotori e responsabile dell'ufficio stampa della casa editrice minimum fax, colga bene la questione nella frase dedicata ai lettori eventuali: "Vogliamo ragionare insieme su come superare la membrana che ci divide da una fetta ampia di società. Possiamo continuare a pensare che abbiano tutti torto perché non ci leggono? Dobbiamo dar vita a un movimento culturale e sociale e cercare di entrare in contatto". osservo: 1. effettivamente forse non hanno tutti torto perché non leggono certi scrittori; 2. il "movimento culturale e sociale per cercare di entrare in contatto" può difficilmente crearsi per i motivi che ho descritto sopra.
e allora plaudo all'opera didattica di giulio mozzi, il quale, oltre a scrivere, lavora con i ragazzi dell'iprase di trento, ad esempio nell'ambito del progetto scuola d'autore: esprimendo concetti e richieste precise, con una piana ammirevole chiarezza (a proposito di chiarezza, consiglio la visione del corso di scrittura allestito da questo scrittore su youtube). mi pare che si debba ricavare, da questo, che mozzi è in grado di valutare i tempi della sua personale opera di modificazione dell'"ecosistema": lenti e ragionati, con molta probabilità duraturi. è evidente ai più che l'unico modo per formare possibili lettori è formarli. possibilmente a una certa distanza dal proprio ombelico.
rammarico per un libro che finisce
Il motivo della disperazione di chi scrive è la fine del Diario (1660-1669) di Samuel Pepys. Il libro è stato frazionato centellinato sminuzzato suddiviso frammentato ma è terminato ugualmente. A Sam, alla fine, mi ero affezionata come a un amico un po' scapestrato, uno capace di dire:
"Ho passato tutta la mattinata ad attendere alla mia pulizia personale perché da cinque settimane vivevo nel sudiciume",
e anche:
"Si tratterebbe di trovare marito a mia sorella. Non si parla per ora di nessun pretendente, ma sarebbe il caso di trovarne uno perché quella poveretta diventa vecchia e brutta",
ma pure:
"Ho passato tutta la giornata in casa con mia moglie e col ragazzo dal quale mi sono fatto leggere la vita di Giulio Cesare e il Trattato della Musica di Descartes, del quale non ho capito niente",
e poi l'immagine della vita perfetta:
"Dopo aver chiacchierato con l'oste ho mangiato un piatto di cacciagione annaffiato con ottima birra, e, ripresa la barca, sono tornato a casa al chiaro di luna".
"Ho passato tutta la mattinata ad attendere alla mia pulizia personale perché da cinque settimane vivevo nel sudiciume",
e anche:
"Si tratterebbe di trovare marito a mia sorella. Non si parla per ora di nessun pretendente, ma sarebbe il caso di trovarne uno perché quella poveretta diventa vecchia e brutta",
ma pure:
"Ho passato tutta la giornata in casa con mia moglie e col ragazzo dal quale mi sono fatto leggere la vita di Giulio Cesare e il Trattato della Musica di Descartes, del quale non ho capito niente",
e poi l'immagine della vita perfetta:
"Dopo aver chiacchierato con l'oste ho mangiato un piatto di cacciagione annaffiato con ottima birra, e, ripresa la barca, sono tornato a casa al chiaro di luna".
questi sono giorni
di grande impegno lavorativo. Siccome non ho potuto celebrare degnamente l'entrata del mese di maggio, rimedierò adesso.
L'ascolto di Now is the Month of Maying, di Sir Thomas Morley, trascina in una gradevole letizia elisabettiana, sia nella versione tradizionale dei King's Singers sia in quella più concitata dei Taipei Chamber Singers (desidero sposare il direttore del coro).
Per chi volesse spensieratamente cantare lo splendido madrigale:
Now is the month of Maying, when merry lads are playing! Fa la la la la!
Each with his bonny lass, a-dancing on the grass, fa la la la la!
The Spring, clad all in gladness, doth laugh at Winter's sadness! Fa la la la la!
And to the bagpipes’ sound, the nymphs tread out the ground! Fa la la la la!
Fie! Then why sit we musing, youth’s sweet delight refusing? Fa la la la la!
Say, dainty nymphs and speak! Shall we play barley break? Fa la la la la!
L'ascolto di Now is the Month of Maying, di Sir Thomas Morley, trascina in una gradevole letizia elisabettiana, sia nella versione tradizionale dei King's Singers sia in quella più concitata dei Taipei Chamber Singers (desidero sposare il direttore del coro).
Per chi volesse spensieratamente cantare lo splendido madrigale:
Now is the month of Maying, when merry lads are playing! Fa la la la la!
Each with his bonny lass, a-dancing on the grass, fa la la la la!
The Spring, clad all in gladness, doth laugh at Winter's sadness! Fa la la la la!
And to the bagpipes’ sound, the nymphs tread out the ground! Fa la la la la!
Fie! Then why sit we musing, youth’s sweet delight refusing? Fa la la la la!
Say, dainty nymphs and speak! Shall we play barley break? Fa la la la la!
essere allan bloom
La prima volta che notai il declino della lettura, verso la fine degli anni sessanta, cominciai a domandare alle mie affollate classi propedeutiche […] quali libri contavano veramente per loro. La maggioranza tace imbarazzata dalla domanda. L'idea dei libri come compagni è loro estranea. […] Non esiste una parola stampata alla quale ricorrerebbero per consiglio, ispirazione e piacere. […] C'è sempre una ragazza che cita La fonte meravigliosa di Ayn Rand, un libro (che a stento si può considerare letteratura) che con la sua dogmaticità nietzschiana spinge i giovani un po' eccentrici verso un nuovo modo di vita. Pochi studenti citano libri recenti che li hanno colpiti e che confermano la loro interpretazione di sé, come Il giovane Holden (la loro è generalmente la risposta più autentica e al tempo stesso una manifestazione del bisogno che sentono di essere aiutati nell'interpretazione di sé stessi. Ma non è una risposta colta. I docenti dovrebbero sfruttare il bisogno espresso in questa risposta per dimostrare a tali studenti che scrittori migliori possono aiutarli di più). […] Immaginate un giovane di questo genere che va al Louvre o agli Uffizi e capirete subito la condizione della sua anima. Nella sua pura ignoranza delle storie dell'antichità biblica, greca o romana, Raffaello, Leonardo, Michelangelo, Rembrandt e tutti gli altri non possono dirgli niente. Tutto ciò che vede sono colori e forme – arte moderna. In breve, come quasi tutto nella sua vita spirituale, i dipinti e le statue sono astratte. […] La cultura ai nostri tempi deve cercare di scoprire che cosa negli studenti aspira al completamento e di ricostruire l'apprendimento che permetterà loro di cercarlo autonomamente. […] oggi gli studenti non hanno niente di simile al Dickens che dette a tanti di noi gli indimenticabili Pecksniffs, Micawber, Pip, con i quali affiniamo la nostra visione, permettendoci qualche sottigliezza nella distinzione dei tipi umani. È una serie complessa di esperienze quella che permette di dire con semplicità: "È uno Scrooge". Senza letteratura tali osservazioni non sono possibili e si perde la fine arte del confronto. L'ottusità psicologica dei nostri studenti è paurosa, perché essi hanno solo la psicologia pop che dice loro a che cosa assomiglia la gente e tutte le sue motivazioni. Mentre vacilla la consapevolezza che dovevamo quasi esclusivamente al genio letterario, la gente diventa più omogenea, perché non sa che potrebbe essere diversa. Che squallidi sostituti della diversità reale sono i selvaggi arcobaleni di capelli tinti e le altre differenze esteriori che all'osservatore non dicono niente di ciò che c'è dentro".
Allan Bloom, La chiusura della mente americana, Lindau, Torino 2009 (ma la prima edizione vera è del 1987).
L'editore Lindau perdonerà questa citazione così lunga. Un po' di knowledge dissemination non può far male.
Un paio di giorni fa ho partecipato al consiglio di classe del liceo dell'adolescentina. Con mio sommo stupore, ho assistito a un siparietto nel corso del quale alcune signore diversamente rinsecchite travestite da professoresse si lagnavano come mammine del brusio di sottofondo che nella classe dei nostri figli (una IV ginnasio) impediva loro di fare lezione serenamente. Terminata la burocratica elencazioni degli orribili misfatti, il consiglio di classe è terminato anch'esso.
Si può pretendere da ciascun insegnante il medesimo approccio che animava quello splendido conservatore che fu Allan Bloom? Senz'altro no, ma non accetto neanche la giustificazione di alcuni co-genitori, che concludevano: "Certo, bisogna capirle, sono stressate anche da questa faccenda della riforma. All'italiano sono state tolte due ore a settimana per darle a scienze, così tutti devono correre". Chi scrive ha frequentato un liceo classico della Magna Grecia. Era bello ma non splendido; senz'altro il POF (quanta allusiva evanescente onomatopeia, in questo acronimo che svanisce in un soffio) non proponeva né la conferenza di qualche volontario che illustrasse i disagi degli immigrati né un collettivo gaylesbico che illustrasse i disagi degli omosessuali (beninteso temi nobilissimi, che tuttavia a mio parere dovrebbero trovare l'opportuno spazio negli opportuni luoghi), senz'altro il POF, dicevo, non era all'altezza di quegli attuali: noi studiavamo e basta, e un paio di volte alla settimana facevamo un po' di educazione fisica in una palestra un po' scassata. Epperò le lezioni di filosofia del professor Genise sono rimaste in me indelebili. Con buona pace di questi professori, ahimé, cancellabilissimi.
Allan Bloom, La chiusura della mente americana, Lindau, Torino 2009 (ma la prima edizione vera è del 1987).
L'editore Lindau perdonerà questa citazione così lunga. Un po' di knowledge dissemination non può far male.
Un paio di giorni fa ho partecipato al consiglio di classe del liceo dell'adolescentina. Con mio sommo stupore, ho assistito a un siparietto nel corso del quale alcune signore diversamente rinsecchite travestite da professoresse si lagnavano come mammine del brusio di sottofondo che nella classe dei nostri figli (una IV ginnasio) impediva loro di fare lezione serenamente. Terminata la burocratica elencazioni degli orribili misfatti, il consiglio di classe è terminato anch'esso.
Si può pretendere da ciascun insegnante il medesimo approccio che animava quello splendido conservatore che fu Allan Bloom? Senz'altro no, ma non accetto neanche la giustificazione di alcuni co-genitori, che concludevano: "Certo, bisogna capirle, sono stressate anche da questa faccenda della riforma. All'italiano sono state tolte due ore a settimana per darle a scienze, così tutti devono correre". Chi scrive ha frequentato un liceo classico della Magna Grecia. Era bello ma non splendido; senz'altro il POF (quanta allusiva evanescente onomatopeia, in questo acronimo che svanisce in un soffio) non proponeva né la conferenza di qualche volontario che illustrasse i disagi degli immigrati né un collettivo gaylesbico che illustrasse i disagi degli omosessuali (beninteso temi nobilissimi, che tuttavia a mio parere dovrebbero trovare l'opportuno spazio negli opportuni luoghi), senz'altro il POF, dicevo, non era all'altezza di quegli attuali: noi studiavamo e basta, e un paio di volte alla settimana facevamo un po' di educazione fisica in una palestra un po' scassata. Epperò le lezioni di filosofia del professor Genise sono rimaste in me indelebili. Con buona pace di questi professori, ahimé, cancellabilissimi.
angelo, federico e l'altro_libreria militare, milano
Perché visitare la vostra libreria?
Per trovare personale attento e preparato, per condividere le proprie passioni, per reperire libri altrimenti difficili da trovare, per soddisfare la propria curiosità, per uscire dal mondo ottuso e noioso del politically correct, per dare una mano alla cultura scegliendo una libreria indipendente (e questo vale per tutte le librerie indipendenti).
Per trovare personale attento e preparato, per condividere le proprie passioni, per reperire libri altrimenti difficili da trovare, per soddisfare la propria curiosità, per uscire dal mondo ottuso e noioso del politically correct, per dare una mano alla cultura scegliendo una libreria indipendente (e questo vale per tutte le librerie indipendenti).
Così rispondeva l'anno scorso Angelo Pirocchi, della Libreria Militare di Milano, alla domanda di un'intervistatrice di GraphoMania. E che Pirocchi sia un libraio che adora ciò che fa è palese; basta un colloquio di pochi minuti con questo omone dall'eloquio coinvolgente il quale, oltre a venderli, i libri li pubblica, qui. Protagonista tra i più impegnati nelle attività che l'anno scorso hanno dato luogo alla rassegna estiva dei librai indipendenti milanesi, Angelo continua a coltivare il proprio entusiasmo anche individualmente: seleziona titoli, traduce, rivede, progetta t-shirts delle quali in questa sede non si può rivelare il contenuto perché non sono state ancora prodotte; dona alle signore cose da maschi, ad esempio shemag israeliani o libri su Ioni Netanyahu, l'eroe dell'Operazione Entebbe. Nel catalogo della Libreria Militare chi scrive apprezza enormemente, nella categoria Dottrina militare, la voce Criminologia, sotto la quale sono riuniti i seguenti titoli oggetti del suo desiderio:
(il Crime Classification Manual ce l'ho: l'ho comprato la settimana scorsa e non posso smettere di consultarlo)
Hicks-Sales, S.J.-B.D., Criminal profiling
Cattaneo-Maldarella, C.-M., Crimini e farfalle. Misteri svelati dalle scienze naturali
Rosso-Garombo-Furlan, C.-M.F.-P.M., Aggressori sessuali. La comprensione empirica del comportamento abusante
Gottlieb-Workman, A.-D., America Fights Back. Armed Self-Defense in a Violent Age
Lusa-Cioeta, V.-R., Antropologia criminale e devianza sociale. Tracciati di criminogenesi
Pascale-Striano, G.-P., Aspetti di psicologia investigativa. Le condizioni di stress dell'agente sotto copertura e le tecniche di “intervista”
Lusa-Borrini, V.-M., Atto criminale. Antropologia e scienze forensi per un'indagine sul male
Marra, A.M., Casi professionali di Polizia Giudiziaria
McCann, K., Combatives for Street Survival. Hard-Core Countermeasures for High-Risk Situations
Eliopulos, L.N., Death investigator's handbook Vol 1. Crime Scenes
Hazelwood-Michaud, R.-S.G., Ossessioni criminali. Un noto profiler dell'FBI esamina la mente omicida
La libreria di Angelo Pirocchi è piccola e congestionata; bisogna assolutamente vederla perché è posta in un sito ameno, tra via Morigi e via della Vigna, immersa nella decadente tranquillità di una zona milanese per autentici ricchi e, last but not least, le eventuali signore in visita non potranno rimanere indifferenti al fascino avvolgente di Pirocchi, allo scuro scintillio nelle iridi di Federico Peyrani e al ceruleo sguardo fulminante di un altro imbronciato loro collega di cui non ricordo il nome.
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