l'orecchio muto ci sente, oh, quanto ci sente |
mercoledì 30 novembre 2011
l'orecchio muto_welcome to the world
christmas time at biblohaus
Di "Cantieri", di Biblohaus e di Massimo Gatta abbiamo già parlato qui. Gli editori definiscono"Cantieri" una newsletter, un understatement per una rivista come nessun'altra su libri, mestieri correlati, scoperte nel passato, coraggiose proposte fuori moda. Nell'ultimo, fortemente natalizio numero della pubblicazione trovo una appassionatissima recensione di Stefano Salis all'ultimo libro di Massimo Gatta, Lo scaffale di carta. La riporto di seguito (mi ha fatto venire una voglia matta di procurarmi il volume):
Comunque la si voglia rigirare, una cosa
appare sicura: è una vertigine, un abisso, un
precipizio nel quale ciascuno di noi lettori, ha
prima o poi, ficcato lo sguardo. Sì, leggere di
argomenti che hanno a che fare con il mondo
del libro, non è un atto neutrale. È un mettersi
in scena, ma, di più, un ‘confrontare’ ciò che
l’autore sta raccontando con il nostro percepito
quotidiano. Banalmente si può supporre
di verificare le proprie nozioni su quello o quel
mestiere legato al libro, più profondamente,
invece, è un giro d’orizzonte su cosa significhi
essere lettori, amare i libri, venerarli, a volte
anche in maniera insana. A Massimo Gatta, e
ai suoi studi e ricognizioni su questi mestieri del
libro immortalati nei libri, dobbiamo, prima di
tutto, un sapiente – e quasi esaustivo – lavoro
di schedatura. Lavoro che non può avere fine,
ovvio. Quanti libri, davvero, quanti ci parlano
di questi mestieri? E quanto è capace Gatta
di ingolosire il lettore segnalando ‘chicche’ che
spesso sembrano molto più belle e appetitose
di quelle che noi, nel nostro percorso di lettori
attenti, abbiamo già letto ed assaggiato. Ecco
dunque, in questa raccolta, un dispiegamento
di mezzi possente, prima di tutto. Citazioni,
rimandi, segnalazioni. Libri di genere, romanzi
di più alto valore letterario e molti episodi di
vita vissuta. Rimandi che, chi frequenta l’editoria,
spesso, riconosce e valuta in base a ciò
che già sa, se non è capace – come capita a me
– di farsi invece sempre sorprendere di come
possano essere ricostruite le vicende, con altri
legami, con connessioni alternative a quelle
che noi abbiamo stabilito. Ecco i personaggi
reali (penso soprattutto ai gloriosi editori che
Gatta cita spesso), ecco quelli letterari. Ecco le
esperienze di lavoro: tipografi, cartai, editori,
bibliotecari, librai che girano in bicicletta.
Sono interventi da leggere così: spiluccando e
apprezzando, concedendosi il lusso di riprendere
e approfondire, perché Gatta istiga alla
‘delinquenza’ del lettore: la sua insaziabile
voracità. La curiosità estrema che lo pervade.
Eppure, eppure. Questi testi, e molti libri che
parlano di questi argomenti, mi è capitato già
di scriverlo, lasciano un retrogusto amaro, un
che di sospetto. Il mondo del libro di carta
non è finito e non finirà ancora per un bel
po’, sarebbe stupido sostenerlo. Ma non si
può fare a meno di pensare che sia un mondo
al tramonto. Non bisogna averne paura: ma
come ai torchi si sono sostituite le rotative,
forse alla carta si sostituirà il video, alla libreria
l’acquisto tramite un tablet. Ciò che accomuna
tutti questi lavori, e che li giustifica, essendone
il fine ultimo, è, però, la lettura. Ma io temo
che anche qui siamo di fronte a un prossimo,
epocale, cambiamento. Non so se l’esperienza
di lettura in futuro sarà quella cui siamo
abituati oggi. È già capitato: secoli fa si leggeva
lentamente e a voce alta, la lettura silenziosa
e veloce è scoperta (e invenzione) medievale.
Forse, in futuro, leggeremo testi - e non solo
fatti di parole - in maniera diversa. Ciò che ci
fa guardare, appunto, con sospetto a ciò che
molta narrativa ci va raccontando in questi
ultimi anni. Il libro al centro del romanzo
diventa qualcosa di sempre più sospetto,
misto a un qualcosa di esoterico, un’aura che
comincia a diventare ombra di un passato che
si inframmezza del sapore di una favola. Ci
vorrà tempo, e speriamo di essere contraddetti.
È materia per un prossimo libro di Gatta, forse.
Raccontarci come la letteratura odierna ha
raccontato i ‘lettori’. Allora sì avremo l’abisso:
ci specchieremo dentro questa carta opaca e
porosa di cui sono fatti i libri. Vedendoci, sì,
come attori e protagonisti. Con la speranza,
nemmeno tanto segreta, di riconoscerci e
non di vederci sostituiti da figuri avvezzi a un
insano gesto come leggere. Gridiamolo ogni
volta che si può: siamo lettori, e fieri di esserlo.
Non facciamo nulla di male, e ci crediamo ancora.
stefano salis
Ah, e non perdetevi assolutamente l'articolo su Umberto Saba libraio antiquario, sempre dell'ottimo Gatta. Ecco un appetizer, la voce dello stesso Saba: "Ho detto che non m’intendevo di libri antichi. Appena sapevo che esistevano degli incunaboli e che Aldo Manuzio era stato un grande stampatore del Cinquecento. Tuttavia non credo di aver fatto mai un cattivo acquisto, né di averlo mai fatto fare ad un mio cliente".
"Cantieri" si può prelevare in formato pdf qui. La casa editrice parteciperà al Salone del libro usato, a Milano dal 7 all'11 dicembre (Fiera Milano City, viale Scarampo, padiglione 3).
Comunque la si voglia rigirare, una cosa
appare sicura: è una vertigine, un abisso, un
precipizio nel quale ciascuno di noi lettori, ha
prima o poi, ficcato lo sguardo. Sì, leggere di
argomenti che hanno a che fare con il mondo
del libro, non è un atto neutrale. È un mettersi
in scena, ma, di più, un ‘confrontare’ ciò che
l’autore sta raccontando con il nostro percepito
quotidiano. Banalmente si può supporre
di verificare le proprie nozioni su quello o quel
mestiere legato al libro, più profondamente,
invece, è un giro d’orizzonte su cosa significhi
essere lettori, amare i libri, venerarli, a volte
anche in maniera insana. A Massimo Gatta, e
ai suoi studi e ricognizioni su questi mestieri del
libro immortalati nei libri, dobbiamo, prima di
tutto, un sapiente – e quasi esaustivo – lavoro
di schedatura. Lavoro che non può avere fine,
ovvio. Quanti libri, davvero, quanti ci parlano
di questi mestieri? E quanto è capace Gatta
di ingolosire il lettore segnalando ‘chicche’ che
spesso sembrano molto più belle e appetitose
di quelle che noi, nel nostro percorso di lettori
attenti, abbiamo già letto ed assaggiato. Ecco
dunque, in questa raccolta, un dispiegamento
di mezzi possente, prima di tutto. Citazioni,
rimandi, segnalazioni. Libri di genere, romanzi
di più alto valore letterario e molti episodi di
vita vissuta. Rimandi che, chi frequenta l’editoria,
spesso, riconosce e valuta in base a ciò
che già sa, se non è capace – come capita a me
– di farsi invece sempre sorprendere di come
possano essere ricostruite le vicende, con altri
legami, con connessioni alternative a quelle
che noi abbiamo stabilito. Ecco i personaggi
reali (penso soprattutto ai gloriosi editori che
Gatta cita spesso), ecco quelli letterari. Ecco le
esperienze di lavoro: tipografi, cartai, editori,
bibliotecari, librai che girano in bicicletta.
Sono interventi da leggere così: spiluccando e
apprezzando, concedendosi il lusso di riprendere
e approfondire, perché Gatta istiga alla
‘delinquenza’ del lettore: la sua insaziabile
voracità. La curiosità estrema che lo pervade.
Eppure, eppure. Questi testi, e molti libri che
parlano di questi argomenti, mi è capitato già
di scriverlo, lasciano un retrogusto amaro, un
che di sospetto. Il mondo del libro di carta
non è finito e non finirà ancora per un bel
po’, sarebbe stupido sostenerlo. Ma non si
può fare a meno di pensare che sia un mondo
al tramonto. Non bisogna averne paura: ma
come ai torchi si sono sostituite le rotative,
forse alla carta si sostituirà il video, alla libreria
l’acquisto tramite un tablet. Ciò che accomuna
tutti questi lavori, e che li giustifica, essendone
il fine ultimo, è, però, la lettura. Ma io temo
che anche qui siamo di fronte a un prossimo,
epocale, cambiamento. Non so se l’esperienza
di lettura in futuro sarà quella cui siamo
abituati oggi. È già capitato: secoli fa si leggeva
lentamente e a voce alta, la lettura silenziosa
e veloce è scoperta (e invenzione) medievale.
Forse, in futuro, leggeremo testi - e non solo
fatti di parole - in maniera diversa. Ciò che ci
fa guardare, appunto, con sospetto a ciò che
molta narrativa ci va raccontando in questi
ultimi anni. Il libro al centro del romanzo
diventa qualcosa di sempre più sospetto,
misto a un qualcosa di esoterico, un’aura che
comincia a diventare ombra di un passato che
si inframmezza del sapore di una favola. Ci
vorrà tempo, e speriamo di essere contraddetti.
È materia per un prossimo libro di Gatta, forse.
Raccontarci come la letteratura odierna ha
raccontato i ‘lettori’. Allora sì avremo l’abisso:
ci specchieremo dentro questa carta opaca e
porosa di cui sono fatti i libri. Vedendoci, sì,
come attori e protagonisti. Con la speranza,
nemmeno tanto segreta, di riconoscerci e
non di vederci sostituiti da figuri avvezzi a un
insano gesto come leggere. Gridiamolo ogni
volta che si può: siamo lettori, e fieri di esserlo.
Non facciamo nulla di male, e ci crediamo ancora.
stefano salis
Ah, e non perdetevi assolutamente l'articolo su Umberto Saba libraio antiquario, sempre dell'ottimo Gatta. Ecco un appetizer, la voce dello stesso Saba: "Ho detto che non m’intendevo di libri antichi. Appena sapevo che esistevano degli incunaboli e che Aldo Manuzio era stato un grande stampatore del Cinquecento. Tuttavia non credo di aver fatto mai un cattivo acquisto, né di averlo mai fatto fare ad un mio cliente".
"Cantieri" si può prelevare in formato pdf qui. La casa editrice parteciperà al Salone del libro usato, a Milano dal 7 all'11 dicembre (Fiera Milano City, viale Scarampo, padiglione 3).
albanacco_mark twain
Il 30 novembre ha proprio dato all'umanità la crème de la crème. Ricorre oggi anche il genetliaco di Mark Twain, che compirebbe centosettantasei anni. Ed ecco come, nel suo Tom Sawyer, un libro si rivela foriero di grandi disgrazie: "Il maestro, il signor Dobbins, era arrivato all’età matura con un’ambizione inappagata. Il più vivo dei suoi desideri era quello di diventare medico, ma la povertà aveva deciso che non potesse essere niente di più di un modesto maestro di scuola di villaggio. Ogni giorno egli toglieva dal cassetto della cattedra un libro misterioso e, quando non faceva ripetere la lezione agli scolari, si calava nella lettura. Teneva quel libro sotto chiave. E non v’era un solo monello, nella scuola, che non morisse dalla voglia di dargli un’occhiata; ma l’occasione non si presentava mai. Tutti i ragazzi e tutte le bambine avevano una loro teoria a proposito di quel libro; ma non v’erano due di quelle teorie che fossero uguali, e non esisteva il modo di accertare la verità al riguardo. Ora Becky, mentre stava passando accanto alla cattedra, situata vicino alla porta, notò che la chiave del cassetto era infilata nella serratura! Si trattava di un’occasione preziosa, da non perdere. La bambina si guardò attorno, constatò di essere sola, e, un momento dopo, aveva il libro tra le mani. Il frontespizio – Anatomia, del professor tal dei tali – non le disse niente, e pertanto ella cominciò a sfogliare il volume. Le capitò subito sotto gli occhi una tavola mirabilmente incisa e colorata, una figura umana. In quello stesso attimo, un’ombra si posò sulla pagina e Tom Sawyer varcò la soglia dell’aula e intravide la tavola a colori. Becky fece un movimento violento per chiudere il libro ed ebbe la sfortuna di lacerare fino a metà la pagina a colori. Gettò il volume nel cassetto, girò la chiave, e scoppiò in lacrime per la vergogna e l’irritazione.
«Tom Sawyer, sei davvero perfido. Spiare la gente per vedere quello che sta guardando!»
«Come potevo sapere che stavi guardando qualcosa?»
«Dovresti vergognarti, Tom Sawyer; sai benissimo che ora mi farai la spia! E, oh, che cosa sarà di me? Che cosa sarà di me? Il maestro mi frusterà, e non sono mai stata frustata a scuola!»
Poi batté il piedino sul pavimento e soggiunse:
«Sii pure così malvagio, se vuoi! Io so qualcos’altro che succederà. Aspetta e vedrai! Sei odioso, odioso, odioso!» e corse fuori dell’aula con una nuova esplosione di pianto.
Tom rimase immobile, alquanto confuso da tanta aggressività. Poi si disse: “Che strana e stupida ragazzina è mai questa! Non l’hanno mai frustata a scuola! E con questo? Cos’è mai una frustatina? Ma le femmine sono fatte così... hanno la pelle tenera e una gran fifa di tutto. Be’, naturalmente non andrò a raccontare al vecchio Dobbins quello che ha fatto quella stupidella, perché esistono altri modi per pareggiare i conti che non sono così vili. Ma non servirà a niente lo stesso. Il vecchio Dobbins domanderà chi è stato a strappare il libro. E nessuno aprirà bocca. Lui farà, allora, quello che fa sempre... ripeterà la domanda a tutti uno dopo l’altro, e quando sarà arrivato alla colpevole se ne accorgerà, anche se lei non dirà niente. Le ragazze si tradiscono sempre con l’espressione della faccia. Non hanno spina dorsale le femmine. E Becky verrà punita. Oh, sì, si trova proprio nei guai, Becky Thatcher, perché non ha vie d’uscita.” Tom rifletté sulla situazione ancora per un momento, poi soggiunse, tra sé e sé: “Oh, peggio per lei; sarebbe contenta se fossi io a trovarmi in questo pasticcio... se la cavi per suo conto, dunque”.
«Tom Sawyer, sei davvero perfido. Spiare la gente per vedere quello che sta guardando!»
«Come potevo sapere che stavi guardando qualcosa?»
«Dovresti vergognarti, Tom Sawyer; sai benissimo che ora mi farai la spia! E, oh, che cosa sarà di me? Che cosa sarà di me? Il maestro mi frusterà, e non sono mai stata frustata a scuola!»
Poi batté il piedino sul pavimento e soggiunse:
«Sii pure così malvagio, se vuoi! Io so qualcos’altro che succederà. Aspetta e vedrai! Sei odioso, odioso, odioso!» e corse fuori dell’aula con una nuova esplosione di pianto.
Tom rimase immobile, alquanto confuso da tanta aggressività. Poi si disse: “Che strana e stupida ragazzina è mai questa! Non l’hanno mai frustata a scuola! E con questo? Cos’è mai una frustatina? Ma le femmine sono fatte così... hanno la pelle tenera e una gran fifa di tutto. Be’, naturalmente non andrò a raccontare al vecchio Dobbins quello che ha fatto quella stupidella, perché esistono altri modi per pareggiare i conti che non sono così vili. Ma non servirà a niente lo stesso. Il vecchio Dobbins domanderà chi è stato a strappare il libro. E nessuno aprirà bocca. Lui farà, allora, quello che fa sempre... ripeterà la domanda a tutti uno dopo l’altro, e quando sarà arrivato alla colpevole se ne accorgerà, anche se lei non dirà niente. Le ragazze si tradiscono sempre con l’espressione della faccia. Non hanno spina dorsale le femmine. E Becky verrà punita. Oh, sì, si trova proprio nei guai, Becky Thatcher, perché non ha vie d’uscita.” Tom rifletté sulla situazione ancora per un momento, poi soggiunse, tra sé e sé: “Oh, peggio per lei; sarebbe contenta se fossi io a trovarmi in questo pasticcio... se la cavi per suo conto, dunque”.
albanacco_jonathan swift
Compie oggi trecentoquarantaquattro anni Jonathan Swift. Ed ecco come legge il suo Gulliver nel paese di Brobdingnag: "L'arte della stampa è nota loro da tempo immemorabile, come ai cinesi; ma le loro biblioteche non sono gran che grandi. La maggiore, quella del re, conta appena mille volumi disposti in fila in una galleria lunga milleduecento piedi. Io potevo andarvi a leggere tutti i libri che mi piaceva. Lo stipettaio della regina mi aveva fabbricato una specie di scaleo alto venticinque piedi, con certi gradini larghi cinquanta. Mi ponevano il libro aperto appoggiato al muro, e lo scaleo di fronte ad esso a dieci piedi di distanza; quindi io salivo sul gradino più alto, con lo sguardo volto verso il libro, e cominciavo a camminare sul gradino da destra a sinistra, leggendo le prime righe in alto della pagina; poi, quando le righe erano scese sotto il livello della mia vista, scendevo sul gradino seguente, e così a poco a poco arrivavo in fondo alla pagina e alla scala. Per leggere la pagina seguente risalivo fino in cima, e quando l'avevo terminata, voltavo il foglio con ambo le mani, senza grande fatica, perché era spesso quasi come il cartone; i libri più grossi non sorpassavano i diciotto o venti piedi d'altezza."
martedì 29 novembre 2011
signori, si è scritto! con giulio mozzi
Giulio Mozzi gioca con il maialino in un momento di relax, in attesa di cogliere i frutti maturati in virtù della sua opera di maieutica nella Bottega di narrazione |
Riporto il testo di un sms ricevuto dallo stesso Mozzi (che per disseminare a volte usa il cellulare), invitando le folle alla partecipazione:
"Buondì. Domenica 4 dicembre, a Milano in via Carlo Tenca 7, dalle dieci all'una e dalle due alle sei, gli allievi della Bottega di narrazione guidata da Giulio Mozzi e Gabriele Dadati presentano il lavoro svolto nel corso dell'anno. Ci sono almeno quattro romanzi con i fiocchi, a mio avviso. Per confermare la presenza o per ricevere i materiali scrivere a dadati@laurana.it. Grazie per l'attenzione. Giulio Mozzi".
scrittori itineranti
La parte povera di Milano. © 2011 adolescentina |
concorso a premi_indovina la signora*
un giorno ho scritto un post in cui parlavo, tra l'altro, di quanto mi seccasse questa storia delle cose "al femminile" e di quanto fossero talvolta puerili i seguaci di certi blogger. la titolare di un blog di letteratura (dal titolo improntato al personalismo, dirò per facilitare i concorrenti) mi ha lasciato un commento di protesta, in cui mi invitava a non decontestualizzare e a tenere conto dei singoli commenti rapportati al tutto. io ho cancellato il commento, poiché non ho gradito l'ingerenza. ecco lo scambio generato da quell'atto. posto che "a." è chi scrive, il concorso consiste nell'indovinare chi è l'altra signora.
-- Gentile a.,
trovo profondamente scorretto, professionalmente e umanamente, quello che lei sta facendo. Non c'era nulla di offensivo nel commento che le ho lasciato: salvo l'invito a non decontestualizzare i singoli commenti, cosa più che legittima, perchè un commento da solo non restituisce il senso della discussione. Lei ha cancellato quella che, da titolare di nome del sito, era una richiesta peraltro garbata.
A questo punto, le chiedo di smetterla di occuparsi di me dal momento che non ha alcuna intenzione di aprire un dialogo via Internet, ma solo di monologare.
trovo profondamente scorretto, professionalmente e umanamente, quello che lei sta facendo. Non c'era nulla di offensivo nel commento che le ho lasciato: salvo l'invito a non decontestualizzare i singoli commenti, cosa più che legittima, perchè un commento da solo non restituisce il senso della discussione. Lei ha cancellato quella che, da titolare di nome del sito, era una richiesta peraltro garbata.
A questo punto, le chiedo di smetterla di occuparsi di me dal momento che non ha alcuna intenzione di aprire un dialogo via Internet, ma solo di monologare.
-- Cara nome,
lei sollecita una mia risposta, e io accolgo la sua sollecitazione.
Mi permetta, per cortesia, di osservare quello che credo e di restituirlo come desidero, prendendo la parte che mi interessa, da qualunque luogo io voglia frequentare: sono certa che i miei amici comprenderanno – nessuna preoccupazione: sono talmente pochi che delle mie cose si accorge solo chi si impegna davvero.
Non avevo, con la mia estrapolazione, alcuna intenzione di restituire il senso della discussione. Volevo invece – forse ellitticamente, come mi fa comprendere il suo messaggio – sottolineare l'effetto-adepto che si osserva in molti luoghi dell'internet, non solo nel suo sito. Questo effetto fa sì che, tra molti interventi accettabili e sin belli, trovino posto anche parecchi sproloqui, a dimostrazione che sovente i seguaci di qualcuno diventano più realisti del re. E io trovo che nel suo sito (ma anche in quello dell'ottimo nome, o in altri che non elenco per economia) vi siano parecchi realisti, parecchia piaggeria.
Come le ho già detto, io la stimo molto; la parte che non apprezzo è quella che trascolora nel militante, quella che in questo modo banalizza tutto (questa, che è un'opinione su un atteggiamento, non ha nulla a che vedere con alcune istanze da lei propugnate e che condivido: mi riservo di ridere a crepapelle su alcuni toni e su alcuni registri): non la apprezzo in lei, non la apprezzo nei suoi commentatori, non la apprezzo in generale, e mi tengo la libertà di sbeffeggiarla se credo.
Come avrà visto, il mio blog non è un blog di discussione: è piuttosto un blog di impressione, e in quanto tale può fare una cattiva impressione. A volte è anche un luogo in cui mi piace essere poco seria. In ogni caso, non sono interessata a diatribe virtuali, che trovo snervanti e poco divertenti.
(Detto tra noi, però, non ha trovato particolarmente esilarante la prosa della fedele nome sull'educazione dei maschi di famiglia?)
lei sollecita una mia risposta, e io accolgo la sua sollecitazione.
Mi permetta, per cortesia, di osservare quello che credo e di restituirlo come desidero, prendendo la parte che mi interessa, da qualunque luogo io voglia frequentare: sono certa che i miei amici comprenderanno – nessuna preoccupazione: sono talmente pochi che delle mie cose si accorge solo chi si impegna davvero.
Non avevo, con la mia estrapolazione, alcuna intenzione di restituire il senso della discussione. Volevo invece – forse ellitticamente, come mi fa comprendere il suo messaggio – sottolineare l'effetto-adepto che si osserva in molti luoghi dell'internet, non solo nel suo sito. Questo effetto fa sì che, tra molti interventi accettabili e sin belli, trovino posto anche parecchi sproloqui, a dimostrazione che sovente i seguaci di qualcuno diventano più realisti del re. E io trovo che nel suo sito (ma anche in quello dell'ottimo nome, o in altri che non elenco per economia) vi siano parecchi realisti, parecchia piaggeria.
Come le ho già detto, io la stimo molto; la parte che non apprezzo è quella che trascolora nel militante, quella che in questo modo banalizza tutto (questa, che è un'opinione su un atteggiamento, non ha nulla a che vedere con alcune istanze da lei propugnate e che condivido: mi riservo di ridere a crepapelle su alcuni toni e su alcuni registri): non la apprezzo in lei, non la apprezzo nei suoi commentatori, non la apprezzo in generale, e mi tengo la libertà di sbeffeggiarla se credo.
Come avrà visto, il mio blog non è un blog di discussione: è piuttosto un blog di impressione, e in quanto tale può fare una cattiva impressione. A volte è anche un luogo in cui mi piace essere poco seria. In ogni caso, non sono interessata a diatribe virtuali, che trovo snervanti e poco divertenti.
(Detto tra noi, però, non ha trovato particolarmente esilarante la prosa della fedele nome sull'educazione dei maschi di famiglia?)
-- Cara a.,
Non so cosa la spinga, non so quali siano le sue motivazioni. Ma l'effetto adepto, detto papale papale, lo estrapoli da altri blog, e non dal mio. E' una richiesta cortese, fermo restando la sua libertà di gratificarsi ridendo degli altri.
Libera di non accettarla. Gradirei, ad ogni modo, essere ignorata da lei.
Non so cosa la spinga, non so quali siano le sue motivazioni. Ma l'effetto adepto, detto papale papale, lo estrapoli da altri blog, e non dal mio. E' una richiesta cortese, fermo restando la sua libertà di gratificarsi ridendo degli altri.
Libera di non accettarla. Gradirei, ad ogni modo, essere ignorata da lei.
-- Ho forse scritto io a lei?
-- Intendo: mi ignori sul suo blog. Ricambierò la cortesia.
-- Temo che continuerò a osservare e a scrivere quello che credo, così come farà lei.
-- Mi perdoni, a. Sono davvero senza parole. Non comprendo il livore, non comprendo la cattiveria, non comprendo la ferocia. Nè l'atteggiamento da troll. Che tale è.
-- senta, sa cosa non comprendo io? non comprendo perché ci dilunghiamo in questi scambi un po' puerili. basta così, pacifichiamoci, ciascuna torni al suo campicello (dove, se mi permette, le suggerirei di seminare qualche grano di umorismo: facilita i rapporti e spazza via i broncetti da mi-prendo-molto-sul-serio) e occupiamoci di temi più urgenti.
exit.
exit.
-- si vergogni, a. Temi più urgenti? E quali, il futuro delle librerie? Si vergogni, ma sul serio.
-- credo di essere più o meno sua coetanea (sono nata nel 1960). l'ultima volta che qualcuno mi ha ingiunto di vergognarmi era il 1968. l'autrice della frase era mia nonna. ma proprio il senso del ridicolo non la sfiora, mentre scrive certe frasi? e pensare che basterebbe così poco per intendersi. me misera. (c'era un bellissimo libro di preghiere della suddetta nonna che conteneva molti me miserum e qualche deh).
-- Forse io sono ridicola. Ma lei è inqualificabile.
-- dice così perché non mi conosce davvero, perché non siamo mai state su un divano con un buon bicchiere. se un giorno dovesse accadere, potrà qualificarmi (ma ci tiene davvero?).
forse la signora non ci teneva davvero, perché da quel giorno non mi ha più scritto una riga. io mi sono molto divertita nel prendermi la strigliata dell'attivista.
* chi indovina vince un pomeriggio di spionaggio-lettori con chi scrive e un calice di prosecco, alla feltrinelli di corso buenos aires, a milano.
albanacco_louisa may alcott
Compie oggi centosettantanove anni Louisa May Alcott. I suoi professori si chiamavano Nathaniel Hawthorne, Ralph Waldo Emerson, Henry David Thoreau. Ed ecco il brano che ha fatto e fa dire a parecchie signore della mia generazione "Io, tra le piccole donne, mi identifico con Jo":
"Jo, Jo, dove sei", gridò Meg dal fondo delle scale. "Qui", rispose una voce dall’alto e correndo su Meg trovò sua sorella in soffitta, ove tutta imbacuccata in un vecchio scialle, se ne stava seduta su di una poltrona presso alla finestra, mangiando mele e lacrimando sulla misera sorte dell’eroe del romanzo che stava leggendo. Questo era il cantuccio prediletto di Jo; il luogo ove si rifugiava spessissimo con una provvista di mele in tasca ed un bel libro, per poter leggere a suo bell’agio e bearsi nella società di un minuscolo topo che non aveva alcuna paura di lei. Appena vide comparire Meg, il topino si rifugiò nel suo buco e Jo, asciugandosi gli occhi e la faccia col fazzoletto, domandò quale fosse la causa dell’improvvisa interruzione. "Oh! Jo, che bellezza! la signora Gardiner ci ha mandato l’invito per la sua festa da ballo di domani sera!", esclamò Meg, e mamma ci ha dato il permesso di andare. Che cosa ci mettiamo?" "Che bisogno c’è di far questa domanda, quando sai benissimo che dovremo metterci i nostri soliti vestiti! Non ne abbiamo altri!", rispose Jo a bocca piena. "Se potessi avere un vestito di seta! Mamma me ne ha promesso uno quando avrò diciotto anni, ma ho da allungare il collo! Due anni non sono mica un giorno!", sospirò Meg. "I nostri vestiti sembrano di seta e sono in buonissimo stato: il tuo è quasi nuovo; ma... a proposito: mi scordavo della bruciatura e dello strappo nel mio! Come devo fare? Quella bruciatura è proprio nel mezzo della schiena! E non posso neanche accomodarla!" "Bisognerà che tu stia sempre seduta; il davanti sta benone! Io ho un magnifico nastro nuovo per legarmi le trecce e mamma mi presterà la sua spilletta d’oro; le mie scarpine, debbo dire la verità, sono proprio eleganti: i miei guanti potrebbero essere più puliti, ma mi dovranno servire!" "I miei sono tutti sciupati e non posso comprarne un altro paio; perciò starò senza", disse Jo, che non si curava mai del vestiario. "Tu devi avere assolutamente un paio di guanti! Se non li hai io non vengo", disse Meg. "I guanti sono una delle cose più importanti perché, senza quelli, non puoi ballare e se non ballassi mi dispiacerebbe troppo!" "Starò seduta! che cosa me ne importa? Tu sai benissimo che fare quegli stupidi balli in giro non mi piace; io mi diverto soltanto quando posso saltare, far capriole e divertirmi a modo mio!"
"Jo, Jo, dove sei", gridò Meg dal fondo delle scale. "Qui", rispose una voce dall’alto e correndo su Meg trovò sua sorella in soffitta, ove tutta imbacuccata in un vecchio scialle, se ne stava seduta su di una poltrona presso alla finestra, mangiando mele e lacrimando sulla misera sorte dell’eroe del romanzo che stava leggendo. Questo era il cantuccio prediletto di Jo; il luogo ove si rifugiava spessissimo con una provvista di mele in tasca ed un bel libro, per poter leggere a suo bell’agio e bearsi nella società di un minuscolo topo che non aveva alcuna paura di lei. Appena vide comparire Meg, il topino si rifugiò nel suo buco e Jo, asciugandosi gli occhi e la faccia col fazzoletto, domandò quale fosse la causa dell’improvvisa interruzione. "Oh! Jo, che bellezza! la signora Gardiner ci ha mandato l’invito per la sua festa da ballo di domani sera!", esclamò Meg, e mamma ci ha dato il permesso di andare. Che cosa ci mettiamo?" "Che bisogno c’è di far questa domanda, quando sai benissimo che dovremo metterci i nostri soliti vestiti! Non ne abbiamo altri!", rispose Jo a bocca piena. "Se potessi avere un vestito di seta! Mamma me ne ha promesso uno quando avrò diciotto anni, ma ho da allungare il collo! Due anni non sono mica un giorno!", sospirò Meg. "I nostri vestiti sembrano di seta e sono in buonissimo stato: il tuo è quasi nuovo; ma... a proposito: mi scordavo della bruciatura e dello strappo nel mio! Come devo fare? Quella bruciatura è proprio nel mezzo della schiena! E non posso neanche accomodarla!" "Bisognerà che tu stia sempre seduta; il davanti sta benone! Io ho un magnifico nastro nuovo per legarmi le trecce e mamma mi presterà la sua spilletta d’oro; le mie scarpine, debbo dire la verità, sono proprio eleganti: i miei guanti potrebbero essere più puliti, ma mi dovranno servire!" "I miei sono tutti sciupati e non posso comprarne un altro paio; perciò starò senza", disse Jo, che non si curava mai del vestiario. "Tu devi avere assolutamente un paio di guanti! Se non li hai io non vengo", disse Meg. "I guanti sono una delle cose più importanti perché, senza quelli, non puoi ballare e se non ballassi mi dispiacerebbe troppo!" "Starò seduta! che cosa me ne importa? Tu sai benissimo che fare quegli stupidi balli in giro non mi piace; io mi diverto soltanto quando posso saltare, far capriole e divertirmi a modo mio!"
lunedì 28 novembre 2011
torna a casa, stefano
giuliano pisapia non mi ha mai entusiasmata, lui e la sua giunta dall'aspetto dimesso. ma salirà di molto nella mia considerazione se davvero caccerà il nostro vanesio assessore alla cultura, incerto tra giovanilismi (tutti con me davanti a una birra, ragazzi) e inopportune coglionate (forza, cittadini, decidiamo insieme se il medio di cattelan rimane o meno in piazza affari).
piazza, piazza, piazza
vigevano, piazza ducale |
autori avvenenti
"Le tournée, infatti, costano un sacco e rendono molto poco. Sono utili al piccolo editore, che ne ricava un po’ di visibilità e non ha particolari spese, né potrebbe permettersele; gli autori sono in genere disponibili, entro i limiti delle loro possibilità, a viaggiare a loro spese, a bruciare giorni di ferie per viaggiare, eccetera.
Servono poco o nulla al grande editore, a meno che non si riesca a mettere in moto il divismo. Ma per il divismo serve, ad esempio, un autore con un corpo adatto. Non si può fare sempre."
Giulio Mozzi a Cristiano Abbadessa sul blog della casa editrice Autodafè, 26 ottobre 2011.
Servono poco o nulla al grande editore, a meno che non si riesca a mettere in moto il divismo. Ma per il divismo serve, ad esempio, un autore con un corpo adatto. Non si può fare sempre."
Giulio Mozzi a Cristiano Abbadessa sul blog della casa editrice Autodafè, 26 ottobre 2011.
bookfast (writers for breakfast)_conrad
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Un brigantino di Stein partiva diretto a occidente nel pomeriggio, ed egli aveva ricevuto istruzioni di imbarcarsi senza che fosse dato l'ordine di ritardarne la partenza. Suppongo che Stein se ne fosse dimenticato. Si precipitò a prendere le sue cose, mentre io andai a bordo della mia nave, dove egli promise di venire a farmi visita andando alla rada esterna. Comparve, come aveva detto, in tutta fretta, stringendo nella mano una piccola valigia di cuoio. Non era un bagaglio adatto, e gli offrii un mio vecchio baule di metallo che sarebbe dovuto essere impermeabile, o almeno resistente all'umidità. Effettuò il cambio con il semplice atto di rovesciarvi dentro il contenuto della valigia come avrebbe fatto con un sacco di frumento. Durante questa operazione vidi che aveva tre libri: due piccoli, con la copertina scura, e uno spesso volume verde e oro – un’edizione completa di Shakespeare da mezza corona. “Legge queste cose?”, chiesi. “Sì. È quanto di meglio c’è per tirarsi su di morale”, disse frettolosamente. Fui sorpreso da quel giudizio, ma non c'era tempo per una conversazione shakespeariana.
contrasti
l'omone ritratto di spalle sfiora il metro e novanta; si aggirava domenica per la feltrinelli di corso buenos aires recando in mano un casco da motociclista e le ricette di suor germana.
la signora senza nome
khaled fouad allam, di cui nell'aletta di copertina si dice che, oltre a essere sociologo e politico di origine algerina (cioè? dove è nato?), è cittadino italiano dal 1993, ha pubblicato un libro che si chiama L'islam spiegato ai leghisti. tra le altre cose il libro cerca di dimostrare che l'islam non è incompatibile con la democrazia eccetera. al fondo c'è un elenco di ringraziamenti: khaled ringrazia questo e quello, tra cui egi volterrani, definito, prima che traduttore, architetto (una cerimoniosità orientale che spesso si ritrova anche in certi colophon di cataloghi di mostra, pieni di dottori eccellenze e cavalieri); ernesto ferrero, definito acuto direttore editoriale della fiera internazionale del libro di torino, e infine, tra silvano moffa e nicola cristaldi, "mia moglie, le cui osservazioni così importanti mi hanno sempre aiutato a partorire libri difficili". adesso, a parte la non sorprendente identificazione donna-fattrice o donna-levatrice, si può sapere come si chiama di nome e di cognome la moglie dell'autore?
un libro a milano_mediocre continuità
sono stata a "un libro a milano". era tutto come nelle due precedenti edizioni.
in più c'era la sicurezza antincendio, ma in realtà non c'era assolutamente nulla di cui preoccuparsi: non c'era niente, proprio niente che incendiasse.
in più c'era la sicurezza antincendio, ma in realtà non c'era assolutamente nulla di cui preoccuparsi: non c'era niente, proprio niente che incendiasse.
giovedì 24 novembre 2011
editori per caso_chi controlla lo stageur?
il sito di ur editore segnala l'uscita novembrina dello Strano caso del falso Sherlock Holmes. la copertina è agghiacciante ma insomma, l'autore, luca martinelli, è il direttore dello Strand Magazine e qualcosa vorrà pur dire. il testo della scheda del volume è passabile (diciamo sei meno). poi si arriva alla biografia dell'autore, dove si legge che "Nel 2009 ha pubblicato il bestseller Il Palio di Sherlock Holmes, tradotto in Francia dai tipi della Gallimard". leggendo questa riga io mi immagino l'estensore del testo a parigi, nei corridoi della gallimard, che saluta festosamente quel bel tipo di monsieur dupont. ma era proprio il caso di mettere in piazza i propri rapporti privilegiati con gli editori francesi?
rendere grazie a tutte le cose
Coltivate l’abitudine di essere grati per ogni cosa buona che vi arriva, di rendere grazie continuamente. E poiché tutte le cose hanno contribuito al vostro progresso, nella vostra gratitudine dovete includere tutte le cose.
Ralph Waldo Emerson
giovedì 17 novembre 2011
Ferri e Finzioni: un libro e/o ci dice perché gli editori sono ancora necessari, anche in tempi di democrazia letteraria
L’editore e/o ha di recente pubblicato I ferri dell’editore, un volume distribuito su canale misto, disponibile in formato elettronico al costo di 0,79 euro e tra poco sulla buona vecchia carta, scritto da Sandro Ferri, l’editore medesimo.
Il libri affronta con grande chiarezza la questione del ruolo dell’editore ai tempi nostri (con ampi e affettuosi squarci sull’editrice Sandra Ozzola, ché la e/o, come ci spiega Ferri, è una casa editrice di coppia). La voce dell’autore si leva autorevole a rappresentare il contrario dialettico rispetto alla tendenza che vorrebbe e propugna il “potere assoluto del lettore” riguardo alla scelta, alla disponibilità e alla modalità di consumo dei testi: una posizione che tende a eliminare qualsiasi filtro tra il lettore e l’opera, mettendo così fortemente in discussione il ruolo di mediazione tra l’autore e il mercato tradizionalmente prerogativa dell’editore.
Strenui sostenitori di una larga democrazia delle lettere sono gli autori del sito Finzioni, i quali hanno sistematizzato le proprie posizioni in un Libretto rosa, prelevabile qui, nove punti programmatici a favore della lettura militante: nelle loro parole, “la lettura come fatto sociale, la letteratura come dialogo tra lettori, l’identità tra lettura e scrittura” (il corsivo è mio. Mi intrometto nel dialogo a distanza tra Ferri e Finzioni e sottolineo che la lettura come fatto sociale non mi convince: la lettura, credo, è un’attività eminentemente individuale, così come la soddisfazione del lettore è eminentemente solipsistica).
La funzione di cambiamento delle cose auspicata da Finzioni attraverso l’esercizio della lettura sociale – “attraverso […] la pratica della lettura sociale noi siamo in grado di immaginare mondi alternativi, realtà parallele, soluzioni differenti. Siamo cioè capaci di non adattarci allo stato di cose presenti” – è per me un [eventuale] processo personale lento e coltivato, appunto, in sé stessi, che forse può dare luogo a un cambiamento “pubblico” generato dalla somma e dalla sintesi dei cambiamenti privati. Anche qui, tuttavia, il dubbio è legittimo: la lettura, l’assorbimento delle parole altrui intraprendono spesso vie misteriose, vie sfuggenti.
Dice Ferri, a proposito degli e-book – un termine di confronto ormai ineludibile – e dell’infinita libertà che l’autopubblicazione concederebbe ad autori e lettori: “L’editore sa che la stragrande maggioranza delle opere che vengono scritte non valgono molto e che non sono in grado di soddisfare neppure l’esigenza di un singolo lettore. […] Per quanto si estenda e si diversifichi il concetto di ‘buon libro’, non cambia il fatto che solo una minoranza di autori riesce a creare un’opera che in qualche modo soddisfi anche solo una minoranza di lettori. L’editore sa che la letteratura non è il terreno della democrazia. […] È questo il vero motivo per cui l’utopia dell’e-book che cancella gli ostacoli, il sogno della società senza editori, non potranno avverarsi se non nella forma dell’incubo della moltiplicazione della mediocrità, della confusione, della rinuncia a leggere.”
Alla luce della definizione che Ferri ci dà del ruolo dell’editore, può dunque esistere l’identità tra lettura e scrittura? No, ci risponde l’autore, poiché “un romanzo è un’opera compiuta, complessa e articolata, che ha richiesto un lungo, faticoso lavoro da parte del suo autore, un professionista, uno che dedica la vita alla scrittura, che ha sentito come una vocazione, che ha un talento speciale, una necessità, una forza espressiva, una voce originale, che è compito dell’editore trovare e premiare con la pubblicazione, con la ‘presentazione in società’, con la ‘sponsorizzazione’.” Il fatto che l’editore avochi a sé la responsabilità ultima della selezione e della pubblicazione, comunque, non esclude affatto il confronto con i lettori. Ferri parla di “promessa implicita” contenuta nel progetto che l’editore va sviluppando mentre compone il suo parco titoli: io, editore, mi impegno con te, lettore, che hai dimostrato di apprezzare il mio operato, a mantenermi coerente nei criteri che mi sono dato e che hanno sollecitato il tuo gradimento.
Una delle cose più gradevoli di questo utile libro è il disvelamento della casa editrice vista dall’interno: Ferri ci dice come è nata, come e con chi è stata condotta, ma soprattutto come si attuano quei criteri che informano il progetto dell’editore, parlandoci diffusamente del meccanismo di selezione dei titoli (che non esclude qualche personale tic). Sono le parti più avvincenti, quelle in cui l’autore racconta il lavoro sui manoscritti, i differenti modi di leggere delle diverse figure coinvolte nella valutazione di un testo: l’editore, diversamente dall’editor, “deve quindi leggere molto velocemente, deve leggere parzialmente (saltando interi capitoli), deve leggere a tutte le ore e deve leggere, soprattutto, per selezionare, per eliminare.” Talvolta, però, il lettore disinteressato prende il sopravvento sull’editore: […] il libro mi sta piacendo molto, mi tappo la bocca per non farmi scappare rumorose risate che sveglierebbero mia moglie e mia figlia o anche lo stesso cane, il quale potrebbe pensare che è arrivata mattina e che ha diritto a mangiare. Mi viene voglia di alzarmi (e perdere tempo prezioso) per cercare sul vocabolario spagnolo il significato di una parola sconosciuta, sono infastidito perché vorrei essere sdraiato in vacanza con tanto tempo a disposizione a godermi ogni singola scena, riga, personaggio di questo bel romanzo. Invece dovrò leggerne solo un terzo, altrimenti dopodomani non sarò in grado di prendere la mia decisione. Ma quale terzo leggere? Mi ribello all’idea di una lettura a campione, non ce la faccio a interrompermi a metà non dico di un capitolo ma neppure di una parte, di un’azione. E se il romanzo corre dritto senza possibili interruzioni, come farò? Posso seguire le avventure di un personaggio per cinquanta pagine e poi lasciarlo continuare da solo senza sapere come gli sono andate le cose? Posso capire il ritmo di un’opera senza valutarla nella sua interezza?”.
I ferri dell’editore è un libro che si deve leggere perché racconta la storia di una casa editrice che ha fatto dell’assoluta indipendenza uno dei valori cardine della propria ricerca (“[…] in cosa consiste allora il nostro progetto, questa identità di cui siamo tanto fieri anche quando gli altri non la vedono? Penso che consista semplicemente nella coerenza di pubblicare solo i libri che ci piacciono.”); perché argomenta in maniera molto convincente i motivi per cui, in un momento in cui Amazon si va proponendo agli autori come editore in grado di saltare i tradizionali passaggi della filiera editoriale e perciò stesso in grado di assicurare agli scrittori guadagni ben più consistenti – fino al settanta per cento degli incassi contro l’attuali dieci per cento –, un editore è più che mai necessario (“[…] non potremo mai appiattirci sulle richieste dei lettori e continueremo a rivendicare senza ottusità ma con orgoglio i motivi delle nostre scelte.”); perché parla senza involuzioni e con appassionato realismo di un mestiere in divenire.
mercoledì 16 novembre 2011
mercoledì 9 novembre 2011
delle cose che si possono trovare nei vecchi libri, di qualunque natura essi siano
di questa poesia di Scott Poole mi è molto piaciuto il lato domestico, così l'ho tradotta:
La Bibbia
Nel caso servisse
è sempre là.
Perché devi averne almeno una.
La parte che sempre torno a leggere
è la dedica
alla nonna di mia moglie.
Immagino Dio a un book signing,
mentre firma la sua copia,
“Cara Eva, grazie per la tua devozione”.
Ma più che altro penso a quando
lei potrebbe averla tenuta in mano:
qualche volta in chiesa,
in un paio di momenti di smarrimento, in camera da letto
e una strana volta dopo la messa
quando andò dal fruttivendolo
e la posò un attimo su un mucchio di mele
mentre esaminava le banane alla ricerca di ammaccature.
Scott Poole, The Bible, da The Sliding Glass Door, by permission of Colonus Publishing, Spokane, WA, 2011
urgentissimo imprescindibile
il 12 novembre, alle ore 17, si va qui. ci incontriamo?
lunedì 7 novembre 2011
essenze decadenti
io credo che qualunque signora elegante dovrebbe usare ogni giorno un paio di gocce del profumo Tubéreuse criminelle di Serge Lutens. se non altro per la descrizione che ne dà il suo creatore: "La materia lattiginosa, spessa, cremosa dei suoi fiori bianchi evoca le pallide donne amate da Joris-Karl Huysmans. Sui suoi petali sfatti corrono segni di tonalità impercettibili, dal viola al seppia, i colori delle occhiaie".
cortesemente
David Michael Bautista, wrestler. Peso 115 chili, altezza 198 centimetri. Soprannome: The Animal |
dovrebbe essere così cortese da inoltrare
a chi sta lavorando ai testi delle schede il presente file che contiene tre
indicazioni sui materiali altri dati.
Spero che siano arrivate tutte le tre
mail di martedì che Le ho inviato. Una conteneva la bibliografia, una tutto ciò
che riguarda le schede, una il saggio; me ne può cortesemente
dare conferma?
Grazie, cordiali saluti
Nome e Cognome
il testo sopra riportato è quello di una mail inviata a una casa editrice di milano. il mittente è un'autrice e il destinario è chi scrive. è un esempio fra moltissimi: nel senso che moltissimi mittenti inviano comunicazioni contenenti seri dubbi sulla cortesia dei loro destinatari. se tu non dubitassi della mia cortesia, perché mi chiederesti di essere "così cortese da"? e perché specifichi con quell'avverbio quale dovrebbe essere la qualità della mia conferma? potrei mai darti conferma di qualcosa cafonamente?
io questa gente la farei aspettare sotto casa dal mio amico qui sopra.
ondata di vetrinisti bibliofili a milano
Negozio Replay. Milano, corso Vittorio Emanuele |
Negozio Lolita. Milano, corso Vittorio Emanuele |
anonimo vetrinista di lolita, voglio conoscerti.
*l'anonimo vetrinista di lolita mi ha consentito di scoprire, e gliene sono grata, l'esistenza di Alexandra David-Néel, una signora alquanto eccentrica, della cui vita appassionante si può avere un assaggio qui.
domenica 6 novembre 2011
you need a little humor in life: grieco groucho
verbi
1. pensavo, il trapassato prossimo è un verbo che non si sente bene.
2. ma poi, il futuro anteriore è il pancione di una gestante?
di cosimo grieco abbiamo già parlato qui. aggiungo solo che grieco è un carveriano di ferro, un acutissimo osservatore della provincia con relativi provinciali, che se si decidesse a scrivere sulla città di taranto (dove vive e da dove corrisponde) e i suoi cittadini sbancherebbe, e che scrive anche microracconti così:
circolare rossa
ieri sono salito sulla circolare rossa con la macchina fotografica, per passare inosservato portavo pure il cavalletto. di fronte a me stava seduto babbo natale che leggeva un libro sulla cervicale e manutenzione della slitta. sono riuscito a ritrarlo nella completa indifferenza di tutti: guardavano l'autista che fumava una di quelle sigarette elettriche che si vendono in farmacia.
1. pensavo, il trapassato prossimo è un verbo che non si sente bene.
2. ma poi, il futuro anteriore è il pancione di una gestante?
di cosimo grieco abbiamo già parlato qui. aggiungo solo che grieco è un carveriano di ferro, un acutissimo osservatore della provincia con relativi provinciali, che se si decidesse a scrivere sulla città di taranto (dove vive e da dove corrisponde) e i suoi cittadini sbancherebbe, e che scrive anche microracconti così:
circolare rossa
ieri sono salito sulla circolare rossa con la macchina fotografica, per passare inosservato portavo pure il cavalletto. di fronte a me stava seduto babbo natale che leggeva un libro sulla cervicale e manutenzione della slitta. sono riuscito a ritrarlo nella completa indifferenza di tutti: guardavano l'autista che fumava una di quelle sigarette elettriche che si vendono in farmacia.
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Tutta la tristezza della città giungeva all’improvviso con le prime fredde piogge invernali, mentre camminavi sparivano gli ultimi piani delle alte case bianche e non restavano che l’umida oscurità della strada e le porte chiuse delle bottegucce – gli erbivendoli, le cartolerie e le edicole, la levatrice (seconda categoria) – e l’albergo dove era morto Verlaine dove all’ultimo piano avevo una stanza dove lavoravo. […] Passavo davanti al Lycée Henri V e all’antica chiesa di St-Étienne-du-Mont e a Place du Panthéon spazzata dal vento, e per ripararmi tagliavo a destra e finalmente uscivo sul lato sottovento del Boulevard St-Michel e continuavo a camminare lungo il viale, scendendo oltre Cluny e il Boulevard St-Germain, finché arrivavo a un buon caffè di mia conoscenza in Place St-Michel.
Era un caffè simpatico, caldo e pulito e accogliente, e io appendevo il mio vecchio impermeabile all’attaccapanni, per farlo asciugare, e posavo il cappello di feltro, logoro e stinto, sulla rastrelliera sopra il sedile e ordinavo un café au lait. Il cameriere lo portava e io toglievo dalla tasca della giacca un taccuino e una matita e mi mettevo a scrivere. Stavo scrivendo di quand’ero su nel Michigan, e poiché era una fredda giornata di vento sferzante, era lo stesso tipo di giornata anche nel racconto. Avevo già visto arrivare la fine dell’autunno con gli occhi dell’infanzia, dell’adolescenza e della giovinezza, e di queste cose avviene che uno si trovi a poterne scrivere meglio in un posto, piuttosto che in un altro. Era quel che si dice trapiantarsi, pensavo, e poteva essere necessario alle persone come ad altri generi di cose che crescono. Ma nel racconto i ragazzi bevevano e questo mi fece venir sete e ordinai un rum St. James. Aveva un sapore straordinario in quella fredda giornata e continuai a scrivere, sentendomi benissimo e sentendo il buon rum della Martinica che mi scaldava il corpo e lo spirito.
Entrò una ragazza e si sedette a un tavolo vicino alla vetrina. Era molto graziosa, con un viso fresco come una moneta appena uscita dalla zecca, se coniassero le monete in una carne liscia con la pelle rinfrescata dalla pioggia, e aveva i capelli neri come l’ala di un corvo che tagliavano la guancia con una netta diagonale. […] Il racconto si scriveva da sé e io facevo fatica a non restare indietro. Ordinai un altro rum St. James e guardavo la ragazza ogni volta che alzavo gli occhi, o quando facevo la punta alla matita con un temperamatite dal quale i trucioli cadevano arricciandosi nel piattino sotto il mio bicchiere.
Ti ho visto, bellezza, e ormai tu mi appartieni, chiunque tu stia aspettando e anche se non ti rivedrò mai più, pensavo. Tu mi appartieni e tutta Parigi mi appartiene e io appartengo a questo taccuino e a questa matita.
venerdì 4 novembre 2011
scuola di scrittura
infilato tra altre notizie giunge nella mia casella di posta elettronica questo stupendo link a yahoo answers in cui luca chiede: "come si fa a diventare scrittori"?
ecco qualche risposta (ho adorato la numero 2):
1. michela: “studiando e scrivendo”.
2. anonimo: “prendi un po' di fogli, scrivi, porti la tua roba scritta a una casa editrice e ualà!”
3. sami_punk: “Scrivere non è facile, devi aver compiuto studi classici e essere laureato per aver una minima possibilità che una casa editrice pubblichi il tuo libro.
Se sei ancora giovane, puoi cominciare a lavorarci adesso, poi chissà, magari nel futuro diventerai un grande scrittore”.
Se sei ancora giovane, puoi cominciare a lavorarci adesso, poi chissà, magari nel futuro diventerai un grande scrittore”.
4. anya: “Per diventarlo bisogna avere la passione per la scrittura. Grazie alla passione, non ti arrenderai alle prime difficoltà. Comunque, devi scrivere molto: con l'esercizio affinerai il tuo stile e migliorerai nella scrittura (però non devi dimenticare di informarti sulle tecniche di narrativa, come quella del ‘show, don’t tell’). Devi anche leggere molto; in questo modo, conoscerai termini di cui prima ignoravi l'esistenza, scriverai storie più originali (perché saranno più libri ad influenzarti) ed eviterai gli errori degli altri scrittori.
Comunque, essere scrittori non vuol dire per forza pubblicare un libro con le grandi case editrici. Pubblicare con loro è difficile, anche per chi scrive bene.
Comunque, essere scrittori non vuol dire per forza pubblicare un libro con le grandi case editrici. Pubblicare con loro è difficile, anche per chi scrive bene.
5. lino [lapidario]: leggendo.
6. guido c.: “assumendo un ghostwriter (e possibilmente pagandolo poco)”.
sooooooo boring
servizio pubblico. il fatto è che tutto sapeva di stantio, di ripetitivo. per non parlare dell'assurda scenografia operaista, con quelle pericolosissime impalcature.
queste trasmissioni hanno fatto il loro tempo. generano seguaci ciechi e conformismo nel linguaggio. il poverismo, poi, non fa bene a nessuno: anche i poveri devono puntare in alto. magari leggendosi un bel libro mentre vauro scoreggia e travaglio travaglieggia.
the snooki way_piccole donne crescono
certo che quando gli adolescentini crescono ci si può divertire assai. di jersey shore e di snooki, che è il nostro idolo familiare, si era già detto qui. chi scrive, poi, ha fatto un'esilarante snooki-experience pochi giorni fa, quando l'adolescentina, in un negozio nel quale eravamo entrate per comprare una formaggera, ha acquistato un paio di occhiali. "ti regalo gli occhiali di snooki", ha detto. "hai fatto un tragico errore", ho detto. "perché io gli occhiali di snooki me li metto davvero."
così è stato. in corso di porta ticinese, in via torino, al duomo si è vista una strana coppia: una fanciulla in fiore accompagnata da un'anziana signora con gli occhiali qui sopra. alcuni dileggiavano, altri, senz'altro assidui spettatori di mtv, riconoscevano e approvavano; la signora dell'edicola del duomo mi ha detto bellissimi, ma ci vede? sì, ci vedo.
e non si pensi che snooki non abbia diritto di presenza in queste pagine.
perché, per chi non lo sapesse, snooki ha scritto anche un libro.
Gli occhiali di aa |
così è stato. in corso di porta ticinese, in via torino, al duomo si è vista una strana coppia: una fanciulla in fiore accompagnata da un'anziana signora con gli occhiali qui sopra. alcuni dileggiavano, altri, senz'altro assidui spettatori di mtv, riconoscevano e approvavano; la signora dell'edicola del duomo mi ha detto bellissimi, ma ci vede? sì, ci vedo.
Gli occhiali di Snooki |
e non si pensi che snooki non abbia diritto di presenza in queste pagine.
perché, per chi non lo sapesse, snooki ha scritto anche un libro.
la cultura fa sempre fico_5 (oviesse, milano)
l’oviesse di via torino, a milano, sul lato del negozio che dà su via victor hugo, ha allestito una vetrina di sicuro effetto. manichini decapitati indossano giacche autunnali vagamente reminiscenti di una qualche atmosfera di caccia, odorose di brughiera, il tutto sullo sfondo di una fornitissima libreria finta. e in effetti la vetrina compendia la filosofia del marchio pubblicizzato, grand & hills, che a dispetto del contorno di brughiera è un marchio italiano e così presenta le sue produzioni: “I capi esprimono un vero e proprio segnale di appartenenza e rimandano ad uno stile di vita rilassato, ma sicuro di sé che non sembra prendersi troppo sul serio. […] Un upper casual, ma a prezzi accessibili per l’intellettuale o lo sportivo, la working class o l’alta borghesia.” finalmente un’azienda che si rivolge in modo specifico agli intellettuali (epperò tutti i capi in vetrina erano per maschi, esisterà un grand & hills per intellettuali femmine?).
bookfast (writers for breakfast)_invernizio
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Amelia, Zaira e Pia Salani
Cinque anni fa, quando vi conobbi, eravate ancora bambine colla gonnella corta, i capelli
disciolti e il grembiulino. Eppure vi mostravate già amantissime della lettura e quante volte vi
sorpresi o nascoste in un angolo del vostro giardino o in una sala appartata della tipografia di
vostro padre, tutte intente a divorarvi qualche libro nuovo, appena uscito dalla macchina, neppure
rilegato... E davate già i vostri giudizii pronti, ingenui, spontanei, col sorriso infantile sulle labbra,
gli occhi brillanti di emozione.
Oggi, fatte giovinette bellissime, piene di senno, con un delicato gusto artistico e letterario,
non vi compiacete che di quei libri, i quali rispondono ai sentimenti gentili della vostra anima, vi
dischiudono dinanzi l'orizzonte abbagliante, accarezzato dalla vostra giovanile fantasia, aprono il
vostro cuore alle prime, soavi emozioni della vita.
Ecco perchè i miei libri hanno sempre trovato grazia presso di voi e perchè oggi vi dedico
questo mio lavoretto.
Si dice che la più bella pagina di un libro sia quella, sopra cui cade una lacrima. Orbene:
se la mia Trovatella di Milano farà sgorgare dai vostri occhi una lacrima di commozione e di pietà,
voi avrete ricompensato abbastanza il mio amor proprio di scrittrice, la mia tenerezza di amica
sincera ed affezionata.
Un bacio a tutte di cuore.
Firenze, Giugno 1889.
CAROLINA INVERNIZIO.
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